varie, 5 marzo 2002
MESSINA Ettore
MESSINA Ettore Catania 30 settembre 1959. Allenatore di basket. Dal 2011 assistente dei Los Angeles Lakers. Ha vinto quattro volte l’Eurolega: due col Cska Mosca (2006, 2008), due con la Virtus Bologna (1998, 2001), squadra con cui vinse anche tre scudetti (1993, 1998, 2001, il quarto nel 2003 con la Benetton Treviso). Sulla panchina della Nazionale vinse l’argento agli Europei del 1997. Ha allenato anche il Real Madrid (2009-2011) • «Con la sua bacchetta magica trasforma in oro ogni cosa che tocca. Messina è il miglior allenatore italiano, un coach che definiremmo l’uomo della svolta della pallacanestro di casa nostra perché con lui alla guida dell’Italia il movimento ha ritrovato forza, carisma e vittorie. Il suo argento agli Europei del ’97 ha aperto la strada allo splendido successo di Azzurra due anni dopo a Parigi con Boscia Tanjevic in panchina. […] Vinse, Messina, uno scudetto (nel ’93) e un’altra coppa Italia prima di diventare il cittì della nazionale. Allora, il patron della Virtus Bologna, Alfredo Cazzola, privandosi del suo allenatore, disse: “Offriamo alla nazione il nostro oro”. Lui è il migliore degli allenatori, e non solo in Italia. Ettore Messina ha vinto tanto e riesce in questa non facile impresa grazie alle sue straordinarie doti. Diremmo che è uno stratega del basket, uno che prepara come pochi la partita, che analizza ogni piccolo particolare, attento al lavoro in palestra ma anche al lato psicologico. Professionale al massimo, Ettore non lascia niente all’improvvisazione. Nelle sue squadre ha avuto giocatori importanti, uomini non sempre facili da gestire. Uno di questi è stato, negli anni belli di Bologna, Sasha Danilovic. E lui, il grande campione del basket, ha apprezzato il suo coach. “Sa come gestirmi - disse un giorno Danilovic - e se mi caccia in panchina vuol dire che devo sedermi. E ha sempre ragione Ettore”. Il segreto di tante vittorie? Messina attribuisce parte del merito ai suoi “datori” di lavoro. “Ho avuto due buoni club (Virtus Bologna e Benetton, ndr) e anche la nazionale. Ho sempre trovato grandi organizzazioni, anche nell’ultimo anno a Bologna, quello con Madrigali. E ho avuto la fortuna, nei club, di non trovare dirigenti che cambiano idea repentinamente se un risultato non arriva. La pazienza paga sempre”. L’Italia è stata certamente il trampolino di lancio di questo coach ha ha avuto anche l’opportunità di lavorare nella Nba e che prima o poi andrà sulla panchina di un grande club straniero. “Allenare la nazionale è stata una grande fortuna: mi ha maturato. Loro, il consiglio federale e il presidente Petrucci, hanno avuto fiducia in me. Sono stati, direi, un po’ folli come, del resto, lo sono stato io ad accettare visto che avevo appena 33 anni”. In nazionale ha ottenuto il massimo nel 1997. Agli Europei di Barcellona ha guidato Azzurra all’argento. E dopo, tornato nel club, ha infilato subito due splendide vittorie, lo scudetto con la Kinder Bologna dopo un finale thrilling contro la Fortitudo, e Eurolega prima del capolavoro nel 2001, ancora a Bologna: coppa Italia, scudetto, Eurolega. Amato a Bologna come un re, per lui s’è mossa l’intera città quando, senza un motivo reale, l’allora patron della Virtus, Madrigali, lo ha rimosso. Era l’11 marzo del 2002. Per una settimana il coach è rimasto fuori prima di essere richiamato a furor di popolo al suo posto. Pochi mesi dopo, però, Messina ha lasciato le Vu nere per accasarsi a Treviso, alla corte dei Benetton. Nella Marca ha continuato il suo essere vincente: scudetto, tre coppe Italia, due supercoppe italiane e un secondo posto nell’Eurolega. Un giorno Ettore Messina ha detto: sono come la minigonna, prima o poi torna sempre di moda. “Era una battuta, quella. Nel 2000 avevo perso due finali di fila, poi sono tornato a vincere. E dissi: appena vinci, torni di moda, soprattutto qui che se non lo fai ci si dimentica presto di te”. […]» (Carlo Santi, “Il Messaggero” 22/2/2005). «[…] Vince tanto, troppo. […] Su uno che, basket a parte, tiene lezioni alla Bocconi e alle convention aziendali, parla inglese e spagnolo come l’italiano, chi non l’ama può cavalcare, per sminuirlo, perfino luoghi comuni antitetici: che voglia in squadra solo soldatini in fila per due e che vinca solo con quintetti miliardari. Fra Bologna e Treviso, ne ha avuti che, per regolare il traffico delle stelle, ci sarebbe voluto il semaforo […]» (Walter Fuochi, “la Repubblica” 22/2/2005). «Laureato in economia a Ca’ Foscari, è diventato c. t. della Nazionale italiana a 33 anni ed è l’unico europeo ad aver guidato, seppure in una lega estiva, una squadra Nba, i Nuggets. Ha conquistato quattro scudetti, tre a Bologna e uno a Treviso, due Euroleghe e una coppa Coppe con la Virtus. Come c. t. azzurro, ha vinto l’argento agli Europei del 1997. [...] ha fatto fatica a togliersi l’etichetta che gli hanno appiccicato a 30 anni, quella di allenatore che pretende un inquadramento rigido dei giocatori. [...] Di grande carisma, è sempre rigoroso, perfezionista, applicato in difesa. In attacco è stato il primo in Italia a lavorare sugli spazi ideali piuttosto che sui blocchi» (“Gazzetta dello Sport” 18/1/2005). «C’è una telecamera che lo aspetta in ogni aeroporto d’Europa, un gruppo di manager che lo ascolta nelle più grandi aziende d’Italia, come la Diadora che lo ha nominato “allenatore” dei suoi quadri. […] Laurea ad honorem in Scienze motorie dall’Università, la seconda dopo quella “vera” , conseguita nell’84 in Economia e Commercio a Venezia. Uno dei rarissimi sportivi a ricevere questo titolo, è diventato ormai un’icona del basket, un simbolo che va oltre i confini della sua disciplina, in cui ha vinto quasi tutto con la Virtus e la Nazionale. […] “Non penso, come dicono gli americani, di essere più importante del gioco. Anche se vinci, devi fare i conti con quel che sei e per me ogni sconfitta è un esame di realtà. Mi sento sì una parte importante del basket e per questo mi impegno a cercare risposte con un minimo di costrutto, che diano del mio sport l’idea di un mondo vivo. […] E’ visibile il fatto che non sono baciato da un talento speciale in alcun aspetto del mio lavoro: questo autorizza chiunque a pensare che, al posto mio, otterrebbe gli stessi risultati. A due condizioni. La prima: ho incontrato gente che mi ha dato delle opportunità. Non so chi fosse più incosciente fra me e l’allora presidente della Fip Petrucci, quando a 33 anni diventai c.t. della Nazionale. In effetti, in un anno e mezzo ho rinnovato il gruppo e nel ’97 ho vinto l’argento europeo. La seconda: non ho mai raccontato favole. […] Io propongo e non impongo la mia filosofia, i miei giochi, ma soprattutto la mia cultura del lavoro […] Le telefonate che ricevo di frequente da Sasha Danilovic. “Pronto, chi parla?” dico io. E lui risponde: “Quello che ti ha fatto diventare famoso”. Il basket è come un film: la gente va a vedere gli attori, non il regista. Ma se recitano bene, è perché qualcuno ha cercato di tirargli fuori il meglio”» (Carlo Annese, “La Gazzetta dello Sport” 16/10/2002).