varie, 5 marzo 2002
MIELI
MIELI Paolo Milano 25 febbraio 1949. Giornalista. Ex direttore del Corriere della Sera (dicembre 2004-marzo 2009, 1992-1997) • Laurea in Storia moderna con una tesi sul fascismo, è stato assistente alla cattedra di Storia dei partiti politici. Negli anni Settanta ha svolto un’intensa attività didattica, lavorando contemporaneamente come giornalista. Nel 1967 entra all’’Espresso” come corrispondente per l’estero e commentatore politico, per poi diventare capo della redazione cultura. Nel 1985 passa a ”Repubblica”. Editorialista della ”Stampa” dal 1986, nel 1990 ne diventa direttore. Dal 1992 al 1997 direttore del ”Corriere della Sera”, assume in seguito la direzione editoriale della Rcs. I suoi articoli di storia per ”La Stampa” gli sono valsi il premio Pannunzio (’liberal” 20/5/1999). «Diciottenne a ”L’Espresso”, a soli quarantun anni alla guida de ”La Stampa”. Poi un’avventura di cinque anni al timone del ”Corriere della Sera”, una serie di cariche societarie di rilievo sempre nel gruppo Rcs e anche la rinuncia a una presidenza: quella della Rai, per la quale era stato designato come figura di garanzia nel marzo 2003. Una gran carriera fuori e dentro - ma soprattutto dentro - i giornali, quella di Paolo Mieli e una passione mai messa da parte - la storia - che segna i suoi studi giovanili, un avvio di carriera universitaria e molti degli scritti anche di questi ultimi anni. [...] è un figlio d’arte - suo padre Renato Mieli fu direttore de ”l’Unità” e di ”Rinascita” [...] studia a un liceo di gran nome come il Tasso, milita in Potere operaio e prosegue gli studi alla Sapienza con due storici come Rosario Romeo e Renzo De Felice. Si laurea proprio con De Felice, di cui diviene poi assistente, con una tesi sul fascismo. Ma giovanissimo, mentre comincia l’Università, Mieli imbocca anche la strada del giornalismo: lo fa a ”L’Espresso”, allora sotto la direzione di Eugenio Scalfari, che passa presto la mano a Gianni Corbi e poi a Livio Zanetti. Al settimanale di via Po Mieli rimarrà per diciotto anni prima di passare a ”la Repubblica” e poi a ”La Stampa”. E la Stampa sarà la sua prima direzione, retta dal maggio ”90 al settembre ”92. Una scommessa per il presidente della Fiat Giovanni Agnelli, affidare a un giornalista giovane, affiancato dal coetaneo Ezio Mauro, la guida del quotidiano. E una scommessa che Mieli vince, visto che proprio l’Avvocato lo vuole alla guida del ”Corriere della Sera” dopo poco più di due anni di esperienza torinese. In via Solferino Mieli si insedia il 10 settembre del ”92, all’inizio del periodo di Tangentopoli, con un editoriale di presentazione ai lettori in cui sottolinea la responsabilità di prendere ”un’eredità preziosa in termini editoriali” e sottolinea come ”l’autorevolezza di un grande quotidiano di informazione e il suo peso nella vita nazionale dipendono dalla capacità di far pervenire al Palazzo la voce del paese, di essere l’espressione fedele dell’opinione pubblica che in una società democratica rappresenta la difesa naturale contro ogni pericolo di arroganza dei centri di potere”. Una linea che avrà modo di ripetere più volte e nella quale si inserisce anche il famoso episodio della notizia pubblicata dal ”Corriere” sull’avviso di garanzia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel giorno in cui Berlusconi presenzia all’apertura del G7 a Napoli. Fautore del ”terzismo”, una posizione che lo vede in cerca di distanze da entrambi gli schieramenti politici, Mieli dichiara: ”Se sei un guardiano devi continuare ad esserlo anche quando sono i tuoi a governare. Non è possibile usare un doppio peso, una doppia misura”. Una posizione che gli attira non poche critiche, specie da sinistra, e in particolare gli strali del suo ex direttore Scalfari. La prima direzione di Mieli al ”Corriere della Sera” finisce nel maggio ”97, quando assume la carica di direttore editoriale di Rcs. Da quel momento ha posizioni di rilievo nel gruppo fino ad assumerne la vicepresidenza, pur non perdendo mai il contatto con il giornalismo: prima con le pagine nella sezione Società e Cultura de ”La Stampa”, poi con le risposte alla posta dei lettori - nello spazio che era occupato dalla ”Stanza” di Indro Montanelli - sul ”Corriere”. Da queste esperienze arrivano anche libri di successo come La goccia cinese, Risorgimento, fascismo e comunismo, Diario di un anno tra storia e presente. Numerosi anche i riconoscimenti che Mieli ha ricevuto nella sua carriera, dal Premio Saint Vincent a quello Ischia, al Premio Pannunzio» (’La Stampa” 20/12/2004). «Disincantato. Al punto di essersi accorto con un ritardo di sei anni del fatto che Mani pulite gli aveva occupato il ”Corriere”. Il suo distacco dagli umani affanni lo avvolge di mistero. Scrive di storia con gusto ermetico per i suoi segreti, e ogni tanto si concede un caffè da Gambrinus, a Napoli. E’ l’unico che abbia diretto sia la ”Stampa” sia il ”Corriere”. Il grande Missiroli gli fa un baffo» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998). Nel 2003 rinunciò, dopo una trattaiva di alcuni giorni, alla presidenza della Rai. «Nell’aprile 1997 non aveva ancora compiuto cinquant’anni. Aveva appena lasciato la direzione del ”Corriere della Sera”, tenuta dal settembre del 1992, dopo aver diretto la ”Stampa” per due anni e qualche mese dal maggio del 1990. A nemmeno cinquant’anni poteva ben dire di aver centrato obiettivi molto importanti e molto invidiati nella vita di un giornalista italiano, il duplice riconoscimento di una carriera brillantissima. Fu così che, a meno di cinquant´anni, potè realizzare, forte della sua direzione editoriale della Rcs il sogno di coltivare il secondo mestiere che si portava appresso da una vita: quello dello storico. Un mestiere che non avrebbe accantonato in gioventù se una legge, nei primi anni Settanta, non avesse sancito l’incompatibilità tra l’insegnamento universitario vicino a Renzo De Felice e Rosario Romeo e quello del redattore di un giornale, nella fattispecie ”l’Espresso”, dove aveva compiuto i suoi primi passi di giornalista. […] Nelle polemiche storiografiche e giornalistiche che hanno caratterizzato la sua vita l’uscita dalla direzione del ”Corriere della Sera”, attraverso le copertine della cultura della ”Stampa” e poi dalla cura delle lettere per il giornale di Via Solferino, si è affacciata spesso la rivendicazione del termine ”terzismo”. Un termine su cui sono piovute non poche ironie: Mieli ”terzista” perché equidistante, perché ”cerchiobottista”, perché sospeso nella terra di nessuno di chi non si schiera né di qua né di là? L´ennesima conferma del Mieli che si barcamena, che non prende partito, che non entra in urto frontale con nessuno? Ma il ”terzismo”, o meglio la rivendicazione della ”terza Italia”, viene difeso da lui come la possibilità per un intellettuale della sinistra liberale e non forcaiola, democratica e non estremista di rifiutare le convulsioni, gli oltranzismi del muro contro muro, della delegittimazione politica o addirittura morale dell’avversario ridotto e massacrato come un Nemico cui riservare un trattamento incivile e irrispettoso. Un discorso di stile, di bon ton, di civiltà dei comportamenti? Qualcuno lo interpreta così. Lui risponde che”«il bon ton non c’entra niente”, che il vero problema è piuttosto quello di un’Italia che non sa interiorizzare il costume dell’alternanza, che trascina la comunità nazionale lungo la china della ”guerra civile mentale” permanente e della demonizzazione selvaggia dello schieramento avverso. I suoi detrattori leggono in questo discorso un tratto di astuto sganciamento. […] Nello scontro incandescente che ha avvelenato gli animi del mondo intellettuale italiano, la rilettura storica in chiave critica del passato ha comportato per Mieli la scomunica dei custodi dell’ortodossia e il sospetto più volte avanzato da questi ultimi di far parte di una torbida congiura ”revisionista”. L’attenzione alle ragioni dei ”vinti” della Resistenza e del Risorgimento diventa di volta in volta la prova provata che si intendono ”riabilitare” i fascisti sconfitti nella guerra civile del ”43-’45 o i ”sanfedisti”, i ”borbonici” e i ”briganti” sconfitti nel processo di unificazione italiana. Del resto, all’opposto, l’elementare constatazione che Stalin, oltre ad essere un sanguinario tiranno, è stato un grande statista del Novecento, gli è valso l’anatema della destra convinta di avere nientemeno a che fare, proprio nel caso del figlio del Renato Mieli che ruppe drammaticamente con il Pci e tutto il comunismo italiano, con un obliquo rivalutatore del dittatore giorgiano. […] Erede di Indro Montanelli nella pagina delle lettere del ”Corriere”, prova molto gusto nel mescolare l’’alto” e il ”basso” (secondo la definizione standard del ”mielismo” consacrata addirittura in una voce enciclopedica)» (Pierluigi Battista, ”La Stampa” 8/3/2003).