Varie, 5 marzo 2002
MICHELI
MICHELI Francesco Parma 19 ottobre 1937. Finanziere. Presidente di MiTo, «il festival musicale che rispolvera l’inesausta ambizione di chi vuol fare di Torino e Milano una cosa sola» (Paolo Madron) • «Di affari, ne ha fatti tanti: dalla scalata Bi-Invest dei Bonomi negli anni Ottanta alla regia dell’Opa di Olivetti su Telecom Italia nel 1999 fino al lancio di e.Biscom nel marzo 2000. [...]» (Massimo Mucchetti, ”L’Espresso” 11/1/2001). «Ha ancora negli occhi la colonna dei tedeschi che lasciavano Milano. Ricorda la mitragliatrice sul tetto del camion di testa. Rivede un prigioniero ”crucco”, al centro di un reticolato di fil di ferro, e i milanesi che gli lanciavano delle sigarette […] un uomo fortunato, felice, appagato e ricco. […] Ha fatto la sua fortuna in Borsa e l’ha sviluppata in molteplici operazioni che definisce ”interessanti e innovative”, dalla scalata alla Biinvest […] a quella della Telecom […] ”[…] Mio padre insegnava al Conservatorio. La musica era come l’aria che respiravo. Un sottofondo […] Sono stato un grande ammiratore di Wanna Marchi […] Ho il brevetto per atterrare con l’aereo sui ghiacciai. […] La camera verde. Dove veniva messo tutto e dove passavo ore indimenticabili con la gioia che provano i ragazzini quando entrano in una soffitta. E poi i giochi per strada. Schettinare in via Leopardi […] in quarta ginnasio fui bocciato. Venivo dal San Carlo, scuola di preti. Al Beccaria, classe mista, mi ubriacai di libertà. E ripetei l’anno […] Facevamo mille lavoretti. Lo scrutinatore del Totocalcio, la comparsa alla Scala, il pianista nelle balere. Dal Totocalcio mi cacciarono perché una domenica sera, avendo scoperto un tredici, telefonai al vincitore per festeggiarlo […] Partecipai anche a uno spettacolo buffissimo, l’imitazione di Lascia o raddoppia. Giravamo per i paesi della Bassa con Edy Campagnoli e il ballerino Gigi Dossena. […] Tra i miei amici c’era Piero Ravelli, figlio di Aldo Ravelli, il più grande operatore della Borsa di quei tempi, un personaggio geniale, simpatico, un personaggio da film, una specie di Edward G. Robinson. Piero era tutto studio, approfondimento, filosofia. E comunismo. Ricco com’era, andava nelle sezioni del Pci con l’abituccio di Baratta, allora era il massimo. Lasciando la Jaguar a tre isolati di distanza. […] Entrai in una stanzetta piena di montagne di titoli obbligazionari fra i quali dovevo trovare quelle col numero estratto per il rimborso […] Aldo Ravelli mi disse: ”Dovresti pagarmi per lavorare con me, ma siccome sono generoso non ti chiedo niente’ […] Era un uomo di una genialità assoluta. Parlava solo dialetto, il bollatese. Era un uomo di sinistra, un socialista. Era stato a Mauthausen. La sua prima fortuna l’aveva fatta corrompendo una SS, salvando se stesso e una serie di amici importanti, soprattutto ebrei. Un giorno decise di pagarmi: 30 mila lire al mese, ovviamente in nero […] Al mattino ci si incontrava al Donini, un mitico bar di piazza San Babila […] Lui aveva già letto tutti i giornali e mi chiedeva: ”Te leggiù’. Io dicevo sì, ma non era vero […] Ci misi poco tempo a entrare a far parte dell’intellighentsia della Borsa […] imparai come funzionava il giochino e fui in grado di raggiungere la ”pace dei sensi’. […] Ero entrato in Borsa nel ”59 e riuscii a venirne via nel ”69. Grazie a quello che avevo imparato da Ravelli, ero anche diventato molto credibile nella foresta assai grezza della Borsa […] sono passato dall’altra parte della scrivania, all’Imi, in Montedison, ho vestito i panni dell’indipendente, cosa che strideva in un mondo che in termini finanziari è sempre stato bulgaro. E ho dato fastidio […] Uno come me per quel mondo è intollerabile. Ho alcuni miei prinicipi inderogabili, non faccio mai un’operazione […] per guadagnare soldi. Faccio operazioni che mi divertono […] Le operazioni che divertono sono spesso quelle che fanno guadagnare di più. […] uso virtù cardinalizie: prevedere, vedere, provvedere. Facendo così ho evitato di cadere come è successo a qualcuno in momenti di particolare euforia” […]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 10/2000).