Varie, 5 marzo 2002
MUSSI
MUSSI Fabio Piombino (Livorno) 22 gennaio 1948. Politico. Laureato in filosofia. Iscritto al Pci dal 1966, è stato condirettore dell’’Unità” e segretario regionale del partito in Calabria. Passato al Pds, è stato membro del consiglio nazionale del partito e responsabile dell’area politiche del lavoro. Eletto deputato nel 1992, 1994, 1996, 2001, 2006 (Pds, Ds). Nella XIII legislatura è stato presidente del gruppo Sinistra democratica-L’Ulivo. Ministro dell’Università nel Prodi II (2006-2008) • «[...] Faccione tondo e roseo, sembra il soddisfatto gestore di una salsamenteria ben avviata. Gli manca solo il lapis sull’orecchio [...]» (Guido Quaranta, ”Sette” n. 42/2000). «[…] ex goliarda della Normale, era famoso soprattutto per le stoccate autoironiche. Come quella rifilata al Pci (da responsabile propaganda) dopo una sconfitta elettorale, nel ”79: ”Pubblicità ottima, prodotto invendibile”. O quella dell’89, svolta Pds: ”Il comunismo? Abbiamo tolto a certi intellettuali il bambolotto di pezza” […]» (Andrea Testa, ”Sette” n. 7/2000). «Il giorno in cui Berlusconi disse che aveva la faccia ”per metà di Hitler e per metà di un salumiere”, rise. ”Si vede che non ha mai saputo distinguere le persone perbene dalle altre”. Quando Bossi lo chiamò ”Mussi, hi-ho, hi-ho” invitandolo a ”studiare Gramsci, somaraccio!”, fece spallucce: ”E me lo dice un professorone come lui? Guarda coincidenza: su Gramsci ho dato una tesi alla Normale di Pisa”. Incassatore di spirito, non se la prende se per i baffi pepponiani e gli occhi a spillo lo chiamano ”il Tricheco” e s’è fatto carico per anni di andare in tv quando il partito veniva bastonato dal voto: ”Allora chi va fuori? Ho capito. Vado io”. C’è una cosa però che Fabio Mussi incassa malissimo: le battute di D’Alema [...] ”Io e Mussi, che siamo commilitoni dal ”67, ci siamo a lungo tollerati...”. E lui, sorridendo acido dal basso: ”Non solo tollerati, via...”. [...] Baffino di Ferro usò la sua influenza perché il partito scegliesse come capogruppo alla Camera Luciano Violante facendosi scappare parole che inutilmente avrebbe smentito: ”Non possiamo fare opposizione con uno che sa solo raccontare barzellette”. Non che lui, Mussi, da bravo toscanaccio si risparmi nelle staffilate. Basti ricordare quella a Fini: ”Bravo ragazzo, ha un solo difetto: è un po’ fascista”. Essere liquidato così, lui che ama le eleganti citazioni sulla curva di Abel o sulla disputa di Gerberto contro Oderico davanti a Ottone II sulla matematica e la fisica, gli sembrò insopportabile. Come gli deve essere insopportabile sentire D’Alema ironizzare su decenni di amicizia elevati a reciproca tolleranza. Quella tra Fabio e Massimo, infatti, prima della sventurata battuta dalemiana e della astiosa reazione mussiana riassunta nell’accusa al ”commilitone” di ”culto della personalità”, è stata una delle rare amicizie vere e profonde di tutto il ”palazzo”. Si erano incontrati la prima volta, racconta Fabio, una mattina di ottobre di tanti anni fa, sulle scale del pensionato della Normale di Pisa: ”Avevamo due borse a testa, una per mano. Dalla Casa dello Studente arrivava un gran casino. I fascisti avevano tentato di metter su una manifestazione per i colonnelli greci. Quelli di sinistra avevano reagito. Mollammo le borse sulle scale e ci precipitammo. Capitando in mezzo a un massacro infernale”. Si conobbero così, ”nel furore della battaglia, diciamo. Lui era asciutto come un’acciuga, aveva i baffetti appena accennati e una testa enorme tutta riccia. Era tutto spigoli ma aveva un’intelligenza scintillante”. Per anni e anni furono inseparabili. Assemblee, manifestazioni, feste, seminari, esami, corteggiamenti, scampagnate sui colli con la ”MotoMussi”, una vecchia Ducati 98. Fu a Fabio che Massimo telefonò la notte i cui, davanti alla Bussola, venne coinvolto negli incidenti in cui rimase paralizzato Soriano Ceccanti: ”Mi chiamò a Piombino verso le due. Disse: ”Vieni, è successo un disastro’. Mi cambiai, mi misi un giaccone pesante, presi la ”MotoMussi’ e arrivai a Pisa che era ancora buio”. E fu di nuovo da Fabio che si rifugiò l’estate più straziante della sua vita: ”Quando in un incidente stradale morì Giusy, la sua compagna, Massimo venne da noi a Piombino. Si fermò un mese. Uscivamo con un gommone piccolissimo io, mia moglie, le bambini e lui. Fu un’estate di solitudine, dolore, malinconia....”. Dentro la loro rottura c’è dunque qualcosa di più della crisi di un rapporto politico. C’è sullo sfondo, al di là del caratteraccio di D’Alema che spesso cede alla tentazione di infilzare chi gli sta intorno [...] il guaio umano prima ancora che politico di una generazione di leader di sinistra alle prese con un problema più grave ancora che non le sconfitte elettorali o il rapporto con gli elettori. La mancanza della ”colla” indispensabile per dar vita a ogni progetto: la reciproca stima» (Gian Antonio Stella, ”Sette” n. 47/2002).