Varie, 5 marzo 2002
MORI
MORI Fabrizio Livorno 28 giugno 1969. Ex campione del mondo dei 400 ostacoli (1999) • «Alle porte del Paradiso. Così si è sentito Fabrizio Mori all’uscita dell’ultima curva: un momento decisivo in cui ha capito che il titolo mondiale dei 400 ostacoli non era un sogno. Era lì, nella magica e goduriosa Siviglia, e nel giro di qualche secondo l’avrebbe raggiunto. Un’emozione sempre viva per il campione, che ha cominciato a dedicarsi all’atletica da bambino perché sui banchi di scuola era troppo vivace e doveva pur sfogarsi da qualche parte. [...] ”Dopo la semifinale mi dissero che rischiavo di essere squalificato per invasione. Ho passato dei momenti bruttissimi, mi ero quasi rassegnato a guardare la finale. ’Se una squalifica c’è non vedo perché dovrei fare tanto baccano’, continuavo a dirmi quasi per convincermi. Ma alle 2 di notte, mentre mi preparo per la doccia, arriva il tecnico Roberto Frinolli e in pochi secondi mi rendo conto che ero stato riammesso: l’invasione era inesistente perché non avevo ostacolato l’avversario. [...] Non ho dormito tanto tranquillo, quattro cinque ore, ma poi sono riuscito a concentrarmi per la finale. Cercavo la determinazione senza pensare di strafare. [...] Ciò che mi ha dato fastidio, soprattutto paura, è stato il cercare di non commettere più quell’errore, quindi non badavo più agli avversari ma a fare le cose per bene. Mi sono concentrato di più su me stesso. Non badavo all’altro favorito Diagana. C’erano le telecamere dei francesi solo su di me. Al minimo errore sarebbe scattata la squalifica. Meno male che l’ho saputo dopo... Questa concentrazione totale su me stesso mi ha portato a vincere la finale sbagliando niente. [...] Eravamo in quattro o cinque da podio. Tutti gli occhi erano puntati su me e Diagana. Ai blocchi di partenza pensi veramente poco: attorno hai 70.000 persone e ti passano davanti tanti flash, ma pensi solo ad evitare gli errori. [...] Sei quasi costretto a dover pensare a un ritmo: la prima parte della gara per me termina al settimo ostacolo, dove mantengo 14 passi tra una barriera e l’altra, poi aumento a 15 passi e cerco la progressione finale. Il fatto di avere Diagana avanti mi dava una visione abbastanza completa. Io ero in terza corsia, i migliori in quarta, quinta e sesta. Loro erano partiti come razzi in tredici passi e mi hanno dato subito metri in partenza. Mi hanno spaventato, ho cercato di dare tutto me stesso a metà gara. Mi sono trovato con tante energie che mi hanno permesso di fare un gran finale. [...] A sessanta, ottanta metri dall’arrivo, mi sentivo bene, gli altri li avevo a un paio di metri. Ho visto che li stavo risucchiando alla grande, c’era soltanto da superare l’ultima barriera. Finché non hai passato tutti i dieci ostacoli non sei mai sicuro di rimanere in piedi, però in quel momento ho provato una bella sensazione. [...] difficile spiegare. un brivido infinito. Tutti che ti salutano, il boato dello stadio, mi sono avvicinato ai ragazzi siciliani che ci seguono sempre e mi loro mi hanno regalato il cappellone che ho subito indossato. Abbiamo fatto il giro del mondo, io e quel cappello. Era abbastanza pesante, ma era troppa la voglia di festeggiare e l’ho tenuto su. Avevo degli amici negli Stati Uniti, mi hanno detto che quell’immagine è girata nei centri commerciali americani. Mi ha fatto un certo effetto. [...] Sono alto 1.75. Ormai non posso fare più di tanto... madre natura mi ha dato queste caratteristiche e cerco di sfruttarle fino in fondo. Quando vedo gli atleti di colore che avanzano con falcate incredibili rimango a bocca aperta, ma spesso mi sono arrivati dietro e allora cerco di farmi forza. [...] Convivo con la mia semplicità. I miei amici allora dissero che era un bel palcoscenico Siviglia, che avrei dovuto sfruttarlo, ma ho questo carattere e sto bene così”» (Gabriella Mancini, ”La Gazzetta dello Sport” 8/2/2004).