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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MILLER Bode Franconia (Stati Uniti) 12 ottobre 1977. Sciatore (alpino). Vincitore della Coppa del Mondo 2005 e 2008

MILLER Bode Franconia (Stati Uniti) 12 ottobre 1977. Sciatore (alpino). Vincitore della Coppa del Mondo 2005 e 2008. Nel circuito della coppa del Mondo dal 1997, vinse la sua prima gara il 9 dicembre 2001, un gigante in Val d’Isère. Ai Giochi di Salt Lake City 2002 conquisto due medaglie d’argento, in gigante e combinata, oro in supercombinata, argento in SuperG e bronzo in discesa libera alle Olimpiadi di Vancouver (2010). Nel 2003 fu protagonista assoluto dei Mondiali di St. Moritz conquistando l’oro del gigante e della combinata, oltre all’argento del superG, ex aequo con l’austriaco Hermann Maier. Ai mondiali di Bormio 2005 vinse l’oro in discesa libera e SuperG • «Nato da genitori hippies, dunque figlio dei fiori, impersona l’ideale del giovane atleta americano: di modi spicci, perfino rudi (si definisce ”un selvaggio moderno”), e, soprattutto, polivalente. Ha praticato lo snowboard, il fun, il roller-blade, il surf e il tennis, prima di diventare sciatore. Ha assaggiato la neve a tre anni e a dieci era già bravo. Oggi dice che ”fare sci è come fare sesso, perché per entrambe le cose sono necessari impegno fisico e concentrazione”. Ma Miller gioca pure a calcio e a basket, anche se gli sport di squadra lo coinvolgono di meno: ”Apprezzo di più il campione-individuo: nel basket mi piacciono i Lakers; ma il mio tifo va a McGrady e a Iverson, avversari della squadra di Los Angeles”. Iverson, il ragazzo tatuato e tutto-rap. Bode non lo imita, però si riconosce in una filosofia riconducibile a una frase: take it easy. A prenderla facile […] ”Noi americani sciamo, abbiamo impianti e posti da ricchi, ma il mio sport rimane ”povero’”. Colpa dei media. ”Non trasmettono la cultura dello sci, la disciplina regina dei Giochi. Oggi piace lo short track, dove ho visto vincere un australiano che ha ammesso di essere il peggiore: nello sci non sarebbe capitato. Eppure Apolo Ohno è un idolo, io no”. […] Un passato da sfasciacarrozze in più puntate. Un giorno faceva skateboard e beveva da una bottiglia di vetro: cadde e si ferì (poi però la ditta della bibita divenne suo sponsor); ai Mondiali di Vail si schiantò due volte, a quelli di St. Anton si sfasciò un ginocchio nella discesa della combinata, a un passo dal podio. Gli austriaci dicono che scia come un cow-boy, lui rende la frecciata stroncando Maier (’Non tornerà più come prima”) e promettendo di riprendere le gare veloci ”perché un giorno vorrò vincere la Coppa del mondo generale ed essere il numero uno”» (Flavio Vanetti, ”Corriere della Sera” 21/2/2002). « finito sulle copertine dei magazine e nelle pubblicità in televisione. Va e spacca, non solo nello sci. Quando racconta le sue peripezie ci mette passione e le smorfie giuste. Così lascia di stucco i suoi interlocutori quando dopo aver appena vinto una gara, vi spiega che ”Sì, lo sci d’accordo, ma se avessi voluto arricchirmi avrei giocato a tennis o a calcio”. Tennis e calcio, gli sport in cui secondo lui riesce meglio e che d’estate insegna ai ragazzini che si presentano a frotte nella tenuta di famiglia in New Hampshire, dove suo padre organizza camp estivi. Dice cose trasgressive. Come: ”Vinco in coppa del Mondo con l’aiuto della testa. Almeno il cinquanta per cento dei successi è un fattore mentale. Il fisico conta fino a un certo punto”. Semplicemente non crede nell’allenamento ossessivo di molti suoi avversari. Spiega: ”Non penso che si debba essere al top della forma per vincere. I sacrifici servono a poco”. Per prepararsi usa il sistema di Rocky: solleva barili e legname, gioca a calcio, tennis e anche a hockey, come a Lake Louise. Cerca di sudare divertendosi. E soprattutto evita, come fossero colera, i training camp organizzati dalla squadra americana di sci. Glielo permettono. E come sottolinea McNichol un po’ a malincuore: ”Bode fa quello che piace a Bode. Noi dobbiamo cercare di intervenire solo dove pensiamo debba essere educato. Ma allo stesso tempo siamo aperti anche ai suoi insegnamenti”. Storcono la bocca e si girano dall’altra parte solo quando cerca di catechizzare i suoi compagni di squadra con il suo nuovo (anti) regolamento: ”Basta con il ”no drinking, no partying’”. Insomma ama bere e fare festa (ovvio, non alla vigilia delle gare) e non crede che l’esagerazione possa stroncargli la carriera. un osso duro, scorza da cowboy, appunto, forgiata alla scuola di papà, un tipo strambo ex hippy che nella casa di Franconia, nella campagna del New Hampshire, fino a poco tempo fa non aveva né elettricità, né acqua corrente. La legge di famiglia dice che tutto nella vita bisogna guadagnarselo. Nello sci, dove a guadagnare soldi veri sono al massimo in quattro o cinque, lui si è già inserito in quel drappello di élite. Quando lo vedi te lo immagini con un cappellaccio in testa mentre spalanca con una pedata le porte ruotanti di un vecchio saloon, costringe il pianista a smetterla con quel motivetto noioso e ripetitivo e ottiene consensi offrendo whisky a tutti. Sarà perché ogni volta che spalanca con gli sci il cancelletto di partenza di uno slalom (la sua specialità, ma anche di un gigante, superG e discesa), sembra più un cowboy pronto a salire in groppa a uno stallone da rodeo, che uno sciatore in procinto di domare i pali e il pendio di una pista di neve. Anche perché per anni, con quella sua irruenza da Billy the Kid, non era riuscito ad addomesticare neppure i tracciati che fanno i bambini all’Abetone. Il suo motto era: ”Dash or crash”. Insomma: ”O la va, o la spacca”. E per anni, aveva ”spaccato”: era diventato famoso per non finire le gare e in un senso più letterale per aver collezionato una serie di infortuni da casistica ospedaliera. L’ultimo incidente nel 2001 ai Mondiali di St. Anton in cui si era squarciato il legamento crociato del ginocchio sinistro. Per anni era rimasto solo una promessa. Nel 2001 non era riuscito a mettere assieme neppure un punto nello slalom. Una serie di ”non qualificato” da scoraggiare qualunque allenatore. Kjetil-André Aamodt, uno che di sci se ne intende, disse: ”Questo ragazzo va più veloce di chiunque altro”. Troppo veloce però per passare in mezzo ai pali stretti di uno slalom o per evitare frenate pazzesche nei superG e nelle discese. E così i risultati non arrivavano. Ricordava più che altro un bolide impazzito in cerca di assetto. Dice il suo attuale allenatore, Phil McNichol: ”Scia in un modo tutto suo, non tradizionale, non ortodosso”. Ma guai a chi cercava di fargli cambiare idea. Lui spacconeggiando ribatteva: ”Voglio sciare come dico io. Credo non ci sia altro metodo”. Nel 2001 il ”metodo Miller” ha cominciato a funzionare. In gara ora non spacca più, va. E vince. Nel 2002 ha messo insieme quattro vittorie in coppa del Mondo (le sue prime assolute), tre in slalom e una in gigante e ha conquistato altri cinque podi; si è piazzato 2˚ nella Coppa di slalom e 4˚ in quella generale. E a febbraio, ha aggiunto alla sua collezione di freschi successi, anche due argenti olimpici in gigante e in combinata. Tutto in una stagione. Così ora che il ”metodo Miller” rischia di diventare oggetto di studio di una nuova scuola di pensiero, il cowboy della neve se la spassa a rimbrottare chi lo aveva denigrato. Ribadisce: ”In passato hanno spesso criticato il mio modo di sciare. Ma io me ne frego e faccio come mi pare. E vinco”. Già, ora vince. E piace alla gente. In America, dove di sci sanno giusto chi è Tomba, Maier e Picabo Street, è diventato uno dei poster da camera da letto della Generazione X. […] Ha tenuto testa da navigato comico anche a Jay Leno, mattatore. Ha licenziato la Fisher con cui aveva vinto e ha firmato con la Rossignol: un milione di dollari. Per la neve cifra da capogiro. Ma anche il grosso rischio di dover usare materiali del tutto nuovi. Miller il cowboy ama rischiare, non c’è dubbio. Si è fatto operare in artroscopia al ginocchio malandato e una settimana dopo era già alla partenza del gigante di Park City, durato peraltro solo poche porte (ma a Soelden era arrivato quinto). Era andato male anche nello slalom: non qualificato. Ma a Lake Louise la settimana dopo si era già ripreso con un settimo posto sia in discesa che in superG: di gran lunga i suoi migliori piazzamenti della carriera. […] La vittoria è l’unica cosa in cui crede. Per questo non sopporta quando Bruce Arena, l’allenatore di calcio Usa, parla del Brasile con profondo rispetto. Dice: ”Succede anche da noi nello sci, quando ci dicono che battere gli austriaci è molto difficile. Per me sono solo un mucchio di cretinate. Bisogna crederci sempre”. Fate come lui: applicate il ”Metodo Miller”. Ricognizione frettolosa del tracciato, riposino in partenza con un buon libro. Poi al momento del via, spalancate con gli sci le porte del cancelletto, come fossero quelle di un vecchio saloon e buttatevi giù. Per anni la pista gli è sembrata uno stallone recalcitrante. Oggi, che ha capito come addomesticarla, vincere sembra un gioco da ragazzi» (’La Gazzetta dello Sport” 7/12/2002).