Varie, 5 marzo 2002
MINCATO
MINCATO Vittorio Torrebelvicino (Vicenza) 14 maggio 1936. Manager. Presidente delle Poste (dal maggio 2005). Amministratore delegato Eni (dal novembre 1998 al maggio 2005). Dal 1957 al 1977 ha lavorato in Lanerossi, nel 1977 ha iniziato la carriera all’Eni. Dal ’90 al ’92 è stato presidente e amministratore delegato di Savio ed Enichem agricoltura, privatizzandole. Dal ’93 al ’95 guida l’Enichem in ristrutturazione. Fresca la nomina nel direttivo Confindustria (centro studi). «L’ENI è senza dubbio il capitolo principale della sua vita: una grande passione. Ma non l’unica. Anzi, la più autentica e profonda (forse l’unica irrinunciabile) è quella per la musica, fonte di gioia e, se del caso, anche di consolazione: una sorta di amore sviscerato, che non lo ha portato solo nel consiglio del Teatro alla Scala, ma gli ha fatto (e gli fa) varcare con la sistematicità del pendolo le Alpi, per approdare nel regno della musica per antonomasia: Salisburgo. [...] un veneto tosto, che alla sua regione è rimasto attaccato come sanno fare i veneti: così, tra le spole settimanali tra Milano e Roma e le numerose trasferte in giro per il globo, trova sempre l’occasione per fare una capatina a Schio, dove ha casa e gli amici della giovinezza. Cronista sportivo per passione, presto entra all’Eni, appena smessi (o quasi) i calzoni corti. Avendo sulle spalle sessantasei primavere, può dire di averne trascorse quarantacinque sotto le insegne del cane a sei zampe. Nell’Eni esordisce nella Lanerossi di Schio dal 1957 al 1977 e ne diventa direttore dell’amministrazione e controllo; dal 1977 all’84 approda nella Holding come direttore amministrativo finché il presidente Franco Reviglio lo vuole al suo fianco come assistente; nell’89 è responsabile delle risorse umane e dell’organizzazione; dal 1990 al 1997 guida prima la Savio poi l’Enichem e privatizza entrambe le società. Nel novembre 1998 diventa amministratore delegato dell’Eni, quando Franco Bernabè fa rotta su Telecom: viene riconfermato per il triennio ’99/ 2002 e poi fino al 2005» (’La Stampa” 14/5/2002). «Ha fatto guadagnare 21 miliardi di euro puliti alla sua azienda. Ha reso quasi 9 miliardi di euro in dividendi alle migliaia di soci, di cui 2,8 miliardi al ministero del Tesoro, azionista di riferimento. Eppure, è tanto amato dalla piazza quanto inviso al padrone. Anche perché, il padrone, è un groviglio d’interessi politico-diplomatico-affaristici. Quelle cifre dorate può rivendicarle, nel quadriennio 1999-2002 che lo ha visto al comando del primo gruppo italiano per capitalizzazione (55,6 miliardi, in Borsa). Quando s’insediò amministratore delegato, a fine ’98, il ragioniere di Schio era un prodotto difficile da vendere. Pochi lo conoscevano, non parlava l’inglese, non era laureato, non era un giovane yuppie né uomo da salotto buono. S’era distinto come tagliatore di rami d’azienda all’Enichem, ma sembrava pochino per trasformare il colosso parastatale in un gruppo moderno. Un compito vano nell’opinione dei più, così la domanda più frequente, all’inizio, era quando l’Eni si sarebbe consegnata armi e bagagli a una major. Lui rispondeva con uno dei suoi sorrisetti sornioni. Poi il tempo passa, e in quattro anni il ragioniere diventa il paladino degli investitori, e le spallate autorevoli che il mondo romano gli riserva non sono bastate a detronizzarlo: troppo rischioso sfidare il responso dei mercati, dei fondi esteri che nell’Eni hanno messo miliardi. Dei numeri, soprattutto: son lì da vedere, nei bilanci e a Piazza Affari, dove il titolo ha viaggiato dai 5 euro ai 14 attuali, ma erano 17,3 un anno fa. Un cursus impietoso se confrontato al resto dei listini, e vale lo stesso per Italgas, Snam Rete Gas, Saipem, le società-satellite di Eni. Chi le ha in portafoglio se le accarezza. Il ragioniere, che da poco è anche Cavaliere, ha lanciato due piani industriali: il 2000-2003, che in realtà s’è fermato al 2002 avendo centrato un anno prima l’obiettivo produttivo di 1,5 milioni di barili al giorno, ed è stato così rimpiazzato dal 2002-2005, di un mese fa e non meno ambizioso. Per salire di barili, s’è comprato Lasmo, British Borneo, Fortum, e nel gas ampie quote di Gvs, Galp e Fenosa. Inoltre ha portato in Borsa la rete di trasporto di Snam, a novembre 2001, quando tutti piangevano per le Torri, e ha incassato un’una tantum da 1 miliardo. Molti di quei soldi li ridà ai soci, altri vanno a riserve, altri 5 miliardi li ha spesi per comprarsi il 5 per cento di se stesso. ”Le nostre azioni sono un buon affare, quindi ce le compriamo”, dice. Sì perché il ragioniere è oculato come un mercante, ha solo quella debolezza della musica lirica che lo smuove. Eppure, i rapporti di Mincato con il Tesoro non sono mai stati facili. Troppa grazia, il ragioniere s’è fatto un manager ingombrante. [...] Forse dipende dallo statuto dell’Eni, scritto male sulla divisione dei poteri tra presidenza e dirigenza (chiedere ai Renato Ruggiero, Gian Maria Gros Pietro, o all’attuale Roberto Poli, che Mincato ha finito o finisce sistematicamente per oscurare). Forse l’uscita dal cda di Domenico Siniscalco, direttore generale del Tesoro, ha privato il ragioniere di un supporto ”tecnico” di vitale autorevolezza, lasciandolo alla mercè di un consiglio sempre più ”governativo”. O forse è solo l’ingombro fisiologico di uno che fa guadagnare 21 miliardi alla sua azienda» (Andrea Greco, ”la Repubblica” 1/3/2003).