Varie, 5 marzo 2002
MOGGI Luciano
MOGGI Luciano Monticiano (Siena) 10 luglio 1937. Ex direttore generale della Juventus, ex uomo più potente del calcio italiano, nel 2006 subì una squalifica di 5 anni in seguito allo scandalo “calciopoli/moggiopoli”, il 15 giugno 2011 arrivò la radiazione (primo grado). L’8 novembre 2011 il Tribunale di Napoli lo condannò a cinque anni e quattro mesi di reclusione (associazione per delinquere) • Iniziò negli anni Sessanta come osservatore dei bianconeri, fattosi fama di talent-scout nel 1976 arrivò come direttore sportivo alla Roma e acquistò Roberto Pruzzo (poi tre volte capoccanoniere del campionato). Passato per Lazio e Torino, arrivò al Napoli in tempo per partecipare alla vittoria del secondo scudetto (1989/1990) e della coppa Uefa (1988/1989). Tornato alla Roma, nel 1994 si dimise per andare alla Juventus e formare, con Bettega e Giraudo, la famigerata Triade. Risultato: sette scudetti vinti (95, 97, 98, 02, 03, 05, 06, gli ultimi due revocati), una Champions League (perdendo tre finali), una coppa Intercontinentale, una supercoppa Europea, quattro Supercoppe italiane. Suo motto: «Preferisco essere antipatico, perché vuol dire che alla fine me la godo io» • «Personaggio che pare uscito da un telefilm, da una commedia all’italiana, da qualche vecchia pellicola dei Pierini (Bombolo, Alvaro Vitali, Cannavale), dove la macchietta era sempre esagerata. Ma forse Lucianone, come viene chiamato per sottolineare l’ampiezza del suo potere e l’alone casereccio del personaggio, non sarebbe dispiaciuto neppure a Fellini. Di sicuro avrebbe fatto un figurone accanto a Gassman e Totò, nei Soliti ignoti […] “Mi hanno dipinto come il diavolo e io lascio fare, lascio credere che esista. Perché c’è un sacco di gente che ha paura del diavolo, e questo può far comodo”. Furbissimo, fintamente bonario, generoso nel circuito privato dei favori da chiedere e da rendere, e dei consigli da dare non necessariamente a chi lo stipendia (“Se mi domandano un parere, non mi tiro indietro: macché re del mercato, ho solo tanti amici”). Luciano Moggi non si limita a essere il direttore generale della Juventus che lo rimise all’onore del mondo dopo lo scandalo delle hostess per gli arbitri del Torino, non è solo un consigliere d’amministrazione bianconero che siede allo stesso tavolo degli Agnelli, ma è soprattutto una holding: decine di vecchi miliardi di fatturato, il controllo diretto e indiretto di almeno 400 calciatori e 40 club diversi in tutto il mondo, una ramificazione amazzonica di alleanze, amicizie, sottogruppi, lobby, confraternite che gli permette di stabilire “chi compra e chi vende chi”. È lui a dettare le condizioni, a stabilire i prezzi, a gestire il flusso del denaro e degli scambi, e adesso c’è pure suo figlio Alessandro, tra i soci fondatori della Gea, la “società dei figli di papà” che tratta contratti e stipendi degli assistiti direttamente con i padri e con gli amici degli amici. Le radici della “Moggi Corporation” sono dunque in grado di condizionare il mercato, se non addirittura il campionato, però lui nega: “A mio figlio ho solo insegnato a ignorare le cattiverie delle piccole persone” […] La sua parlata cantilenante è facile da imitare, con le vocali allunate e nasali […] Tutto comincia negli anni Sessanta, quando diventa “Er Paletta”, dopo avere vinto un concorso delle Ferrovie. La destinazione sarebbe Roma, ma lui fa richiesta di trasferimento a Civitavecchia perché lì la vita costa meno e lui ha già moglie e un figlio […] La ferocia degli ex poveri l’ha animato in tutta la scalata sulla superficie convessa e scivolosa del pallone. Quando stava sui binari […] accumulava doppi turni per avere poi quarantotto ore libere: le impiegava battendo i campetti di provincia per cercare giovani talenti […] Siccome ci azzeccava, diventò osservatore per la Juventus e poi delfino di Italo Allodi, l’inventore del mercato moderno e della “diplomazia” tra poteri forti del calcio […] Scopre perle nel fango: Paolo Rossi, Ciccio Graziani, Causio, Gentile, Pruzzo, Brio, Scirea, Gianfranco Zola che nessuno voleva perché piccolino […] Una volta, a chi gli fece notare i trascorsi non proprio cristallini di Lucianone e le di lui amicizie, l’Avvocato rispose: “Lo stalliere del re deve conoscere anche i ladri di cavalli” […] Frasi celebri del nostro eroe: “Hanno costruito un teatro, e in quel teatro ho studiato la mia parte”. “Il calcio è uno sport la domenica e un’industria in tutti gli altri giorni”. “Io ho molte chiavi e sono una chiave a mia volta”. […] A nessuno, nel calcio, conviene averlo per nemico […] chi si mette contro di lui ha chiuso: Giancarlo De Sisti e Aldo Agroppi, due tecnici che si sono permessi di criticarlo, non hanno più allenato neanche all’oratorio» (Maurizio Crosetti, I padroni del pallone, Baldini&Castoldi 2002).