Varie, 5 marzo 2002
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Mugabe Robert
• Kutama Mission (Zimbabwe) 22 febbraio 1924. Eroe della guerra d’indipendenza dello Zimbabwe e presidente del paese africano dal 1987, ama definirsi un marxista e «un coerente rivoluzionario antimperialista» ma non nasconde di avere avuto un’educazione cattolica (per l’esattezza gesuita). Per una lunga fase ha gestito il Paese con moderazione, guadagnandosi un vasto consenso internazionale, fino al 1998, quando esplose una drammatica crisi economica e si verificarono scioperi e manifestazioni, anche violente, contro di lui. Nel 1996 ha sposato la sua segretaria. «Agli europei piaceva intensamente. Colto, intelligente, duttile. L’eroe della guerra di liberazione quando questo altopiano si chiamava Rhodesia (dal nome del suo conquistatore, il britannico Cecil Rhodes). Il combattente che si fa statista e nel 1980 accetta il compromesso con il nemico bianco da cui nasce lo Zimbabwe. L’esempio da additare al Sud Africa razzista. Ovviamente, se a metà degli anni Ottanta avesse massacrato ventimila bianchi e stretto un patto di potere con gli Ndebele che avevano combattuto al suo fianco, l’Occidente lo avrebbe considerato un mostro. Ma lui fece l’inverso: massacrò ventimila Ndebele perché il loro partito gli faceva ombra, e spartì il potere con i bianchi. Così divenne un beniamino della destra e della sinistra europee. Per gli uni era il marxista e l’anti-imperialista, per gli altri il pragmatico che amava la Thatcher, ricambiato, quanto adesso detesta Blair. Che poi ogni tanto mandasse in galera i sindacalisti appariva un dettaglio a tutti, e in primo luogo ai bianchi dello Zimbabwe. Cosa sia adesso è questione difficile da risolvere. [...] Cattolico e figlio di cattolici. Baluardo contro la cospirazione gay. Ha perfino trovato qualche vescovo (protestante) che fa da comparsa nei suoi raduni elettorali. Uno dei suoi poster elettorali, bolla il nemico Tsvangirai come ”Giuda Iscariota” che per trenta denari vuole vendere Mugabe ai filistei (i britannici). Se a questo si aggiunge che nei comizi rurali esorta i contadini a votarlo se non vogliono essere visitati dagli spiriti, si capisce il dubbio dell’opposizione: a quell’età, non gli sarà partito il cervello? Più probabilmente è un uomo non privo di qualità che, approssimandosi alla fine della vita, non può confessare a se stesso il drammatico fallimento già scolpito sulla sua lapide. Probabilmente la storia sarà meno dura di quanto sia il presente, e gli riconoscerà anche meriti e attenuanti. In 22 anni di regno ha scolarizzato la Zimbabwe in misura impressionante. Inventato un sistema sanitario (però adesso malridotto). E lasciato crescere quel ceto medio urbano che ora non vuole più essergli suddito. Infine la crisi dell’economia, e la conseguente crisi del patto con i bianchi (a quelli tutte le leve del potere economico, a Mugabe lo Stato), si può in parte spiegare con la catastrofe dell’Aids: un quarto della popolazione è sieropositiva. Ma proprio nel maneggiare la crisi, o più esattamente nell’esorcizzarla, ha dimostrato i limiti comuni a quella parte della ”generazione eroica” africana che ha liberato la patria soltanto per impossessarsene. Che insomma ha sostituito l’oppressione nera all’oppressione bianca. Secondo il regime, la crisi è cominciata per colpa del governo Blair, nel ’97, quando Londra disconobbe l’impegno a finanziare la riforma agraria assunto in precedenza dai governi conservatori, ma mai onorato. Fosse o no un pretesto, i britannici cominciarono a chiedere a Mugabe di aprire un sistema di fatto a partito unico, e di renderlo più trasparente. Però non bloccarono il flusso di aiuti allo Zimbabwe (nella misura ragguardevole di 18-36 milioni di sterline all´anno). Mugabe percepì le richieste di Londra come un attentato alla sua sovranità assoluta, e poiché la sua popolarità stava scemando, cominciò ad incoraggiare i veterani della guerra di liberazione, come pure i militanti del suo partito, ad occupare le fattorie dei 4100 agrari e allevatori bianchi, proprietari della maggior parte delle campagne più fertili. Risultato: fuga degli investitori stranieri, crisi dell’agricoltura, crollo della valuta e del residuo consenso di cui godeva. Oggi la gran parte delle fattorie è nelle mani di disoccupati che non hanno i mezzi, l’esperienza e spesso neppure la vocazione per condurle. Una riforma agraria che avrebbe giovato allo Zimbabwe se realizzata nel rispetto della legalità e della razionalità economica, sta conducendo il Paese alla rovina. Mugabe pare indifferente a tutto questo[...] Oscuro il dopo-elezioni: se non riuscisse a occultare la sconfitta come reagirà Mugabe? Scatenerà le sue Brigate della Gioventù? Cercherà l’aiuto delle Forze armate, che non è scontato? O scapperà in Libia con la giovane first-lady? Per ragioni almeno simboliche il gioco è più grande dello Zimbabwe, e investe la non facile integrazione razziale nel sud dell´Africa. Probabilmente poco contagioso, il razzismo nero tuttavia è un’aggressione a quella generazione giovane, bianca e nera, che comincia a sentirsi parte comune della stessa patria. Per esempio B.V., 31 anni, figlio di italiani. La sua fattoria, acquistata dopo l’indipendenza, è occupata. La tv gli dice che, per colore di pelle, è un nemico del popolo. Non sa dov’è il suo futuro. Ma queste temperie paradossalmente gli hanno insegnato il rispetto e la solidarietà per i neri, come lui vittime del satrapo. Così è perfino possibile che nella sua deriva senile Mugabe finisca per rendere un servizio alla nazione, cementando ciò che vorrebbe dividere» (Guido Rampoldi, ”la Repubblica” 6/3/2002).