Varie, 5 marzo 2002
MONTESANO Enrico
MONTESANO Enrico Roma 7 giugno 1945. Attore (comico) • «Nella preistoria dell’indignazione di regime, indimenticabile resta la prima puntata del Fantastico che diede avvio al tormentone pedagogico del “perché non si fanno le crisi”. Lui sbucò da un televisorino piombando nello studio accolto dalla povera Milly Carlucci ridotta al rango di valletta a cui, fantasticamente, Enrico concedette tutti gli opportuni ammonimenti di buonsenso governativo. Furono mazzate per Fausto Bertinotti, traditore dell’Ulivo, e ci furono incensi e altre fumigazioni talari, per coccolare l’icona parrocchiale dell’ex curato d’Italia, Romano Prodi. Ex europarlamentare annoiato, già propagandista al fianco di Rutelli, ha fatto coincidere il suo declino con una strana smania sinistrorsa che ormai lo fa dare per disperso. Cresciuto al fianco del suo papà, lungo i corridoi di palazzo del Drago, nella vecchia sede del Movimento sociale di Giorgio Almirante su via delle Quattro Fontante, è maturato snaturandosi. S’è perso giusto di fronte a quella via Sistina, dove, più grandicello, darà il meglio nell’obbedienza alla grande tradizione teatrale. Officina di Garinei & Giovannini, coccolato da Aldo Fabrizi, Paolo Panelli e Bice Valori, diventerà un altro. Ci voleva la sinistra de ‘noantri per rovinare un grande talento del teatro» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998) • «È che io, che sono nato nel ‘45, appartengo alla generazione che non ha fatto in tempo. Sempre fuori tempo, c’era la guerra e io non ero né carne né pesce, non ho fatto la Resistenza, il Sessantotto era troppo presto, quando sono andati di moda i giovani non ero più giovane, quando ho cominciato a fare il comico avevo sulla testa i grandi del tempo. Con tutto il rispetto, Sordi non mi ha mai nominato, poi ho avuto la fortuna di lavorare con Manfredi, con Gassman. A un certo punto sono arrivati i nuovi comici e io ero già usato. Insomma, sono nato a cavallo: del secolo e del millennio [...] Nel ‘68 è scoppiato tutto quando sono andato all’Università. Ma l’ho fatto da fuori, l’ho visto, l’ho odorato. In poche parole, se quella di Gaber è la generazione che ha combattuto e ha perso due a zero, la mia generazione ha perso a tavolino [...] Appartengo al Club degli Apoti, quelli che non la bevono. Penso di stare a sinistra, ma c’è la sinistra burocratica, quella radical chic e quella popolare, che mi piace. La sinistra burocratica-partitica, è dura da mandare giù. [...] Quand’ero piccolo mia madre ricordava a mio padre di stare calmo, papà Armando e zio Beniamino suonavano la fisarmonica, suonavano Rosamunda e Giovinezza. E non era proprio il caso, nel ‘48, ‘49, fare Giovinezza d’estate con le finestre aperte, con tutti i vicini che sentivano. Mia madre, oltretutto, era figlia di un tipografo dell’Unità! Il 25 aprile e il 1° maggio passavamo davanti alla sede del Pci e c’erano tutte le bandiere rosse, un’aria di festa. Noi niente, mio padre ci faceva allungare il passo e guardare per terra. Per dispetto non mi piacevano neanche le fave col pecorino. Come per spirito di contraddizione, con tutti i miei cugini che andavano a vedere la Roma, sono diventato della Lazio [...] Alighiero Noschese. Quando io, geometra, facevo il disegnatore, ricordo che lo ascoltavo alla radio e lo adoravo. Mai avrei sognato di fare coppia con lui, invece è successo. Ricordo che durante i film che abbiamo fatto insieme, nei camerini di Dinocittà, film come Io non scappo fuggo o Il furto è l’anima del commercio, ci divertivamo a imitare personaggi, ci alternavamo a fare Totò e Tina Pica, lui era grandissimo. Ho ancora il rammarico di non essergli rimasto vicino a suo tempo» (Maria Pia Fusco, “la Repubblica” 3/8/2003).