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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Modigliani Franco

• Roma 18 giugno 1918, Boston (Stati Uniti) 25 settembre 2003. Economista • «Nato da una benestante famiglia ebrea, si era trasferito negli Stati Uniti nel 1939, in seguito alle leggi razziali di Mussolini, e aveva ricevuto una borsa di studio. Laureatosi in economia alla New School of Social Research, nel ’46 aveva ottenuto la cittadinanza americana, portata sempre con orgoglio. Dal ’62, aveva insegnato economia e finanza al prestigioso Mit, il Massachusetts Institute of Technology. Nell’85 aveva ricevuto il Nobel per la sua analisi del comportamento, del risparmio e dei consumi delle famiglie, e per il Teorema Modigliani-Miller sui meccanismi dei mercati finanziari che determinano il valore delle aziende. Il suo lavoro era stato costellato di ricerche, consulenze e testimonianze per numerose amministrazioni americane, e partecipazioni a simposi italiani. Tra i suoi libri, Reddito, interesse, inflazione: scritti scientifici, Le avventure di un economista: la mia vita, le mie idee, la mia epoca. [...] Pur professandosi americano, Modigliani rimase molto legato all’Italia. Alla consegna del Nobel, si soffermò sulla sua infanzia e adolescenza a Roma. ”Mio padre Enrico” raccontò ”era un medico di punta, mia madre Olga Flaschel un’assistente sociale volontaria. Non mi distinsi a scuola finché, a 13 anni, perdetti mio padre. Il Liceo Visconti mi fece fiorire: lo finii in anticipo, e a 17 anni mi iscrissi a Legge all’università. Mia madre voleva che facessi anch’io il medico, ma non tollero la sofferenza e il sangue”. Paradossalmente, i Littoriali della cultura di Mussolini determinarono il suo destino professionale: il giovane Franco vinse il primo premio con un saggio economico. Determinarono anche il suo credo politico: entrato in contatto con i gruppi antifascisti, nel ’38 si trasferì a Parigi, a casa di uno dei loro leader, Giulio Calabi, il futuro suocero. Dopo essersi preparato da solo alla Sorbonne, Modigliani tornò a Roma nel giugno del ’39, prese la laurea in Legge, e l’agosto successivo partì per New York. ”Studiavo dalle 18 alle 22 dopo avere venduto libri europei per tutta la giornata per mantenere mia moglie e il mio primo figlio”, spiegò. Nel ’48, ottenne la prima cattedra all’Università di Chicago, e divenne membro della ”Cowell Research in Economics”. La qualità della vita nei campus, le risorse messe a disposizione degli studiosi, lo spirito democratico dei suoi cittadini fecero di Modigliani un ammiratore degli Stati Uniti, come sottolineò ripetutamente. [...] Non intendeva accettare l’incertezza storica del nostro Paese, sollecitava misure coraggiose per il pieno impiego, insistendo che doveva essere anteposto a ogni altra cosa, chiedeva trasparenza e stabilità politica» (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 26/9/2003). «Il corso di studi in Legge era in verità piuttosto facile e mi lasciava molto tempo a disposizione. Non era richiesto un grande impegno, salvo che in tempo di esami. Io non seguivo le lezioni perché mi sembrarono subito tediosissime. Fu così che, alla ricerca di qualcosa da fare, mi imbattei in un’attività che aveva una qualche attinenza con l’economia. Mia madre e Fräulein Pabst mi avevano insegnato un po’ di tedesco, e mi fu chiesto di tradurre dal tedesco in italiano alcuni articoli per conto della Federazione dei Commercianti. Fu così che venni a contatto con i problemi economici affrontati nelle pubblicazioni tedesche: a quel tempo era di gran moda discutere del controllo dei prezzi. In quel periodo in Italia si svolgevano dei concorsi scritti interuniversitari - i Littoriali della Cultura - che coprivano varie materie scientifiche, letterarie e artistiche, ivi compresa l’economia, un po’ negletta invero nell’università. Benché organizzati dal Regime, vi partecipava e li vinceva il fior fiore dei giovani antifascisti. [...] Con mia grande sorpresa, il mio saggio risultò primo. La commissione esaminatrice mi suggerì che evidentemente avevo una certa predisposizione per l’economia. E io mi dissi: perché no? La partecipazione ai Littoriali fu importante anche per la mia formazione politica. Infatti, fu durante i primi due anni all’università che cominciai a scoprire una certa avversione al fascismo.[...] Non c’era in famiglia una guida chiara per me. Ricordo, però, che la mia antipatia iniziò con la guerra in Etiopia, che mi sembrò ingiusta, immotivata e moralmente abbietta. Ma il vero momento di svolta, di rivelazione, fu per me la guerra di Spagna. Fin da principio odiai l’intervento di Franco per sopprimere le libertà democratiche; poi, la sfacciata ingerenza fascista mi scandalizzò e mi pose decisamente contro il Regime. Questa presa di coscienza fu contemporanea al lavoro per i Littoriali. Il diploma di littore mi venne consegnato a Palazzo Venezia personalmente da Mussolini, il quale mi strinse la mano e mi diede la spilla con la ”M” maiuscola che ancora conservo. [...] Ricordo quel giorno a Cortina in cui mio suocero ci disse che dovevamo partire subito, senza perdere una sola settimana. Giulio Calabi aveva avuto da tempo problemi con il Regime, in quanto le Messaggerie importavano la stampa francese, e lui si era rifiutato di cedere alle pressioni, iniziate con la guerra di Etiopia, per ridurne l’importazione. La tensione con il Regime aveva raggiunto un punto tale che a mio suocero era stato ritirato il passaporto, restituitogli qualche tempo dopo grazie all’intervento di Curzio Malaparte, una mente indipendente, nonostante l’adesione al fascismo. Per questi precedenti, mio suocero temeva che, se non fosse uscito subito dall’Italia, i fascisti avrebbero potuto dargli problemi togliendogli nuovamente il passaporto. Da lungo tempo Giulio si aspettava qualche porcheria fascista, e per questo, dall’assassinio di Matteotti in poi, gradualmente e con grande rischio, aveva portato in Svizzera buona parte dei suoi risparmi. Dichiarò quindi alla famiglia che era in grado di vivere all’estero, almeno per qualche tempo, e tutti decisero di emigrare. A questo punto, generosamente, io fui invitato a unirmi a loro, valutando che la mia situazione potesse essere regolata in poco tempo. [...] Seguendo il nostro piano ci ritrovammo a Ginevra, da dove ci spostammo a Losanna. Fu lì che, con terrore, ci raggiunse la notizia del vertice di Monaco. Presi dal disgusto per il cedimento generale di fronte a Hitler e Mussolini, capimmo che l’Europa era ormai una terra da abbandonare» (Franco Modigliani, Avventure di un economista. La mia vita, le mie idee, la nostra epoca, a cura di Paolo Peluffo, Laterza 1999). «I contributi alla teoria economica ne fanno un maestro di molte generazioni. E’ sua, fra l’altro, quella fondamentale ”teoria del ciclo di vita” che lega l’andamento del risparmio nazionale al peso demografico delle varie classi di età, ciascuna delle quali ha diversa attitudine e capacità a consumare o ad accantonare reddito per i bisogni futuri. La sua qualità di studioso era tale che la Federal Reserve, la banca centrale americana, lo volle come consulente fin dai primi anni Sessanta. Partendo dall’esperienza acquistata nel contribuire alla politica economica degli Stati Uniti, si conquistò un ruolo via via più importante nelle scelte cruciali per l’Italia degli ultimi cinquant’anni. E’ difficile riscrivere la nostra storia, dal miracolo economico in poi, senza incrociare continuamente la sua personalità. Nel 1963 firma insieme con il leader repubblicano Ugo La Malfa la celebre Nota aggiuntiva che segna l’ambizioso progetto di programmazione dello sviluppo da parte del centro-sinistra. E’ il primo tentativo di importare in Italia la politica dei redditi, la concertazione triangolare governo-sindacati-imprese: a quei tempi si rivela troppo ambizioso. La politica dei redditi che negli anni Sessanta interessa sia l’America kennedyana, sia una parte della socialdemocrazia europea, non attecchisce nell’Italia del capitalismo avido e ottuso, e dove la sinistra è spaccata verticalmente tra socialisti e comunisti. Ma quella ricetta tornerà utile molto più avanti: un altro erede dei valori del Partito d’azione, Carlo Azeglio Ciampi, la userà poi con efficacia negli anni Novanta per domare l’inflazione, ridurre i deficit pubblici e abbassare drasticamente il costo del denaro. Non è un caso se Ciampi è il portatore di una visione ”alla Modigliani”: lo conosce fin dai primi anni Sessanta, quando l’economista diventa il più autorevole ispiratore del governatore Guido Carli. Da Carli a Baffi, da Ciampi a Fazio, l’ufficio studi della Banca d’Italia che in quel periodo è una fucina della migliore classe dirigente italiana, ha in Modigliani il suo vero padre spirituale. Per gran parte della élite tecnocratica italiana che viene da Via Nazionale, è obbligatorio avere nei curriculum di studi un passaggio al Massachusetts Institute of Technology dove insegnava il premio Nobel. Negli anni Settanta Modigliani insieme con il suo allievo Ezio Tarantelli lancia una lunga battaglia intellettuale per modernizzare il paese, e insieme la cultura del sindacato e della sinistra italiana. Ha un’importanza decisiva la sua lucida critica all’accordo tra Gianni Agnelli e Luciano Lama sul punto unico della scala mobile. Nella iper-indicizzazione dell’economia italiana il grande economista vede un pericolo estremo: un paese che non ha più spazi di manovra per fare politica economica si avvita nella spirale inflazionistica, è impotente di fronte a shock esterni come le crisi petrolifere. Le sue polemiche quotidiane in quel periodo rafforzano la componente europeista e moderata della sinistra italiana, sconfiggendo il dogma del ”salario come variabile indipendente” che rischiava di risucchiarci verso un destino ”argentino”. Se il centro-sinistra ha avuto il merito storico di agganciare l’Italia all’euro, lo deve alla vittoria delle idee di Modigliani, che non a caso attirarono su Tarantelli la violenza mortale del terrorismo rosso. Il premio Nobel ha continuato ad appassionarsi - e addolorarsi - per le vicende italiane. E’ intervenuto ogni volta che ha visto a sinistra sintomi di un’involuzione conservatrice: ha sempre preso posizione in favore della riforma delle pensioni (innalzamento dell’età, riduzione delle prestazioni) contro le resistenze sindacali, e ha sempre sostenuto gli stessi principi sia che al governo fosse Prodi sia Berlusconi. Ha difeso Berlusconi sull’articolo 18 in nome della flessibilità del lavoro, un altro tema su cui ha sempre denunciato ritardi e miopìe dell’Italia. [...] Nella sua maniacale attenzione all’attualità italiana, in quella capacità di intervenire istantaneamente nel dibattito nazionale, l’economia cessava di essere una materia arida e difficile: diventava una cosa viva, su cui si giocano i rapporti sociali, i modelli di convivenza, i valori e le scelte di civiltà. Ha dato agli italiani un esempio di coerenza e di rigore morale: non conosceva logiche di schieramento. Questa integrità intellettuale faceva di lui un italiano anomalo, sempre vittima di processi alle intenzioni. Una parte della sinistra italiana negli anni Settanta vedeva in lui la voce del padrone. Berlusconi di fronte alle sue critiche ha accusato Modigliani di condurre da dieci anni una guerra personale e pregiudiziale contro di lui. Gli allievi più stretti hanno un ricordo prezioso. Descrivono ammirati la sua curiosità (nelle ultime ore stava studiando l’economia della Cina), l’umiltà, la capacità di apprendere: doti rare in un uomo di quella età, e premio Nobel. Avrebbe voluto morire orgoglioso del paese in cui era nato, e a cui ha dedicato l’amore di un padre severo. E’ l’unico traguardo che la vita gli ha negato» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 26/9/2003).