Varie, 5 marzo 2002
MOSER
MOSER Francesco Palù di Giovo (Trento) 19 giugno 1951. Ex ciclista. Fratello di Aldo, Diego ed Enzo, tutti ottimi corridori professionisti. Da dilettante vinse 44 corse, fra le quali il Giro d’Italia 1972 e il campionato italiano 1971. Professionista dal 1973, esplose nel 1974 con il secondo posto alla Parigi-Roubaix. Duecentocinquanta le vittorie, tra le quali spiccano: il campionato del mondo 1977 (secondo nel 1976 e nel 1978), il titolo mondiale di inseguimento su pista (1976), il Giro d’Italia 1984 (secondo nel 1977, 1979, 1985; terzo nel 1978, 1986), tre Parigi-Roubaix (1978, 1979, 1980), la Milano-Sanremo 1984, tre titoli italiani (1975, 1979, 1981), due Giri di Lombardia (1975, 1978), la Parigi-Tours 1974, la Freccia Vallone 1977, la Gand Wewelgen 1979. Partecipò a una sola edizione del Tour de France, quella del 1975: vinse due tappe (compreso il prologo), ottenne due secondi posti e un terzo, in maglia gialla fino alla quinta tappa, concluse al settimo posto in classifica generale. Il 19 gennaio del 1984 a Città del Messico stabilì il primato dell’ora (strappandolo a Merckx) con 50,808, km, il 23 gennaio lo portò a 51,151 • «Il tempo corre anche sulle piste dei velodromi. Sono passati vent’anni dal giorno in cui Francesco Moser ha battuto, nello spazio di un’ora (il 23 gennaio 1984), Eddy Merckx e se stesso. Mi spiego, il 19 gennaio Francesco aveva detronizzato di 343 metri Eddy, il detentore (km 50.809 contro i 49.432). Era un giovedì, il 19 gennaio. Il lunedì successivo, 23 gennaio, Moser aveva fatto di più: 51 km 151 metri: aveva sconfitto la sua... ombra e piantato Merckx a 1720 metri. Non basta: aveva ritoccato anche i record dei 5 e dei 20 km che, con i 10 km (primato di passaggio, nel primo tentativo) costituiscono il suo carnet messicano. Merckx aveva pedalato, alla fine disunendosi, sulla pista in legno del Velodromo Olimpico: Moser ha completato il suo exploit sull’ellisse in cemento del Centro Deportivo. Sia Merckx che Moser hanno sfruttato l’altura - i 2240 metri di Mexico City - che, per effetto della diminuita pressione barometrica, consente, a parità di energia spesa, velocità nettamente superiori a quelle che si possono effettuare a livello del mare. [...] Ha voltato la pagina del ciclismo. La tecnologia ha sorretto il nostro sport al punto da modificare l’attrezzo nudo e logico, addirittura ovvio, che si chiama bicicletta. La scienza medica non soltanto deduce da una corsa, da un ”telaio” ma a volte li determina. E’ stato, il record, la vittoria di un uomo Moser e di una ”équipe”, l’Enervit di Paolo Sorbini, forte di un ricercatore, il professor Francesco Conconi, di un altro scienziato, il professor Dal Monte, di un ingegnere-medico Ferrario, dei medici sportivi professor Tredici ed Enrico Arcelli. Il mio collega ed amico Sergio Meda mi ha confidato che l’operazione è costata un miliardo: una cifra che ha avuto un ritorno pubblicitario favoloso. Questo primato non può essere messo in discussione. Non è passato alla maniera di un colpo di rasoio sulle gambe di Moser. Tornato in Italia, Moser ha vinto la Sanremo, scollinando sul Poggio, dietro Chinetti e staccandolo sul falsopiano. Ha fatto suo il Giro d’Italia distruggendo Fignon a cronometro, varando sulla strada la ruota lenticolare» (Mario Fossati, ”la Repubblica” 18/1/2004). «L’immagine di Moser che entra nell’Arena gremita di gente per conquistare il Giro d’Italia è una delle più belle e significative nella storia del ciclismo. il 10 giugno 1984 e per il corridore trentino è l’apice della carriera. In primavera aveva vinto la Milano-Sanremo. A gennaio, in quattro giorni, il 19 e il 23, aveva strapazzato il record dell’ora che apparteneva a Eddy Merckx. Il nuovo limite veniva fissato in 51,151 km, che ora è anche un grande spumante prodotto dalla sua azienda agricola. Soprattutto, anche grazie all’aiuto di una equipe di altissimo livello tecnico-scientifico, con a capo Aldo Sassi ed Enrico Arcelli, aveva stravolto il modo di allenarsi. Queste nuove metodologie lo hanno spinto anche verso quel successo che sembrava irraggiungibile: il Giro d’Italia. ”Teofilo Sanson era disperato. Ho corso per lui cinque anni, dal ”76 all’80, e s’era rassegnato. Avevo vinto con lui tre Roubaix, il Mondiale, il Lombardia ma lui continuava a dire: ”Non faccio più la squadra perché tanto è inutile. A me interessa vincere solo il Giro e Moser ormai non lo vince più”. Invece, gliel’ho vinto in casa sua, sotto i suoi occhi, ma con una maglia diversa. Non solo, con la maglia della Gis, un suo concorrente [...] Sanson [...] veniva alle corse e scappava via subito. Se perdevo s’arrabbiava. Ma nero come al Nürburgring (Mondiale 1978, ndr) non l’ho mai visto. Mi disse che era impossibile perdere da quello la (l’olandese Knetemann che battè Francesco in volata, ndr). Per la rabbia partì per l’Italia nella notte. Ma l’anno prima, dopo il mondiale vinto in Venezuela, mi venne a prendere in aeroporto a Roma. Un grande”. Ma anche in quel fantastico 1984 il Giro sembrava perso. ”Avevo fatto sedici giorni in maglia rosa. Nel tappone di Arabba Fignon ha vinto la tappa andando veramente forte. Mancavano due giorni all’arrivo. A Treviso era roba per velocisti e vinse Bontempi. Io ho puntato tutto sui 42 km della crono conclusiva. Avevo già vinto due tappe a cronometro, il prologo e la Certosa di Pavia-Milano. Potevo guadagnare 3 secondi al km. Fignon a cronometro non andava. Se tutto fosse filato liscio non avrei avuto problemi a vincere tappa e Giro anche se sapevo che sarebbe stato una battaglia all’ultimo sangue. Ma era da un mese che si combatteva all’ultimo sangue”. Tutto andò per il verso giusto, i suoi calcoli erano giusti. Francesco vinse la tappa a 50,977 di media con 2’24’’ sul francese (3,4 secondi al km) e per 1’03’’ conquistò il 67mo Giro d’Italia. Ma qualcuno a cui evidentemente Moser non era molto simpatico parlò di aiuti derivati dalla scia dell’elicottero delle riprese televisive. Moser diventa lo Sceriffo di un tempo e mette ordine: ”Questa cosa mi ha sempre fatto arrabbiare. Sono tutte storie. Una cosa incredibile. Si correva nei paesi, con gli alberi, le case, mica su un’autostrada con l’elicottero sulle spalle. In circostanze come quelle del Giro l’elicottero più che altro ti dà fastidio. Vinsi senza aiuti e senza problemi. Avevamo dominato tutto il Giro e se avesse vinto Fignon sarebbe stato una mezza rapina”. Un aiuto nella cronometro, ma questo del tutto lecito, sicuramente gli derivò dalle ruote lenticolari che proprio lui aveva contribuito a studiare e sviluppare. Di quel 10 giugno Moser ha tre ricordi: ”Il caldo. Una giornata di un caldo impressionante. Non si respirava. La tensione, perché sapevo che mi giocavo tutto. La felicità perché quell’entrata all’Arena rappresentava il coronamento della mia carriera”. [...]» (Claudio Ghisalberti, ”La Gazzetta dello Sport” 10/9/2004).