Varie, 5 marzo 2002
MONORCHIO
MONORCHIO Andrea Reggio Calabria 24 giugno 1939. Ragioniere. Dal luglio 2002 presidente della Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.). Ragioniere generale dello Stato dal 1989 al 2002, capo della Infrastrutture Spa, Ha insegnato presso varie Università, attualmente docente di Economia della spesa pubblica alla Luiss. Autore di numerosi saggi e pubblicazioni sulla finanza pubblica • «Un uomo per (quasi) tutte le stagioni [...] tipico personaggio di cerniera tra mondi diversi e a volte inconciliabili, civil servant e sensale, tecnocrate con risvolti mondani, serio ma spiritoso, disponibile a mille incarichi e gran cacciatore, nel senso che appena può va a sparare nei boschi dell’Est europeo. [...] sempre, se possibile, stare fuori dalla mischia, ma al tempo stesso galleggiare: ”Mai e poi mai ho avuto partigianerie politiche. Nessuno, dico ne-ssu-no può rimproverarmi di avere qualche simpatia per chicchessia”, è il suo motto. E infatti, nella lunga permanenza alla Ragionieria generale dello Stato, ben tredici anni passati nell´ala nobile di via XX Settembre, alle prese con i segreti del bilancio pubblico, l’inflazione, le manovre, i ”buchi”, le Finanziarie, le richieste di allargare i cordoni della Borsa, gli assalti alla diligenza, ha continuamente fatto lo slalom tra 11 governi e ben 10 ministri del Tesoro. E ha sempre inteso la Ragioneria come una entità ”autoreferenziale, tipo l’Arma dei Carabinieri o la Banca d’Italia”, il segno di una ”appartenenza”. Ce lo mise Andreotti, nel 1989; lo ha poi spostato Tremonti nel 2002, per mandarlo a Infrastrutture Spa. Promosso o rimosso? In mezzo ha fatto in tempo a vivere da comprimario il crollo del Caf, la transizione tecnica di Amato e Ciampi, l’arrivo di Berlusconi, il governo Dini, l’Ulivo di Prodi, la fine del centrosinistra. Ha visto l’Italia sull’orlo del baratro e poi risanarsi. Si è trovato a fronteggiare la rivoluzione monetaria dell’euro, cioè il più incredibile cambio di prospettiva che possa mai toccare ad un contabile, cifre a nove zeri, talvolta persino difficili da pronunciare, improvvisamente diventate più asciutte, più ”pesanti”. ”Tutti quelli che verranno dopo di me, non saranno mai il Ragioniere generale che sono stato io”, diceva il giorno dell’addio. [...] ha sempre il Maalox nel cassetto. ”Ma a me non piace esercitare il potere, bensì solo gestirlo. Chi ha potere ha la spocchia: ho forse la spocchia, io?”. La curiosità, sicuramente. La voglia di esserci anche. E pure di piacere. Altrimenti non conserverebbe nel suo nutrito archivio quelle che chiama ”le carte”, lettere e messaggini affettuosi di tanti uomini influenti: Prodi, Ciampi, Dini, Barucci. Ma anche, più indietro nel tempo, Carli, Baffi... [...]» (Elena Polidori, ”la Repubblica” 1/6/2005). «’Tutti quelli che verranno dopo di me non saranno mai il Ragionere generale che sono stato io […] Una volta quell’ufficio era come l’Arma dei Carabinieri, come la Banca d’Italia. Era autoreferenziale e segnalava una appartenenza […] Da quando Tesoro e Finanze sono stati unificati, è diventato un posto come tutti gli altri[…] Io, il potere, non l’ho mai esercitato ma sempre e solo gestito, che è cosa ben diversa. Eppoi, chi ha potere ha la spocchia: ho forse la spocchia, io? […] Il miglior feeling l’ho avuto con Guido Carli, senz’altro. Mi chiamava alle 9 del mattino e leggevamo insieme i giornali. Spesso mi faceva anche lezioni private di economia. Mi diceva: ”vede, per sapere se una scelta di politica di bilancio è giusta o sbagliata, bisogna guardare i mercati. Se i tassi salgono, allora è stato fatto un errore”. […] Il più distante Barucci. Però aveva tanti problemi, doveva fronteggiare una situazione davvero disperata: in quegli anni, siamo nel 1992, la lira era nei pasticci e bisognava fare una manovra da 100 mila miliardi. Pensi che io mi rinchiudevo nella biblioteca della Camera a leggere i libri per capire cosa poteva succedere ad un paese nelle condizioni del nostro. Eravamo tutti preoccupati» (Elena Polidori, ”la Repubblica” 17/5/2002). «’Ragioniere!”, gridò una volta un cronista inseguendolo di fronte a Palazzo Chigi. ”Guardi che sono professore”, fu la ferma risposta di colui che è da sempre il Ragioniere generale dello Stato. ”Ragioniere, ragioniamo…”, ma professore lo è davvero. Mentre il crepuscolo della Prima repubblica era turbato da fulmini e saette che annunciavano la crisi dei conti pubblici, tentò di offrire soluzioni tecniche per ridurre deficit e debito pubblico; il ministro del Bilancio dell’epoca (Paolo Cirino Pomicino) lo avvertì che il primo taglio avrebbe potuto riguardare la sua persona e la sua poltrona. Riuscì a farsi ascoltare dopo la crisi che travolse la lira nel settembre 1992; ma commise l’errore di scriverci un libro e, quindi, di uscire all’aperto con proposte di riassetto drastico di previdenza e altri aspetti dello stato sociale. Da allora, è nel mirino: nel 1994 i ”Ciampi boys” gli addebitarono di aver influenzato i risultati elettorali diramando (quando dovuto) i dati sul bilancio dello Stato. Ancora oggi, dopo aver per un istante fatto balenare l’idea di essere polista, ogni tanto fa il birichino e tira giù due conti sulle pensioni: ”Non reggono, non possono reggere”, confida a qualche giornalista. Poi il governo o i sindacati si arrabbiano e lui risolve tutto con la definizione che in Italia è propria delle stronzate: ”Il mio era solo un parere tecnico, parlavo a titolo personale” (da cui si deduce che attendibili sono solo i pareri dati da incompetenti dichiarati e per conto terzi). Come è noto, l’Ulivo non lo ha potuto rimuovere perché avrebbe dovuto promuoverlo a incarichi da semidio, visto che nella gerarchia pubblica non c’è niente al di sopra del Ragioniere generale. Così aspettano che, a forza di fare conti sulle pensioni, in pensione ci vada lui. Intanto gli tolgono pezzi di potere, di competenze, e li danno a Mario Draghi, che poi è un bell’uomo e non ha la faccia del travet. Di stock calabrese, lui resiste a tutte le intemperie. Quando andrà in pensione diventerà del tutto polista» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 24/10/1996). Vedi anche: Maria Latella, ”Sette” n. 38/1999.