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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MORANDI

MORANDI Gianni Monghidoro (Bologna) 11 dicembre 1944. Cantante. Attore. Nel 1962 vinse il Festival di Bellaria per cantanti dilettanti e incise il suo primo 45 giri Andavo a cento all’ora. Sempre nei primi anni ”60 arrivarono anche i primi film legati alle sue canzoni, come In ginocchio da te (1964) e Non son degno di te (1965) • «Un artista che, senza strafare in presenzialismo, si è conquistato un peso specifico nello show-business. E non si tira indietro quando si tratta di farlo pesare. La Morandi Story comincia nel 58, in una Casa del Popolo vicino Ravenna. Ad assistere al suo debutto canoro ci sono, dai quadri appesi alle pareti, Stalin, Gramsci e Togliatti. Del resto papà Renato, gran comunista, fin da piccolo lo portava con sé a diffondere l’Unità, curandone l’educazione politica più di quella scolastica (si ferma alla quinta elementare). Gianni si fa quattro anni di gavetta. Col padre che non lo incoraggia: ”Fai il ciabattino, che è un mestiere sicuro”. A scoprirlo è Franco Migliacci, uno dei cervelli della musica leggera, ”un secondo padre” per Gianni. Nell’Italia del boom la straripante energia di Morandi unita alla simpatia hanno presa immediata. Il cantante segna gli anni Sessanta con una raffica di successi: Fatti mandare dalla mamma, In ginocchio da te, Non son degno di te, Se non avessi più te, La fisarmonica, Un mondo d’amore. Fotogenico e ragazzone, in tv Morandi sfonda il video. E non scandalizza l’Italia benpensante nemmeno quando canta educato C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones e punta l’indice contro la guerra nel Vietnam. Ma il vento gira. E negli anni Settanta, anni di piombo, Morandi si scopre superato. La goccia che fa traboccare il vaso sono i fischi del pubblico milanese quando si esibisce prima di un concerto dei Led Zeppelin. Gianni va in esilio: s’iscrive al conservatorio romano di Santa Cecilia. E scompare. Anche la sua vita familiare va a rotoli: si separa da Laura Efrikian, la madre di Marianna e Marco, l’attrice sofisticata e più grande di lui che ha sposato contro il parere della famiglia, ”ma che mi ha insegnato a parlare l’italiano”, ricorda Gianni ancora oggi. All’inizio degli anni Ottanta Morandi prova il rientro, tra lo scetticismo generale. E invece il successo torna, più grande di prima. Perché l’Italia non si è scordata di lui, perché le nuove generazioni lo scoprono e perché ad aiutarlo accorrono nomi importanti come Mogol, orfano della collaborazione con Lucio Battisti. un crescendo irresistibile che culmina nella vittoria a Sanremo 87, con Tozzi e Ruggeri e la canzone Si può dare di più. Nel 94, altro colpo di scena: ecco il Morandi catto-comunista. Che canta a Lourdes e confessa: ”Mi sono sentito fragile, stupido, pieno di vizi. Io non sono cambiato, ma il comunismo forse mi ha deluso. Ma mi sento sempre di sinistra, non gridate al miracolo”. Nel ’95 torna a Sanremo in coppia con la bolognese Barbara Cola, sua protetta. La canzone è In amore, arriva seconda alle spalle di Giorgia, ed è considerata la vincitrice morale. Anche la vita privata va a gonfie vele. La sua compagna Anna Dan gli dà un nuovo erede, Pietro. E la figlia Marianna col piccolo Paolo lo trasforma nel nonno cinquantenne più famoso della musica leggera. Poi c’è lo sport. Altro capitolo importante. Fonte di buone public relation. Non solo Morandi fa il maratoneta (corre pure a New York), ma dall’81 è membro fondatore e animatore della nazionale cantanti. Di che si tratta? un’iniziativa benefica capace di rastrellare cifre notevoli con sfide calcistiche contro improbabili nazionali di politici, magistrati o piloti di Formula 1 che riempiono gli stadi di giovani fan. Ma è anche una delle più potenti lobby del mondo dello spettacolo. Il 99 è un’altra annata Doc per Morandi. A Sanremo è l’ospite d’onore. A Modena, al Pavarotti & Friends, duetta con Big Luciano. E corona la stagione con il trionfo di C’era un ragazzo, programma per Raiuno dove ricostruisce la sua carriera. Ad aiutarlo anche questa volta si muovono artisti, autori, intellettuali, politici: da Lucio Dalla a Michele Serra. Cinque puntate, ascolti trionfali (10 milioni di media) e una leggendaria ospitata canterina di Massimo D’Alema» (Stefano Pistolini, ”L’espresso” 24/2/2000). «A casa sua, negli anni Sessanta, si andava in pellegrinaggio. Una villa bassa, nascosta da una siepe dalla quale si scorgeva il tetto. Ci arrivammo adolescenti da Roma, in due su una bici. A Tor Lupara, comune di Mentana, venti di chilometri dalla capitale. Una pedalata sfiancante, su e giù per stradine di campagna. Lì, lungo la siepe, bivaccavano intere famigliole, Seicento Multiple e Lambrette parcheggiate sull’erba alta. [...] Tor Lupara era la nostra Graceland, Gianni il nostro Elvis. II rock’n’roll non aveva ancora compiuto dieci anni e tutti, eccitati dal boom, eravamo meno esterofili. [...] ”Ho cominciato a quindici anni e a trenta avevo l’impressione di aver già fatto e detto tutto. Ogni 45 giri superava il milione di copie vendute. Ero il re degli anni Sessanta. Neanche Celentano all’epoca scatenava tanto entusiasmo. Poi, già marito e padre, nel 1966 andai militare”. E proprio come Elvis, la sua naja diventò un problema nazionale. [...] non riesce a valutare obiettivamente l’enormità del fenomeno che scatenò. Tende piuttosto a minimizzare. ”Nel nostro mondo non ci sono certezze. Dopo tre, quattro anni il telefono a Tor Lupara non squillava quasi più. Mio padre, per fortuna, mi aveva cresciuto con la mentalità del contadino, che semina e sa che può arrivare la grandine e distruggere il raccolto [...] Nel 1992 andammo con Eros Ramazzotti e la Nazionale Cantanti in America per incontrare Michael Jackson. Avevamo un progetto comune: raccogliere fondi per l’infanzia. Michael era inaccessibile. Ci istruirono sul cerimoniale: niente strette di mano, non guardatelo negli occhi, non avvicinatevi troppo. Poi ci presentarono il cuoco pakistano e consigliere spirituale di Jackson. Aspetto ieratico, barba lunga fino all´’ombelico, sguardo impenetrabile. Ci racconta che Michael va pazzo per il suo riso basmati. ”Io, dice, sono l’unica persona ammessa senza preavviso al suo cospetto’. Appena restiamo soli, il pakistano si avvicina con aria complice e bisbiglia: ”Ahò, io so’ de Roma. Ma tenetevelo pe’ voi. Io co ”sta storia der pakistano porto a casa sedicimila dollari ar mese’”. L´aneddoto lo fa riflettere sulla condizione delle star: ”Siamo creature fragili. Uno canta perché ha bisogno di mettersi in mostra, di farsi coccolare, di sentirsi adulato”. In America c’era anche stato molti anni prima, gli fecero proposte interessanti, ma come Virna Lisi e Modugno decise che tornare a casa sarebbe stato più saggio. Era il 1969, l’anno in cui Enzo Biagi, dopo i trionfi di Canzonissime e Cantagiri, lo intervistò in tv in Dicono di lei. ”Al Madison Square Garden, venne a trovarmi l’editore americano dei Beatles. ”Visto che lei è molto legato al suo paese, le proponiamo un contratto che le permetterà di rimanere in Italia tre mesi all’anno, ci preoccuperemo noi di farle imparare bene l’inglese’, mi disse. Ma non è facile rimettersi in discussione quando sei già una star, e io, che avevo pubblicato il primo 45 giri nel ”61, in Italia in quel momento ero al top. Venivano fiumi di gente a vedere i miei film, i cosiddetti musicarelli. Con un biglietto da 150 lire s’incassava un miliardo. Tanto fu il fatturato di In ginocchio da te (1964), oggi equivarrebbe a 25 milioni di euro. Poi arrivarono Non son degno di te, Se non avessi più te, Chimera. Film con cinquanta canzoni dentro che entrarono a far parte del quotidiano”. Ma l’Italia del Sorpasso trovò dietro la curva una brutta sorpresa. ”Durante un Cantagiro, nelle Marche, iniziò la prima contestazione. Venne un gruppo di anarchici a tirarci le uova. Fu il segnale che qualcosa stava cambiando”. Morandi aveva in repertorio un formidabile passe-partout generazionale, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, che Joan Baez trasformò definitivamente in un inno della rivoluzione studentesca. ”Ma non servì. Il mio personaggio era troppo da rotocalco, Stop, Luna Park, Sorrisi e canzoni, sempre in copertina con moglie e figli. L’austerity e gli anni di piombo cambiarono anche la musica. Arrivarono i cantautori: Venditti, Lolli, Guccini, e l’invasione del rock britannico. La mia generazione, Rita Pavone, Little Tony, Bobby Solo, fu messa da parte. In dieci anni ebbi un solo successo, Sei forte papà, un brano per bambini che diventò la mia condanna, perché quando cinque anni dopo pretendevo di ricominciare con delle canzoni vere, nessuno mi prendeva sul serio”. [...] Morandi ebbe un lavoro prima di tutti i suoi compagni di scuola, ma fu anche il primo a rimanere disoccupato. Come la prese? ”Avevo serenamente perso la speranza, mi ero messo a studiare contrabbasso al conservatorio di Santa Cecilia, in via dei Greci, a Roma. Facevo finalmente conoscenza con Stravinsky e Beethoven. Riempivo così le mie giornate, perché diciamo la verità, non avevo niente da fare. Per fortuna un po’ di soldi da parte li avevo, perché io sono sempre stato parsimonioso, passato anche per avaro. Figlio di contadini, avevo mandato a memoria la lezione di mio padre: metti sempre da parte i soldi delle tasse perché prima o poi te li chiedono. Io gli eccessi delle star non li ho mai capiti. Mi diverto con poco: una maratona, un giro in jeep per il bosco”. Dieci anni nelle liste di disoccupazione del pop non sono poche, ma gli italiani Morandi se lo erano sempre tenuto nel cuore. ”Stavo preparando l’esame di diploma al conservatorio. Incontrai Mogol, che aveva appena lasciato Battisti, dopo Una giornata uggiosa. Gli era esplosa la passione per il calcio e cercava cantanti da coinvolgere nello sport. Non mi parlava mai di musica, solo di calcio. Poi un giorno mi chiese: ma tu cosa fai, canti ancora? Così nacque Canzoni stonate. Poi tornò alla carica Migliacci e mi regalò un altro successo, Uno su mille. E Lucio (Dalla), il mio amico numero uno”. Dieci anni si silenzio per riflettere su dieci di successo. Quale fu il bilancio? ”Pensai a quanto male può fare l’adulazione, essere circondato da yes men, soprattutto quando non ragioni con la tua testa. Questo non fa bene a un ragazzo”. Quella faccia pulita, i capelli alla umberta (li ha ancora tutti, neanche uno bianco; se li colora, ha indovinato la nuance), il modo tenero e sgraziato di ciondolarsi davanti alle telecamere senza mai sapere come gestire quelle mani ingombranti lo trasformarono in una sorta di sex symbol. ”No, non credo. Se lo ero, non me ne rendevo conto. Piuttosto mi vedevano come un fratello. Il mio matrimonio (con Laura Efrikian, dalla quale ha avuto i figli Marianna e Marco, ndr) non deluse le fan. La mia vita era una favola, non molto dissimile da come appariva sulla copertina di Grand Hotel. Ma una cosa mi è mancata: fare un bel film, un film vero. Forse perché mi ricordo di quando, bambino, vendevo le caramelle nel cinematografo di Monghidoro e vedevo questi grandi, immensi eroi americani sullo schermo. Secondo me non mi scritturano perché non riescono a immaginarmi in un personaggio che non sia Gianni Morandi”. Anche Sinatra aveva lo stesso problema. ”Ma che c’entro io con Sinatra?”. Una chance di diventare il Sinatra italiano lei ce l’ha. Dopotutto già nel ”62 la chiamavano il Paul Anka nostrano. ”Mi sembra esagerato”. [...]» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 31/7/2005). «La sua lunga avventura musicale è cominciata nel ”64, quando a vent’anni tenne in piazza il suo primo concerto. Era l’inizio di tutto, l’anno di In ginocchio da te [...] ”papà ciabattino. Mi torna in mente il cinema ”Aurora” dove a undici anni vendevo le caramelle e negli intervalli mi facevano cantare su un palchetto improvvisato. L’anno dopo ci ritornai che ero entrato a far parte di un’orchestra di Bologna, la ”Scaglioni”. E poi, dopo l’incisione del primo disco, In ginocchio da te, era il ”64, a Monghidoro tenni il mio primo concerto in una piazza piena di gente festosa, uno di quei concerti improvvisati, senza impianti... [...]”» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 20/8/2004). «Io convivo con la fama da più di 40 anni, e ho sempre cercato di rimanere il più possibile me stesso. Certo negli Anni Sessanta, quando ancora la tv non era come adesso, c’erano fenomeni di fanatismo incredibili, la tua vita, anche i fatti più normali come l’andar militare, veniva trattata dai giornali come una favola raccontata, su di me poi c’era in più la curiosità del figlio di poveri che ce l’aveva fatta. A Roma nel ”66, entrammo in un cinema io e mia moglie Laura; al buio si sentì un brusio, ci avevano riconosciuto: accesero la luce e sospesero il film [...] Mi aiuta l’essere un montanaro di Monghidoro, e il fatto che mio papà, molto realista, mi ripeteva per ogni disco che poteva essere l’ultimo, che non sarebbe durato, e che comunque, qualsiasi cosa fosse accaduta, io un lavoro per mangiare l’avevo, quello del ciabattino [...] anni duri [...] un decennio buono, nei ”70. La gente voleva altra musica, c’era una situazione nazionale di terrorismo, attentati, austerity, e per me venne quasi il ritorno all’anonimato. Ma grazie ai moniti di mio padre non c’era da lamentarmi, qualche soldo l’avevo messo da parte. Pian piano risalii la china, ci ho messo 5-6 anni. Nell’80 venne la canzone di Mogol Uno su mille ce la fa, spettacoli in teatro, poi la tournée con Dalla, le fiction in tv, Rai e Mediaset: era tornare nelle case della gente [...] Sono stato fortunato. quasi impossibile ritrovare la strada, il contatto con la gente, la credibilità. Ho avuto incontri fortunati, gente che mi ha aiutato [...] Ho avuto più di chiunque altro, una vita straordinaria, tanti amici, l’affetto della gente. Ho venduto 35 milioni di dischi, ho fatto venti film, ho cantato in tutto il mondo. Mi manca la Cina, sì, ma ci posso ancora andare. Non ho vinto la Maratona di New York. Che dire. Si vive anche di sogni, della curiosità di sapere che ne sarà domani di mio figlio Pietro, di ciò che faranno Marianna e Marco. Chi lo sa? C’è sempre qualcosa da imparare, e la più bella canzone è quella ancora da scrivere» (Cristina Caccia, ”La Stampa” 20/8/2004). «Faccio un mestiere stupendo, dove si può imparare ogni giorno. Se uno ha curiosità e voglia di migliorarsi, ha a disposizione uno spazio enorme: c’è sempre qualche riferimento più importante da raggiungere. Io però mi sento sempre a mezza strada. [...] Yves Montand, Nat King Cole, Frank Sinatra. Tutti artisti che per il loro valore rappresentano qualcosa anche nella storia del loro paese. Artisti che quando stanno sulla scena hanno una luce in più ad illuminarli: la loro. In Italia, se andasse in scena, noi di questo livello avremmo Mina: un’artista che incarna l’Italia, il canto, la tecnica, la femminilità, l’interpretazione, il cuore, la vocalità. [...] Nei miei anni d’oro io andavo a Canzonissima. Per me Sanremo è il ”58, Modugno, Volare, l’emozione di un ragazzino di fronte alla tv. Cominciai a cantare in pubblico quell’anno lì, proprio Modugno, Lazzarella, avevo 12 anni. A Sanremo sono nati tutti i più grandi, anche se oggi storcono il naso. Noi cantanti dovremmo dire la nostra, non lasciar fare ai discografici o alla tv. Basterebbe poco per farlo diventare come il Festival di Cannes o di Venezia. Ma siamo troppo individualisti, cani sciolti» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 17/1/2004). «La domenica pomeriggio, cantava durante gli intervalli tra un film e l’altro nel cinema del paese natale, e poi riprendeva a vendere noccioline e caramelle, tanto per arrotondare le entrate. Andò in giro con un complessino per le balere di campagna, venti canzoni per sera a mille lire, e lui s’arrangiava anche con la chitarra e la batteria. Aveva quattordici anni e mezzo, si esibiva alla periferia di Bologna, quando la maestra che dirigeva il complessino gli consigliò il ritorno a Monghidoro: stava cambiando voce, non aveva un futuro. Previsione sbagliata, non aveva ancora riacquistato confidenza con la bottega di ciabattino, e già la nuova voce si rivelava, al contrario, più che passabile. Gianni riattaccò a cantare, non dispiaceva a un pubblico alla buona. Finché una sera lo notò un certo Leonetti, arbitro di pugilato e a tempo libero cacciatore di talenti di ogni genere. Leonetti possdeva qualche juke-box, aveva relazioni e rapporti con case discografiche, ottenne per il ragazzo di Monghidoro un provino alla Rca, a Roma. E Morandino andò in città quasi più alla cieca di come ci andava Moraldino, nel finale dei Vitelloni di Fellini. Cantò Non arrossire, e fu un mezzo disastro: a parte tutto, le esse erano una sfida per la sua pronuncia emiliana. Ma alla Rca c’era il paroliere Migliacci che seppe vedere più che sentire in lui la stoffa del cantante. E da allora Gianni iniziò la sua ascesa» (Oreste Del Buono, ”L’Europeo” febbraio 2003).