Varie, 5 marzo 2002
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Morrison Tommy
• Kansas City (Stati Uniti) 2 gennaio 1969. Ex pugile • « stato campione del mondo dei pesi massimi. Era una celebrità, faceva pure l’attore, ha interpretato praticamente se stesso a fianco di Sylvester Stallone in Rocky 5. Incassava due miliardi a match, viveva nelle suites degli hotel coi diademi di stelle all’ingresso, dava del tu a Cindy Crawford e Donald Trump gli chiedeva educatamente di farsi fotografare al suo fianco. Tommy Morrison è bianco, dell’Oklahoma, che per un pugile discreto in America, significa fama e ricchezza. The Great White Hope. La grande speranza bianca. Dentro ad una parentesi di duemila giorni, Tommy Morrison la rappresentava benissimo quella speranza, guardando il mondo attraverso i vetri fumée di una limousine gremita di ragazze disinvolte. Poi, un giorno, Tommy ha scoperto di essere sieropositivo. Titoli di coda [...] un disgraziato che vive in un trilocale in un posto sconosciuto dell’Arkansas. Che è un bel progresso, se si considera che la penultima dimora era una cella di isolamento di un carcere dello Stato suddetto [...] il 10 febbraio 1996 quando gli viene consegnato il verdetto. Tommy ha 26 anni e dovrebbe combattere a Las Vegas contro Arthur Weathers, ma poche ore prima fermano tutto. Carica come un bufalo, minaccia di morte i medici, i rappresentati della Commissione Medica del Nevada che gli ritirano il patentino, sostiene nuovamente le analisi con dottori di fiducia. Niente: è proprio Aids. Oggi ricorda: ’Per me fu come morire. Anzi, se avessi trovato il coraggio lo avrei fatto, mi sarei ucciso. La mia fine la leggevo negli occhi degli altri, di coloro che mi evitavano, che improvvisamente si erano dimenticati di me. Così sono tornato a casa, in Oklahoma, alla vecchia vita, agli amici di sempre’ Va detto che in quel preciso istante la carriera pugilistica di Morrison non è esattamente uno splendore. Anzi, si potrebbe dire che la porta verso l’elite gliel’aveva sbattuta in faccia Lennox Lewis nel ’95, in un match che valeva la scalata al mondiale. Quello che cercava Morrison con Weathes, era di ricostruirsi, di riguadagnare i crediti per un’altra pingue borsa. Tipo quella che intascò nel 1993, diventando campione del mondo a spese di George Foreman. Titolo perso subito contro il non irresistibile Bentt. ’Anche dopo quella sconfitta - ricorda - ero un idolo per un sacco di gente. Quasi non riesco a crederci. Avevo tutto ciò che si può desiderare. In più, ogni settimana ricevevo un copione con un’offerta per un film’. Invece l’Aids. E il ritorno ai vecchi amici dell’Oklahoma come fuga dalla realtà. Proviamo ad immaginare il clan di fedeli di Tommy. L’equazione è facile: basta sapere che il padre di Morrison di mestiere rubava auto sulle quali scarrozzava allegramente il figlio cinquenne; e che la madre è entrata in prigione quando Tommy ne aveva 12. Motivo: omicidio della fidanzata del padre. Una decina di coltellate dentro ad un bar. Così è cresciuto Tommy, facendo a botte due volte al giorno, prima e dopo i pasti, guadagnandosi la fama di picchiatore (poi sfruttata sul ring) e frequentando la peggio feccia del midwest. La stessa marmaglia che ha ritrovato ad aspettarlo dopo quei duemila giorni di gloria. ’Ero stato un ragazzo turbolento, ma almeno non avevo mai fatto uso di droga. Dopo il ritiro ho cominciato a provare un po’ tutto. Cocaina, crack, marijuana. Il mio manager Tony Holden voleva che prendessi le medicine, ma a me non fregava assolutamente niente. Volevo assolutamente distruggermi’. Un piano destinato ad avere successo. Nel ’96 era persino riuscito a combattere, però a Tokio, l’unico posto dove ’l’appestato’ sul ring ha trovato sponsor, pubblico entusiasta e medici colti da improvvisa miopia. Vinse con un certo Rhode, l’unico forse più disperato di lui: k.o. al primo round. Ma da allora non ha più trovato un kamikaze disposto ad affrontarlo [...] Nel ’97, guidando ubriaco, travolge e ferisce tre passanti. Poco dopo, sempre per guida pericolosa, viene fermato: gli trovano l’auto piena di droga e pure una pistola. La storia del ’Duca’, ’The Duke’, come si faceva chiamare sul quadrato, va in dissolvenza. ’Mi hanno chiuso 115 giorni in isolamento. Non puoi far altro che pensare. lì mi sono reso conto che io in vita mia non avevo mai pensato molto. Diciamo che spiritualmente ho trovato risposte che non avevo neppure immaginato’. In galera è rimasto 14 mesi, poi lo hanno rimandato a casa in cambio della promessa di rigare dritto [...] Come per molti altri nel suo stato, nel sangue le tracce del virus sono al momento scomparse. Mentre era in galera ha divorziato. Ma si è anche risposato ed ora ha un bimbo di due anni: Tommy Justin. Completamente sano. Con l’anticipo della biografia che gli hanno chiesto di scrivere si è fatto una piccola palestra in casa ed è tornato in forma. Dice che vorrebbe tornare nel giro, come allenatore. Ha 32 anni e molta esperienza. Il 17 novembre un vecchio amico lo ha invitato a Las Vegas per il mondiale dei massimi tra Lennox Lewis e il campione Rahman. Tommy ci sta pensando: ’Mi vergogno un po’’, ammette. A volte il passato è un nemico tenace. Infatti Tommy confessa: ’Ho fatto un sacco di cose, la maggior parte erano sbagliate. Vorrei poter tornare indietro, rifare tutto con l’esperienza e con le cose che ho imparato dopo. Ma non mi lamento, ci sono ricordi bellissimi che nessuno potrà mai togliermi. Se ci penso, posso ancora camminare e parlare. Mi sento fortunato, nonostante tutto’. Fortunato di avere una vita schifosa e dimenticata da tutti. Felice di essere vivo» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 9/11/2001).