Varie, 5 marzo 2002
MUGHINI
MUGHINI Giampiero Catania 16 aprile 1941. Giornalista. Scrittore, ”provocatore” televisivo. Libri: Compagni addio, A vie della Mercede c’era un razzista, Dizionario sentimentale, La ragazza dai capelli di rame, Il grande disordine (’liberal” 28/5/19998). «[...] figlio del federale fascista della città. In gioventù fona ”Giovane critica”, che diventa un’importante rivista di dibattito culturale a sinistra. Trasferitosi a Roma, fa il giornalista a ”Paese Sera”, ”L’Europeo”, infine a ”Panorama”, Negli anni Ottanta la svolta, annunciata dal libro Compagni addio. Oggi è un apprezzato commentatore televisivo e ospite televisivo. Le sue passioni sono gli anelli e le sciarpe» (’diario” 5/12/2003 - La meglio gioventù - Accadde in Italia 1965-1975). «Polemista vibrante, per il suo vezzo di tenere sull’elenco telefonico il suo numero privato ogni tanto deve passare le serate a rispondere agli importuni che lo insultano. Particolarmente molesti con lui, i leghisti. Reduce da un ”Maurizio Costanzo Show” dove aveva rintuzzato Bobo Maroni, una sera dovette pazientemente ascoltare gli insulti che per ben quindici volte e altri quattro squilli, una camicia verde gli notificò dalla cornetta. Pur cosmopolita, elegante, molto chic, decisamente civile nel senso della Zivilisation, dovette ricorrere al crudo catanese della Pescheria (quindi della Kultur) per dissuadere il telefonatore dicendogli infine: ”Chi spacchio vuoi, pezzo di curnutazzu?”. Solo allora il leghista, sventurato in preda a un incubo d’antimafia, sparì. Porta alle dita anelli importanti, fosse nell’Ottocento, smughineggiando, avrebbe compilato nei suoi carnet tutti i duelli possibili» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998). «[...] Io sono siciliano di Catania. Ce l’ho nel Dna. I siciliani ridono per non piangere. Io sono così. Sempre stato, senso dell’ironia e senso del limite. [...] Un giorno, al ”manifesto”, Castellina mi disse: ”Tu, con altri due, fate una riunione. C’è da fare la rivoluzione nel Sud”. D’accordo, eravamo meridionali, ma eravamo tre! Uscirono in due dal Pci palermitano per entrare al ”manifesto”. D’accordo, era una buona notizia, ma uscirono pezzi in prima pagina! [...] Sono stato molto rapido nel revisionismo. Mi dimisi dal ”manifesto” già nel marzo ’71, ero stato uno dei dodici fondatori. E non mi avevano certo chiamato al ”Washington Post”. Perdevo le mie 150 mila mensili e entravo in disoccupazione. [...] Mi presero a ”Paese Sera”. Resistetti 5 anni. Cinque lunghi anni da anticomunista, in un giornale comunista. Poi andai all’’Europeo”. Prima c’era Pirani, poi venne Lamberto Sechi. Da lui ho imparato tutto quello che so di questo mestiere [...] Nel 1987 ho scritto Compagni, addio, un pamphlet che ora potrei mettere nelle mani di D’Alema, sarebbe d’accordo su tutto. Ma io l’ho scritto troppo presto, e mi sono procurato aggressioni da ogni parte [...] Negli anni ’70 ogni invito a casa di amici era un rischio, c’era sempre qualcuno che, prima o poi, avrebbe detto che i terroristi erano ”compagni che sbagliano”, allora io, che non sono un violento, telefonavo prima alla padrona di casa: guarda che se viene fuori quella frase lì io a chi la dice rovescio addosso la pasta e fagioli [...]» (Lidia Ravera, ”Sette” n. 25/1999). Vedi anche: Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 31/2001;