Varie, 5 marzo 2002
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MICCICH Gianfranco Palermo 1 aprile 1954. Politico. Eletto alla Camera nel 1994, 1996, 2001, 2006, 2008 (Forza Italia, PdL)
MICCICH Gianfranco Palermo 1 aprile 1954. Politico. Eletto alla Camera nel 1994, 1996, 2001, 2006, 2008 (Forza Italia, PdL). Viceministro dell’Economia nel Berlusconi II (2001-2005), ministro dello Sviluppo e coesione territoriale nel Berlusconi III (2005-2006), sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Berlusconi IV (2008-) • «Bravissimo ragazzo, ha il difetto di prendersela personalmente e di ostentare una cruda prepotenza che in realtà forse non è il suo pane» (’Il Foglio” 29/11/2001) • «Il vero vincitore, da Palermo ad Agrigento, da Trapani a Ragusa [...] vice ministro di Berlusconi [...] Lo sapeva che in questa tornata si giocava la faccia. Non solo per la candidatura a Palermo del ”ribelle” Francesco Musotto, ma perché tanti dei suoi subivano senza condividere la scelta di Cammarata, pronti ad alzare la voce in caso di sconfitta o di faticosa vittoria. Forse per questo alle dieci del mattino, non appena i primi scrutini consolidavano il pieno successo di Cammarata, in una saletta del comitato elettorale con due porte chiuse a chiave, ha afferrato nervoso un telefono chiamando Silvio Berlusconi: ”Presidente, mi sono macchiato di una nuova grande colpa. Ho vinto col 56 per cento”. Più uno sfogo che un annuncio. Un segno in codice per il Cavaliere. Perché metta la parola fine alle chiacchiere di chi accusa il suo colonnello siciliano di spocchia ed arroganza, pronto ad un altro sfogo: ”Io vinco perché faccio le cose perbene, anche se non tutti ne sono convinti”. Ha il dente avvelenato con i giornalisti: ”Ogni volta mi dipingono come io non sono e mi fanno dire quello che non penso”. Ma le vere amarezze sono altre per lui, che doveva succedere a Claudio Scajola come coordinatore nazionale del partito. E quasi pensa ad un passo indietro nel suo feudo: ”Dopo otto anni da coordinatore regionale, meglio pensare ad un successore in questo partito che può far a meno di tutti tranne che del presidente Berlusconi. E’ giusto un ricambio. Deciderò con calma”. [...] ”Io sono arrogante perché non accetto ricatti”. Ma non ce l’ha solo con Musotto ed altri transfughi che l’hanno accusato di preferire un sindaco teleguidato: ”Io sceglierei Cammarata per farmi fare i piani regolatori che non so nemmeno che cosa siano?”. Nel giorno del trionfo affiora una rabbia appena contenuta: ”Ecco la mia arroganza: non ho fatto il presidente della Regione per lasciare il posto a Cuffaro, né il presidente dell’Assemblea regionale per favorire Guido Lo Porto, né il sindaco di Palermo”. Senza rimpianti, assicura: ”Tanti dei nostri seggi alle politiche sono andati a Cdu e Ccd perché io credo al gioco di squadra. Al contrario di alcuni che non hanno il senso del marketing, non pensano al giorno dopo”» (Felice Cavallaro, ”Corriere della Sera” 27/11/2001). «[...] A scuola non sapevo studiare. Pessimo, bocciato due volte, disordinato [...] A vent’anni mi ritrovai ragazzo padre… [...] quando nasce il Miccichè organizzatore? Forse in banca: all’Irfis, una emanazione del Banco di Sicilia. Misi nel lavoro molto impegno, non come a scuola. Si poteva lasciare la banca alle cinque, io mi fermavo fino alle otto. Mi ritrovai capufficio giovanissimo, a ventinove anni anziché a quaranta, come succedeva allora. [...] In banca si impara a dare attenzione alle cose piccole, a diffidare delle apparenze. Uno arriva, ti mostra meraviglie della sua società e in realtà è a rischio di fallimento. Puoi fiutare il pericolo badando ai particolari [...] In banca undici anni, poi in Publitalia altri undici. [...] Marcello Dell’Utri. [...] Lo conobbi, per caso, nel 1984 a una cena a Milano, a El Toulà. E me innamorai. [...] Lui cercava un dirigente per aprire una sede in Sicilia. Mi chiese se conoscessi una persona per bene, simpatica, efficiente, positiva, con capacità di buttarsi senza tregua nel lavoro. E con una laurea. [...] Gli dissi: io ce l’avrei questa persona, e sono io. Però non ho la laurea. [...] Scoppiò a ridere e disse: mi piaci, sei simpatico. Non ha importanza se non hai la laurea, ti chiameremo dottore lo stesso. [...] In Sicilia in due anni avevano fatturato due miliardi. Io arrivai subito a quattordici. Poi Marcello mi chiese di andare a sistemare Brescia, che languiva. Era il 1987. E ottenni un incremento di 29 miliardi. E una grande lezione di umiltà… [...] In Publitalia, per galvanizzarci, c’erano i premi di produzione. In proporzione all’obiettivo raggiunto. Ma dovevi dichiarare l’obiettivo: se lo raggiungevi scattava il megapremio, se non lo raggiungevi… niente. Dissi a Dell’Utri: in un anno posso fare 30 miliardi. E lui: non esagerare! Ma io, testardo: a 30 miliardi, c’era un premio enorme. Arrivai a 29 miliardi e 400 milioni, andai da Marcello e gli dissi: mi darai il premio lo stesso, vero? E lui: non ti do una lira, perché sei stato presuntuoso. Però sei bravo e ti darò una promozione. Una forte lezione di vita per me: a quell’epoca ero arrogante, capii sulla mia pelle che l’arroganza non paga mai. [...] Marcello per la pubblicità diceva: dovete scegliere i collaboratori con cui stareste volentieri a cena…Se no, evitate. [...] Se si trasferisce questo criterio in politica, è la fine. Si resta soli. In politica il valore è inferiore. [...] A Publitalia il livello è alto: la valutazione della qualità, nella scelta delle persone, è fondamentale. Per conquistare contratti pubblicitari. [...] In politica i contratti pubblicitari e il fatturato, alla fine, sono i voti. Ma la capacità di trovare voti è inversamente proporzionale, spesso, alla qualità dei curriculum. [...] All’inizio cercavo persone di pura qualità, professori, uomini di cultura alta… Trombature in quantita! Poi il criterio è diventato un altro, abbiamo scelto le persone capaci di creare e trovare il maggior consenso: al di fuori della mafia, vorrei ben specificare, per evitare gli ingiusti tormentoni che ci hanno a lungo angosciato e infastidito. [...] Vorrei citare un libro di Zweig, La leggenda degli scacchi, che mi ha molto colpito. Un libro che regalo a chi fa politica per me. Il protagonista è un personaggio folle: arrestato, in galera, può leggere un solo libro e gioca a scacchi con se stesso. Si divide in due giocatori, antagonisti, e muove sia il bianco sia il nero… [...] ho capito che in politica bisogna utilizzare al meglio sia il bianco, cioè l’affermazione di buone idee per il miglioramento della società, sia il nero, cioè le opportunità in apparenza più deteriori. [...] Nel 1996 giocammo le regionali in Sicilia solo sulla qualità, con i pedoni bianchi, e scendemmo dal 34% delle politiche al 17. [...] n un’azienda, se entri in rotta di collisione con un dipendente (ad esempio, se critica o disturba l’armonia del gruppo), puoi licenziarlo. In politica non ci sono dipendenti, non puoi licenziare nessuno: tutti hanno una loro quota di consenso che devi rispettare. E chiunque, se vuole, tranquillamente disturba l’armonia del gruppo, cioè del partito, e dice ciò che vuole. Bisogna affermarsi con il consenso. Nessuna autoritarietà. [...] Dell’Utri mi diceva: a Berlusconi digli sempre di sì, se gli dici di no magari si incazza. Ma se hai un’idea che ti sembra migliore, non avere paura e mandala avanti. Lui capirà. [...] In Sicilia bisogna interpretare parole e riti. Al di là delle apparenze. Ad esempio, il baciamani. ”Bacio le mani’, ”A disposizione’: esiste qualcosa di più ridicolo? Così, bisogna intuire. Uno ti dice: andiamo a prendere un caffè? L’unica cosa certa è che non ha davvero voglia di un caffè. Forse ha voglia di fare due passi, o ha voglia di farsi vedere in piazza con te, o vuole ammirare il seno della commessa, o evitare un rompiballe che sta arrivando in ufficio… La prima lettura non è mai esatta, puoi giurarci. [...]» (Cesare Lanza, ”Capital” settembre 2001).