Varie, 5 marzo 2002
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Moriconi Valeria
SELEZIONAXX
• (Valeria Abbruzzetti) Jesi 13 novembre 1931, Jesi 15 giugno 2005. Attrice • «[...] era una attrice di teatro nata, il che fu probabilmente scoperto da Eduardo prima ancora che da lei stessa. Al cinema aveva infatti debuttato a poco più di vent’anni con Lattuada, continuando con Mattoli, con Emmer, e con lo stesso Lattuada, come ragazza fresca, carina (molto carina!) e allegra. Quando Eduardo la scritturò come attrice giovane per Il medico dei pazzi, aveva per l’appunto bisogno di questo. Ma poi le affidò la parte della protagonista in De Pretore Vincenzo, e come si dice, niente fu più come prima. Valeria scoprì l’ebbrezza del contatto col pubblico, chiamatelo pure esibizionismo, ossia il carburante che alimenta la carriera di molti suoi colleghi. Soprattutto, però, il pubblico scoprì l’ebbrezza del contatto con lei: talmente energica, talmente vitale, talmente intensa e allo stesso tempo talmente lieve, talmente intelligente e allo stesso tempo scherzosa, da produrre un effetto galvanizzante e riposante allo stesso tempo; da invitare alla complicità e al coinvolgimento mentre li sdrammatizzava. Si fece notare in ogni sua apparizione sul palco in quei primi anni, un Orso di cechov, un Girotondo di Schnitzler, Un amore a Roma di Patti; fu anche nella notoria Arialda testoriana diretta da Luchino Visconti. Il definitivo salto di qualità comunque glielo fece fare l’incontro col regista, poi a lungo anche suo sodale, Franco Enriquez: loro due più Glauco Mauri e lo scenografo Emanuele Luzzati - trovate quattro talenti così nel teatro di oggi! - fondarono la Compagnia dei Quattro, generosa non meno che brillante, iniziativa privata il bilancio del cui repertorio oggi farebbe inorgoglire qualunque Stabile: Shakespeare, Garcìa Lorca, Goldoni, Feydeau (La Dame de Chez Maxim’s, indimenticabile!), Ionesco, Euripide, Oscar Wilde, Sartre... La ex ragazza carina delle commediole cinematografiche Anni Cinquanta diventò una leonessa del palcoscenico - la Bisbetica Domata definitiva - pronta a accettare qualunque sfida, compresa una parte da uomo (e non in un classico) quando il gruppo volle essere il primo a presentare l’interessante debutto di Tom Stoppard, Rosencrantz e Guildenstern sono morti; non di rado portando anche in tv, allora era possibile, qualcuno dei suoi successi teatrali, beninteso sempre diretta da Enriquez. Poi Enriquez morì, la Compagnia dei Quattro si sciolse, e Valeria continuò da sola e sempre memorabilmente - come Filumena Marturano in uno dei primissimi Eduardo dopo la scomparsa del grande attore-autore, come Cleopatra, come Serafina della Rosa tatuata, quando restituì buonumore a questa spigliata commedia di Tennessee Williams virata verso il tragico o quasi nel celebre film con la Magnani... ecc., ecc., ecc. [...] qualcosa di più di una attrice dai grandi mezzi e dalla tecnica sopraffina - di una superba professionista. [...] una rarissima, luminosissima stella» (Masolino D’Amico, ”La Stampa” 17/6/2005). «[...] Bisogna ricordarla in un modo solo: come lei amava presentarsi, smagliante, il solito sorriso a illuminarla, il gesto ampio e morbido, i lunghi capelli biondi sempre freschi di parrucchiere. Valeria eternamente in forma, elegante, che amava ricevere gli amici nella sua casa romana, a fine estate, con addosso un’abbronzatura da favola, presa sulle spiagge del Conero, a casa sua, e messa in risalto dagli ampi caftani chiari che negli ultimi tempi prediligeva. Valeria dai piedi bellissimi che mostrava volentieri, le unghie laccate di rosso, chiacchierando di uomini e teatro davanti a una spalliera di gelsomino in fiore. Valeria capace di oziare. Fuor di palcoscenico, prima femmina che attrice. E dire che, nel lavoro, è stata una tigre reale. Nata a Jesi (la città di Federico II e di Giovanni Battista Pergolesi) nel 1931, si accorse presto di essere bella, vita sottile, volto rotondo, bocca sensuale, corpo da pin-up. Non frequentò accademie di recitazione, ma nel 1949, nella stessa Jesi, volle fare qualcosa in teatro, in una compagnia di filodrammatici. Il primo a credere al suo talento fu il padre, che ben presto divenne anche il suo più attento spettatore, nonché, più tardi, il custode della memori a di una grande carriera. Ricordava infatti a Valeria, quando lei era ormai diventata una diva, che piccolissima, armata di matita, un bel giorno aveva scritto a sorpresa, sulla specchiera della madre: Qui ha posato la sua mano la futura Eleonora Duse. Nel 1951, il matrimonio con Aldo Moriconi, durato dodici anni: ”Dopo il primo periodo felice - raccontava l’attrice - subentrò un rapporto di reciproca amicizia e di rispetto, che seppe resistere anche quando lasciai mio marito per il regista Franco Enriquez”. E fu proprio Enriquez, rapinoso compagno di vita e di scena, ad aprirle le porte del palcoscenico di rango. Dopo alcune esperienze nel cinema con Alberto Lattuada e Eduardo De Filippo (la filmografia della Moriconi consta di venticinque titoli a buona firma), il teatro tornava ad esigere la vitalità, la sensibilità e la passione della ragazza di Jesi. Stagione dopo stagione, Valeria ha interpretato più di duecento personaggi, diretta dai migliori registi italiani e stranieri: Enriquez, appunto, ma anche Visconti, Castri, Besson, Marcucci, Ronconi, Scaparro... Da Shakespeare a Goldoni, dai tragici greci agli autori contemporanei, un recitare solido, continuo, colto e sempre più raffinato, con lunghe trasferte a Londra, a Parigi, a San Pietroburgo, a Los Angeles. Una vita da romanzo. Impossibile affibbiarle una prestazione più memorabile delle altre, un personaggio sopra tutti. stata Medea, pazza per amore; Filumena Marturano in lingua napoletana; la vedova Giocasta di Savinio; la fiera che allattò Romolo e Remo ne I figli della Lupa di Gigi Magni, al teatro Sistina di Roma, tempio storico della commedia musicale; la Hedda Gabler di Ibsen; la Venexiana lasciva dell’Anonimo cinquecentesco tanto caro a Scaparro. Per tutto questo ha ricevuto la nomina a Grande Ufficiale della Repubblica, onorificenza di cui andava, in tutta sobrietà, molto orgogliosa. Nel Duemila ha dato voce - insieme con Pino Colizzi e con Benedetto Nardacci - ai testi di Giovanni Paolo II per la via Crucis del Colosseo. Nel 1980, morto Franco Enriquez, il grande amore della vita (nel camerino di Valeria, immagine che catturava l’attenzione di qualsiasi visitatore, la grande fotografia del regista, incorniciata d’argento, campeggiava in bella vista davanti allo specchio del piano da trucco), era arrivato Vittorio Spiga, un giornalista bolognese. Con lui, l’attrice ”che amava vivere” ha trascorso anni sereni, di confronto, affetto, ricerca intellettuale, sperimentazione artistica e impegno civile. Con lui ha tradotto testi poco noti, dato luce ad autori ingiustamente considerati minori. Con lui trascorreva sul Conero, nella casa di Sirolo, di fronte al mare marchigiano dalla spiaggia dolce e sabbiosa, le lunghe estati che ha sempre adorato. Il mese di agosto le apparteneva decisamente. L’intensità che lo caratterizza, i colori, i sapori pieni, i primi temporali corrucciati, persino violenti, lei li ha trasportati nella recitazione, così perentoria, chiara e sensuale, così accidiosa se occorreva, così ardente e protagonistica in città e in provincia, così piena di respiro. Del ”suo” mese, nel corso di un’intervista romana, disse cose bellissime: che le aveva sempre portato fortuna, che le aveva insegnato ”a vedere i fantasmi nelle notti di luna piena, a credere nei folletti e nelle fate, per poi, al riaccendersi il giorno, ritrovare il coraggio di cuocersi le ossa al sole”. E concluse: ”Poi l’agosto è giallo, come i girasoli, i fiori che preferisco. Giallo. Il colore dei matti, di Van Gogh e di Pollock, il più bello”. [...]» (Rita Sala, ”Il Messaggero” 16/6/2005). «[...] aveva temperamento, passione, diligenza. In oltraggiosa misura. Attrice all’antica, teatro e solo teatro [...] facile dire di un attore, ancora di più dirlo di un’attrice, che in lui, o in lei, il temperamento era, o è, cruciale, la miglior dote. facile e generico. Però è vero. Per la Moriconi, verissimo. Ma, va da sé, il temperamento non basta. tutto e non è niente. Non è niente se non c’è la fede, se non c’è la passione, se non c’è la pazienza, se non c’è la diligenza. Tutte doti che la Moriconi aveva in oltraggiosa misura. In questo senso è stata un’attrice all’antica. Teatro e solo teatro. vero, ha fatto tanto cinema e ancor più televisione. Ma credo che considerasse questi mezzi una necessità, o un’opportunità per continuare a svolgere al meglio il suo vero lavoro. Vi si dedicò con uno slancio assoluto, costruendo una carriera ricca di personaggi grandiosi, di impeti, di toni alti e mesti, di sfumature, di sottrazioni, perfino di rassegnazioni. [...]» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera” 16/6/2005). «[...] il sorriso ironico e aperto, da Eva che morde la mela, che conquistava tutti. Anche il temibile Eduardo. E lui, nel ’57, la fa recitare accanto a sé nel De Pretore Vincenzo, dopo un rapido provino in napoletano, concluso con un ”la piccirilla vabbene”. Prima dell’incontro con De Filippo, la Moriconi ha già una discreta carriera d’attrice alle spalle: dalla compagnia studentesca passa al cinema, una volta trasferitasi a Roma con il marito, poi lasciato, Aldo Moriconi. A scoprirla sul grande schermo è Alberto Lattuada che la vuole ne Gli italiani si voltano (episodio di Amore in città) e ne La spiaggia. Recita anche in film stranieri e grazie a La meilleur part di Allegret, ha una breve, (lo rivelò lei stessa in un’intervista) intensa storia d’amore con Gérard Philipe, ”una persona baciata da Dio”. Ma è il teatro che la fa sua. E tanti, diversi, sono gli autori con cui si cimenterà nella sua ricca e complessa carriera, dai classici greci a Thomas Bernhard, da Goldoni, per cui è una frizzante e seducente Mirandolina nella Locandiera , a Tennessee Williams, che segna una delle sue grandi sfide vinte: nel ’96 con la regia di Gabriele Vacis è La rosa tatuata, e alla passione di Anna Magnani, prima interprete del personaggio al cinema, Valeria aggiunge l’intelligenza. Poche le attrici di cui segue il magistero, tra queste Lilla Brignone e Andreina Pagnani al teatro della Cometa di Roma, ma tante le donne della sua galleria, scolpi te a tocchi vellutati e instancabili: vorticosa nel Girotondo di Schnitzler, dà addirittura scandalo nella Mina de L’Arialda di Testori diretta da Visconti (’un dio dispotico, molto duro durante le prove e insieme dolcissimo”, dirà di lui), per impersonare la quale studia vita e abitudini delle prostitute. E la commedia viene ritirata dalle scene milanesi. Dopo i due grandi maestri che l’hanno formata, fondamentale nella sua carriera è il sodalizio artistico e di vita con il regista Franco Enriquez, conosciuto al festival internazionale del teatro di Bologna nel ’60. Nasce la Compagnia dei Quattro (con Mauri e Scaccia, cui poi si sostituirà Luzzati) e gli spettacoli sono i più svariati: c’è, irresistibile, La bisbetica domata di Shakespeare; il beffardo Edoardo II di Brecht Marlowe, ma anche le lievi Storie del bosco viennese di von Horvath. Di questa incredibile duttilità, ma sempre sulla linea di una femminilità incrollabile, da dea mediterranea, approfitta la televisione per chiamarla negli sceneggiati che hanno fatto epoca, nella mondana Presidentessa o nel popolare Mulino del Po parte seconda. Ed è ancora in quegli anni ’70 che affronta il Pirandello, misterioso e inquietante, di Così è se vi pare, cui seguirà a teatro il Trovarsi diretto da Patroni Griffi fino al recente Questa sera si recita a soggetto con l’amato Castri. Ma gli appuntamenti con le grandi figure femminili sono un caleidoscopio e gli anni ’80 avviano gli incontri con le madri, quella edipica di Emma B, vedova Giocasta di Savinio (ripresa fino a pochi anni fa); quella ferrea di Filumena Marturano , o l’ambigua Nemica, bilanciate dalle fatali Cleopatra e La Venexiana. Ma Valeria Moriconi, Premio Simoni e Grand’Ufficiale della Repubblica che per il teatro è stata non solo interprete e regista ma anche direttrice di uno Stabile tra i più giovani, ad Ancona, si poteva permettere tutto, padrona e serva della scena, in quella che lei stessa definì ”una lotta d’amore”» (Cla. P., ”Corriere della Sera” 16/6/2005). «Mi sento ancora l’infanzia addosso. Non avendo figli, non ho avuto a che fare con l’infanzia di altri e gioco ancora con la mia. Ed è vero che ho vissuto a lungo la condizione di figlia, mio padre era un uomo spiritoso e simpatico, avevamo un rapporto molto forte, anche rissoso, litigavamo per ragioni politiche. Lui era un funzionario di banca, bellissimo, somigliava a William Powell, le donne di Riccione se lo contendevano. morto da 15 anni, a 90 anni, e ancora oggi, all’ora delle telefonate con lui, sento una gran voglia di chiamarlo [...] Faccio i miei bilanci quotidianamente, cerco di non perdere il contatto con me stessa e con il tempo che passa, lo ritrovo con le sue rughe, i suoi segni, le sue cattiverie sulla mia faccia, nel mio fisico. Non è un bilancio negativo, non solo come attrice. Ho avuto intorno un mondo maschile di grande fascino e di grande amore, da mio padre in poi, mio marito, Franco Enriquez, e il mio compagno di oggi. Io amo molto gli uomini e ho avuto incontri fortunati [...] Voglio vivere fino a 150 anni, sono curiosa, voglio vedere come va a finire. Ma se dovesse succedere prima, pazienza, la mia vita è stata bella, sono belli i miei ricordi. Ho una memoria di ferro - il mestiere d’attrice aiuta - da quello che ho mangiato ieri al vestito di mia madre quando avevo sette anni, all’emozione degli applausi in Cina a Emma B. vedova Giocasta. Adesso quello che mi colpisce di più sono gli odori, l’odore di certi locali, l’odore del mosto, mi riportano a stagioni della mia vita. Mi ha scritto giorni fa un vecchio amico che mi aveva visto giovane sposa, mi ha riportato ad immagini di quella giornata [...] Avevo 17 anni, ero innamorata folle di mio marito Aldo, che era bellissimo, ufficiale di marina, ricco, dieci anni più di me. E intelligente: fin da ragazzina ho odiato gli imbecilli. Per un po’ ho fatto la signora di provincia a Jesi, poi nell’estate del ’52 siamo venuti a Roma, lui voleva fare il fisico nucleare, io quasi per caso sono capitata a Cinecittà, un amico mi aveva suggerito un provino con Lattuada per un episodio di Amore in città. Il direttore di produzione era Marco Ferreri, ”questa la pigliamo” disse appena mi vide, ero molto magra, capelli lunghissimi. Aldo e io eravamo insoliti per gli anni ’50, lui mi accompagnava in auto a Cinecittà, eravamo una coppia spregiudicata. A lui devo la scoperta di certi libri, il jazz, la pittura. Siamo rimasti amici anche dopo la separazione, ho tenuto il suo cognome - il mio è Abbruzzetti - è stato grande amico di Franco [...] Ho fatto qualcosa di bello e cose brutte. Ho fatto anche la figurante in Aida con Sofia Loren, ero una delle due ancelle. Avevamo lo stesso camerino, ricordo che una volta al trucco la Loren raccontava di aver visto Giulio Cesare: ”Che bravo Marlon Brando, meraviglioso, ma anche lo sceneggiatore è bravissimo”. Poi, da quando ho cominciato il teatro - e anche lì sono stata fortunata, ho debuttato con Eduardo - il cinema è diventato secondario, talvolta ho rinunciato a malincuore, per esempio a La ragazza con la valigia, avevo fatto il provino ed era andato bene, ma vinse il teatro [...] Ogni tanto provo un po’ di nostalgia per il paese com’era, quando in tv facevamo Resurrezione o Il mulino del Po e scoprivamo la letteratura, quando le messinscene di Enriquez suscitavano stupore, come la sua Bisbetica domata. E oggi c’è la rabbia di non aver seminato meglio, di aver sperperato tante risorse - mentali, culturali, ideologiche - senza avere il mondo che volevamo, che sognavamo. Mi fa schifo la volgarità di oggi, ci siamo messi sotto le scarpe certe lezioni di eleganza, di compostezza, di stile: come se il passato non avesse insegnato nulla”» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica”, 15/11/2001).