Varie, 5 marzo 2002
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MIMUN Clemente Roma 9 agosto 1953. Giornalista. Dal luglio 2007 direttore del Tg5. Ex direttore di Tg1 e Tg2 • «C’è chi lo vede possibile presidente della Rai
MIMUN Clemente Roma 9 agosto 1953. Giornalista. Dal luglio 2007 direttore del Tg5. Ex direttore di Tg1 e Tg2 • «C’è chi lo vede possibile presidente della Rai. Chi prova a vederlo alla guida di Rai Uno. Chi continua a vederlo probabile direttore del Tiggì Uno. E chi, lui stesso, si vede semplicemente per quello che è: un ”uomo di prodotto” - si dice così in gergo Saxa Rubra - il quale ha portato il Tiggì Due a grandi ascolti. E ci tiene ad essere considerato politicamente non troppo sbilanciato. E tifosissimo, sì: ma della Lazio. ”Di cui non farei però l’agit prop, così come non l’ho mai fatto per nessuno”, spiega lui. Che comunque vota per il centro-destra ma è riuscito a far navigare il suo tiggì, dal ’94 in poi, attraverso il governo Berlusconi 1, quello Dini, Prodi, D’Alema 1 e 2, Amato. Mentre nelle palazzine accanto, quella del Tiggì Uno soprattutto e quella del Tiggì Tre, la girandola dei direttori faceva venire il mal di mare. Pur essendo un tipo teatrale nell’eloquio e negli scatti di irritazione - è leggendaria una litigata a mensa con Roberto Natale dell’Usigrai - ha un approccio non farfallone alle cose del mondo e del mondo Rai. [...] I suoi redattori dicono che gli piace stare dietro le quinte, e infatti a differenza del suo amico Mentana non conduce in video il tiggì. Si vede poco, riceve tante telefonate e molti premi, intrattiene le sue buone relazioni professionali. molto amico di Giuseppe Marra, editore multimediale dell’Adnkronos, giusto per fare un nome. Lui stesso sembra muoversi da sempre, naturalmente, in un’ottica da editore che potrebbe servirgli se davvero da Saxa Rubra si sposterà a Viale Mazzini: basti pensare alla sua passione, ”oltre le notizie”, per le rubriche, gli approfondimenti, l’impostazione delle linee generali. Viene dalla gavetta - ”Vengo dalla ga-ve-tta!” - e con Mentana oltre la direzione del Tiggì Cinque - Enrico numero uno e lui numero due ai tempi della fondazione - condivide il maestro: Albino Longhi, direttore del Tiggì Uno (ancora per poco). La sua filosofia è compresa in tre pillole, che non si stanca di ricordare all’ultimo praticante appena arrivato in redazione così come ai senatori del giornale. 1: Mai fare le interviste al citofono (potrebbe aggiungere: come quelle che si vedono nei programmi di Santoro). 2: Mai rivolgere alla vittima di una tragedia familiare (una madre cui hanno trucidato il pargolo, un pensionato cui hannmo sgiozzato l’anziana moglie): ”Ma lei che cosa prova?”. 3: Mai dimenticare che siamo una squadra e che il nostro vero editore è il pubblico. Sarà per questo che: ”Il linguaggio, ragazzi, il linguaggio...”. Ci tiene che il linguaggio giornalistico - ormai è quasi un’eresia, una pazza idea ingiustamente considerata fuori moda - sia molto cinematografico. Come il suo tiggì, che può piacere oppure no per il suo gusto di raccontare spigliatamente la società, ma comunque nella pigrizia generale spicca come ”linguaggio” assai riconoscibile. ”Imporre il nostro gioco” è un’altra delle sue ossessioni» (Mario Ajello, ”Il Messaggero” 16/2/2002). « passato indenne attraverso epocali cambiamenti politico-professionali. [...] lo hanno soprannominato Panda per come riesce a sopravvivere a tutti i mutamenti di clima televisivo. In Tv ha cominciato, in quota socialista, nel Tg1 democristiano, ha proseguito nel Tg2 craxiano, passato nel Tg5 berlusconiano. tornato come direttore nel Tg2 della Moratti, è stato confermato dai veltroniani del centro sinistra. E con il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi è finito a dirigere il Tg1, l’ammiraglia. In quota Forza Italia, naturalmente. Ma tutto questo parlar di politica e di magliette lo infastidisce. Socialista? Berlusconiano? A questo gioco non vuole giocare. ”Io sono disposto a fare outing se lo fanno tutti. Tutti quanti, insieme, contemporaneamente, diciamo per chi votiamo, quali azioni abbiamo, per quale squadra tifiamo [...] Io voglio una grande operazione di trasparenza. [...] Non me ne frega niente di fare interviste in cui l’obiettivo di partenza è sapere se sono berlusconiano o dalemiano [...] Io ho un curriculum perfetto. Sono andato a scuola, ho lavorato da ragazzino. Non ho avuto un’adolescenza facile. Ho faticato [...] Io sono orgoglioso di aver fatto il fattorino [...] Io volevo solo fare il giornalista [...] sono cresciuto in Tunisia, mio padre era un libico scampato alle persecuzioni contro gli ebrei degli anni Cinquanta, mia mamma era un’ebrea romana capitata a Tunisi per le vacanze [...] Nel ’68 avevo quindici anni. A me piaceva Bertrand Russel, gli epistolari di Einstein. Ero liberale ma già un po’ socialista. I miei amici andavano per manifestazioni o a lezioni di molotov. Io andavo a vedere se c’erano ragazze carine [...] Ero praticamente disoccupato. Martelli mi stimava per ragioni che non riguardano corti, cortigiani, regni, adulazioni o cose del genere. Mi rivolsi a lui. E lui mi fece entrare in Rai alla prima occasione [...] Ero in quota socialista nel Tg democristiano [...] Non ho mai fatto vita di partito. Non ho mai fatto parte di corti, non frequento salotti [...] Io e Carlo Freccero per un punto di share potremmo uccidere [...] Io non ho inventato nessun Tg leggero. Non mi si può accusare di fare un Tg rosa.[...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 32-33-34/2002). Vedi anche: Lucia Castagna, ”Sette” n. 8/1996.