varie, 5 marzo 2002
MOGOL
MOGOL (Giulio Rapetti) Milano 17 agosto 1936. Autore. «Figlio d’arte [...] dato che suo padre Mariano, direttore della musica leggera alla Ricordi, con lo pseudonimo Calibi scrisse canzoni famose come Vecchio scarpone e Le colline sono in fiore. [...] la carriera ufficiale del Gran Mogol comincia nel 1960 con Briciole di baci, musica di Carlo Donida, portata al successo da Wilma De Angelis e soprattutto da Mina. Un anno dopo infila a Sanremo Al di là, cantata da Luciano Tajoli e Betty Curtis: vittoria finale e strada aperta per la gloria. [...]» (Edmondo Berselli, ”L’Espresso” 1/8/2002). Gran parte della fama è dovuta alla partnership con Lucio Battisti: «Un binomio che per quindici anni (dal ’65 all’80) ha inondato di emozioni l’Italia. Inossidabile nel tempo. Resistente anche agli acidi corrosivi di un divorzio artistico che non ha mai avuto una vera ragione. E che ha suscitato tanti rimpianti nelle legioni di inconsolabili fan. Un binomio che ha rivoluzionato la musica leggera italiana. Sprovincializzandola, regalandole una dimensione di originalità, sublimandola nella poesia. Un itinerario di grandi successi che, fatte salve le proporzioni dei diversi mercati, alcuni critici hanno paragonato a quello di John Lennon e Paul McCartney. Frutto di una chimica speciale, di una fusione di sensibilità che si attraevano con la forza di un magnete. [...] ”Hanno scritto che eravamo avanti di vent’anni. Probabilmente è giusto, se le nostre canzoni conservano ancor oggi la loro modernità. Ma non c’era alcuno sforzo di sperimentazione. Le canzoni sorgevano spontanee, quasi di getto, per opera di una straordinaria sinergia. Non c’era quasi mai bisogno di limature. Lucio mi proponeva le basi musicali. E io scrivevo i testi davanti a lui. In diretta. Scherzando. Bevendo caffè. Una bottega artigiana. A volte, di mattina, li dettavo al registratore mentre dalla casa di Molteno guidavo la macchina verso Milano, prima di farglieli ascoltare in sala di incisione. Un lavoro di creazione. Ma anche un divertimento [...] Io non ho mai provato gelosie. E neanche lui, che pure era molto assorbito dalla difesa dei suoi spazi, me le ha mai dimostrate. Era rispettoso delle mie libertà. No, non ricordo che ci siano mai stati attriti caratteriali. Lucio era una persona dolcissima. E neanch’io sono un orco. Sono solo un po’ più asciutto di quanto fosse lui [...] Lucio mi venne raccomandato da un’amica comune. Quando l’ho conosciuto la sua produzione artistica era di poco conto. Confesso che fui attratto più dal sorriso, dalla faccia simpatica, che dalla qualità dei suoi brani. La nostra collaborazione nacque così, un po’ per caso, senza particolari programmi né speciali ambizioni. Il successo è arrivato subito. Come un processo naturale [...] non c’è mai stata una vera rottura. Una ragione, per così dire tecnica, fu il contenzioso su una striscia di terreno di un metro per cento che divideva al Dosso, un complesso di ville presso Molteno, la mia proprietà dalla sua. Una bega fra vicini di casa, di cui si occuparono gli amministratori, e in cui io non entrai mai in prima persona [...] ho sempre vissuto il mio mestiere con il giusto equilibrio fra passione e distacco. Mi considero un interprete della cultura popolare. Un autore che cerca di captare nell’aria quel che interessa alla gente. A volte ho tradotto in versi i miei problemi personali. E cercando di risolverli mi illudo di aver consolato qualcuno che era nella mia stessa situazione [...] La mia vena creativa non si è fermata col divorzio da Battisti. Però è vero che il pubblico è cambiato. La tirannia del marketing ha colpito al cuore la cultura popolare. La gente è ipnotizzata solo da quello che io chiamo il ’paradiso del concreto’. La rincorsa alla seconda casa, alla seconda macchina, al telefonino, al gadget di moda. In questo crollo di valori, non c’è più nessuno che si chieda dove stiamo andando, in cosa abbiamo sbagliato. Per cui l’artista tende a trasformarsi in pubblicitario. Il creativo in imbonitore. E con questo andazzo tutto si involgarisce, la qualità scade di livello”. [...]» (Gianni Perrelli, ”L’Espresso” 7/1/1999).