Varie, 5 marzo 2002
Tags : Manuel Vázquez Montalbán
Montalbn ManuelVzquez
• Barcellona (Spagna) 27 luglio 1939, Bangkok (Thailandia) 18 ottobre 2003. Scrittore, poeta, saggista • «Se è vero che Flaubert disse “Madame Bovary, c’est moi”, Vázquez Montalbán non aveva bisogno di dire altrettanto su Pepe Carvalho: era fin troppo chiaro. A volte uno inseguiva l’altro: Carvalho abitava a Vallvidrera ben prima del suo creatore-alter ego. Erano nati l’uno e l’altro (l’uno è l’altro) nel Barrio chino, la zona povera di Barcellona, e malfamata. Piccoli e grandi delinquenti, puttane, spacciatori, ma anche famiglie operaie uscite a pezzi dalla Guerra civile. Bisogna andarci, anche adesso che è meta turistica, ma occhio alle borsette, annusarla, respirarla questa zona. In suo libro VM cita una frase di Marx: “Si conosce un paese solo quando si è mangiato il suo pane e bevuto il suo vino”. Frase talmente condivisibile che, innamorato cotto, durante le Olimpiadi del 1992, a Barcellona, mi ero imposto un giro nei ristoranti di Pepe Carvalho. Senza chiedere direttamente a VM: era già tutto scritto nei romanzi. [...] VM ha scritto libri di ricette, ma anche di poesie. Biografie (una, famosa, di Franco) e saggi. Ha fatto il giornalista, continuava a farlo. Poteva raccontare dei gol di Kubala o del subcomandante Marcos, dei rossi della Rivera del Duero o di Pasolini. I conti si fanno sempre, regolarmente, quando uno muore, ma non ce n’era tanta in giro, di gente così. Il commissario Montalbano, carattere ribelle ma inserito nella legge, buona forchetta, è nato in omaggio a Pepe, e si chiama così in onore di Manolo. [...] Non c’è quasi mai lieto fine, nelle storie di VM. Anzi spesso il finale lascia l’amaro in bocca. Nemmeno, come si usa dire, il colpevole viene sempre assicurato alla giustizia. A VM importava più raccontare storie abitate da persone vere che infiocchettarle col lieto fine. [...] Pepe ha una sua morale e non la piega, non la affitta, non si fa comprare. È ostinatamente di sinistra non tanto per quello che fa ma per quello che non fa. Non ha simpatia per i potenti, gli arricchiti, la crème. Non è né si sente la crocerossina dei derelitti, degli ultimi, ma sa da che parte stare. Non dà importanza ai soldi, né alle cose. Si ripromette di bruciare un libro al giorno (fa un’eccezione per quelli di Conrad) perché ne ha letti tanti ma non gli hanno insegnato a vivere. A chi gli chiede se è marxista, risponde di sì, “sezione gastronomica”. È romantico quasi controvoglia. Scrive più di mille lettere a Charo ma non ne imbuca una. Ha più ex amici che amici, più ex compagni che compagni, più lampi erotici che amori. [...] L’impasto narrativo in cui faceva convivere Ostrovskij e Paul Anka (un retrogusto di Soriano). “Cinema e canzoni si sono alimentati di letteratura. È tempo che la letteratura si alimenti di cinema e canzoni. I programmatori del divorzio tra cultura d’élite e cultura di massa moriranno sotto il peso della massificazione della cultura:”, aveva scritto VM. È morto ancora giovane, sgambettato da un cuore che ho immaginato grande e generoso» (Gianni Mura, “la Repubblica” 20/10/2003) • «Leggere le avventure di uno dei detective più celebri d’oggi significa sconfinare nella biografia, nelle idee, nei valori del suo autore. Manuel Vázquez Montalbán è nato nel 1939. Il suo alter ego poliziesco, più o meno negli stessi anni. Entrambi sono cresciuti in un quartiere povero e antifranchista di Barcellona, che s’è appeso per anni a storie orali di libertà. Entrambi hanno visto per la prima volta i loro padri all’uscita della prigione nel ‘44, entrambi hanno scoperto la gastronomia mangiando un piatto di calamari “a la romana”. Entrambi mescolano in un meraviglioso pastiche vita vissuta e fantasia, cucina e romanzi, ideologia politica e disincanto, amore e calcio. Pepe (nome inconsueto nella lingua spagnola, più o meno un vezzeggiativo di José) ha visto la luce all’inizio degli anni Settanta, con i romanzi Ho ucciso JFK e Tatuaggio (poi film, diretto da Bigas Luna), nella Spagna che fermentava la libertà sotto il tallone del logoro franchismo. Ama la buona tavola, il buon vino, ha un ufficio in un vecchio palazzo sulle Ramblas con pareti verdi e scrivanie anni Quaranta. Abita in una villetta a Vallvidrera e spesso cena davanti al caminetto che accende - orrore! - con pagine di libri, perché la cultura avvelena la vita. Si è laureato in lettere, non usa il classico impermeabile dei detective, compra preservativi, non riesce a dormire a Madrid. È attento e preciso, si sporca le mani e la coscienza, viola la deontologia se è il caso, s’innamora delle clienti. Si circonda di personaggi vividi e umani, dalla prostituta Charo amata per anni (nella serie tv in Italia aveva il corpo di Valeria Marini), a Bromuro, il lustrascarpe-informatore, a Biscuter ex scassinatore e aiutante tuttofare, al pastore tedesco senza pedegree. Come tutti gli investigatori privati postmoderni è sornione e autoironico. “Siamo utili quanto gli straccivendoli - dice delle propria categoria professionale -. Riscattiamo dalla pattumiera quello che ancora non è pattume. O tutto sommato potrebbe non considerarsi tale”. Ma non è povero in canna, anzi, ha messo da parte un bel gruzzolo per la vecchiaia. È disincantato, romantico, refrattario alle ideologie forti. Si dichiara “un ex marxista”, un po’ perché ha militato nella Cia (forse facendo il doppiogioco), ma soprattutto perché ha sposato Muriel, una comunista talmente fanatica da citare la rivoluzione anche durante il sesso (tutta la sua biografia virtuale è ricostruita nel volumetto di Quim Aranda, Piacere Pepe Carvalho, Feltrinelli). Montalbán ha scritto di tutto. Saggi e critiche culinarie, romanzi e guide (bellissima quella dedicata a Barcellona pre-olimpiadi). Il giallo era per lui un divertimento alto. Un impegno, una poetica. Un modo per smontare il mondo, con le sue ingiustizie, e illudersi talvolta di aggiustarlo» (Bruno Ventavoli, “La Stampa” 20/10/2003) • «La prima volta che si lesse in italiano un testo di Manuel Vázquez Montalbán fu nel 1976, in Giovani poeti spagnoli del leggendario José Castellet. Castellet aveva pubblicato nel ‘62 un’altra storica antologia, Spagna, poesia oggi: la nuova Spagna si affacciava sulla scena europea e in una poesia di Vázquez Montalbán si leggevano questi versi: “Il juke-box bar dove vibra l’ultimo Modugno ‘ad / un attimo d’amore che mai più ritornerà’// e forse tutto è meglio così, se si spera // perché se arrivi non puoi più tornare / a Itaca”. Quei versi erano sorprendenti due volte. Per noi italiani, poiché vi compare il nome di Modugno; e per ciascun lettore, per la stessa ragione. La poesia cominciava ad annettere a se stessa i materiali di tutti i giorni, i materiali di cui sono fatte le vite comuni, i materiali della cultura popolare. Quattro anni dopo uscì in italiano il Manifesto subnormale del 1970. Era nello stesso tempo un libro d’avanguardia, per la sarcastica e spavalda composizione mista (prosa, farse, poesiole, disegni); e un libro di addio all’avanguardia (“Lei scrive? Mi chiedeva sollecito Somerset Maugham. È un’attività ogni volta meno libera. Ogni linguaggio schiavizza lo scrittore al sentimento del suo tempo e da questo traggono beneficio i supermercati”). Ma due anni dopo, ecco I mari del sud, ecco comparire in scena Pepe Carvalho. La rivoluzione è duplice: fedeltà alle origini (la venerazione per la cultura italiana, da Modugno a Pavese) e sguardo sul futuro (l’America di Chandler è l’America buona, l’America disincantata, a proposito delle rivoluzioni e dei mercati, e tuttavia liberale e democratica). Fu l’inizio di una nuova carriera, o addirittura di una nuova storia. Non solo un modo diverso di concepire la vicenda letteraria — un modo spregiudicato, svincolato da ogni moralismo. Ma il segnale che in Spagna e addirittura in Europa, era finita un’epoca. In Spagna era finita l’epoca della poesia, altissima e chiusa in se stessa; o gettata via, in esilio per il mondo. In Spagna era finito il franchismo e con il franchismo una visione regionale della letteratura. In Europa era al tramonto l’idea moderna, l’originalità a tutti i costi. Che cos’era Pepe Carvahlo se non un calco di eroi venuti da lontano? Pure, Vázquez Montalbán non è un chierico che ha tradito. In una delle prime avventure, il poliziotto brucia tutti i suoi libri, gettandoli nel fuoco di un camino. Ma il creatore di Pepe Carvahlo non gettò via se stesso. Restò il poeta che era stato. Scrisse saggi di critica letteraria, memorabili per il tentativo di ritrovare le radici iberiche. Scrisse biografie, tra cui fondamentali quella dedicata a Francisco Franco e quella dedicata all’anarchico Galindez. E senza mai dimenticare i piaceri della vita (tra tutti, massimi lo sport e la cucina), per incontrare lo Zorro del terzo Millennio, il Subcomandante Marcos, al quale dedicò nel 1999 Il signore degli specchi, Vázquez Montalbán, dal subnormale al Subcomandante, dalla Spagna volò fino in Messico: fedele all’avventura» (Franco Cordelli, “Corriere della Sera” 20/10/2003).