Varie, 5 marzo 2002
MUTI
MUTI Riccardo Napoli 28 luglio 1941. Direttore d’orchestra. Ha studiato al Conservatorio di San Pietro a Majella e al Conservatorio di Milano. La sua carriera è iniziata nel ’68 al Maggio musicale fiorentino. Ha debuttato come direttore ospite alla Scala nel 1970, a Salisburgo nel ’71, alla London Philharmonic nel ’72, dov’è stato direttore musicale per tre anni sino all’82. Direttore musicale a Philadelphia. Dall’86 al 2005 al Teatro alla Scala, successore di Claudio Abbado. Ha sviluppato la Filarmonica della Scala e ha da anni un fecondo rapporto con i Wiener Philharmoniker. Il repertorio del maestro include Verdi e il repertorio operistico italiano, Mozart, i romantici dopo Beethoven. legato alla casa discografica Emi. «Sopravvalutato (in Italia) direttore della Filarmonica della Scala. Fu appoggiato da Dc e Psi in contrapposizione a Claudio Abbado che era invece protetto dal Pci. Ammiratore di Toscanini, alla Prima scaligera del 7 dicembre 1986 frantumò la regola toscaniniana che proibiva il bis e rifece il Va’ pensiero. Eccellente il suo Mozart, discutibile il suo Beethoven, improponibile il suo Wagner, irrilevante tutto il resto (suona Ciajkovskij come se fosse Brahms). Sua madre, suo nonno e i suoi cinque fratelli vantano la sua medesima corrucciata espressione: complice, forse, l’ammonizione che troneggiava sul palazzo vescovile di Molfetta, dov’è cresciuto: ”L’ora che scorre vi ricorda che dovrete morire”. tuttavia appassionato di barzellette che propina anche agli orchestrali, divisi nel giudicarlo: chi lo ritiene un forte coi deboli, chi ne deride il gesto direttoriale ch’egli enfatizza davanti alla tv. Critico con gli show alla Pavarotti, tollera che sua moglie sia promotrice di discutibili carrozzoni tipo Ravenna Festival o concerti tipo Sarajevo (sponsorizzati dallo Stato e dalla Barilla). Dopo il definitivo tramonto della critica musicale italiana (non esiste organo di stampa disposto a criticare Muti), restano le imbarazzanti interviste» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «[...] Su un punto, tuttavia, messi da parte amori, idiosincrasie, orientamenti politici, vi è convergenza: artista indiscutibile, Muti, ma discutibile uomo pubblico [...] Un furibondo Franco Zeffirelli [...] lo ha definito ”ebbro di sé, drogato dalla propria arte e dalla propria vanità, una caricatura di direttore d’orchestra” [...] Un altro vecchio amico deluso, il manager melomane Jean Rodocanachi, già presidente della Fondazione per il Teatro alla Scala, scaricato nel ’96 da Muti e Fontana in tandem, scrive nei suoi Ricordi: ”Come uomo, Muti mi sembra pieno di contraddizioni, insicuro e sempre preoccupato del giudizio del pubblico e della critica”. Altri vedono in Muti un impolitico. Fatto sta che, etichettato (forse a torto) come uomo di centro-destra, Muti ha messo in imbarazzo una giunta (Albertini) e un ministro (Urbani) di centro-destra. Muti è stato protagonista di altre scene madri (sebbene, rispetto a un Karajan, a un Celibidache, sia un cordialone [...] si rifiutò di dirigere La forza del destino alla Royal Opera House di Londra per una scenografia non all’altezza suscitando un vespaio. Nel ’92 a Salisburgo abbandonò per colpa di una regia modernizzante il podio della Clemenza di Tito di Mozart. A Filadelfia s’imbestialì perché vide i suoi concerti segnalati nella sezione ”Entertainment” del giornale (’Non sono un entertainer”). Nel 2000 rifiutò la direzione della New York Philharmonic senza spiegare davvero perché. E si adombrò molto quando il sovrintendente Fontana contattò il suo agente americano David Foster nell’eventualità di invitare Daniel Baremboim ospite alla Scala. vero che Muti non tollera altri astri intorno a sé? I giudizi divergono. C’è chi, come gran parte dell’orchestra della Scala, pensa che egli abbia ostacolato l’ospitalità a grandi direttori e cantanti. E chi, come Gianluca Scandola, coordinatore artistico della Filarmonica e a Muti fedelissimo, ricorda che [...] sono stati invitati nomi come Chung, Gergiev, Temirkanov, Maazel, Conlon, Prêtre. Ma i primi obiettano che sono altri i nomi di riferimento. Lo stesso Isotta, un mutiano fiammeggiante, [...] rileva nel maestro ”errori nelle scelte di registi e di compagnie di canto” e gli rimprovera di non aver compreso ”essergli necessaria la presenza di un direttore artistico autorevole e dotato di mestiere, in grado di stabilire con lui un rapporto di alta dialettica”. Muti ha dalla sua gli innamorati, gli incantati: Armando Torno, sul ”Corriere”, lo carezza e lo difende ”a prescindere” (direbbe Totò) e ”für ewig” (in eterno, direbbe Beethoven). [...] Muti era un piacione. Ora è un di-spiacione. Gli antipatizzanti lo descrivono egoista, narcisista, sentimentalmente instabile, avido di denaro, prepotente. Al ”Corriere” si racconta che Ferruccio de Bortoli le telefonate più lamentose le ricevesse da Muti, e che il successore Stefano Folli sia stato sollecitato sull’eventualità di sostituire il critico in seconda Enrico Girardi con [...] Carla Moreni, da Muti assai stimata (non è avvenuto). Nei corridoi del ”Giornale” si ridacchia ancora di come Muti, ai tempi della direzione di Vittorio Feltri, s’infuriò per recensioni poco ossequiose di Piero Buscaroli, che tosto smise di collaborare. Perché Muti vola negli alti cieli, al di là del perenne teatrino italiota, ma la mattina alle 8 si è già sorbito tutta la rassegna stampa, ”Gazzetta di Reggio” compresa se è il caso. Muti, che pure ha studiato un po’ di filosofia ed è cultore di Federico II di Svevia, non si circonda di persone di cultura, è un’altra critica: a differenza di Abbado, Pollini, del compianto Sinopoli. Non ama gli intellettuali. Poi c’è chi infierisce: ”Non ha amici”. Sarà vero? Gli è amico Marco Tronchetti, che tanto si prodiga per sostenerne le iniziative, come il concerto sotto le Piramidi del Cairo per le ”Vie dell’amicizia” del Ravenna Festival diretto dalla moglie Cristina. Gli fu amico il ravennate Raul Gardini, egli pure generoso sponsor: Muti era in prima fila al suo funerale, dopo il suicidio avvenuto nel luglio 1993. Ma i pettegoli notano di aver raramente visto il maestro coltivare amicizie autentiche nell’ambiente musicale, con eccezioni come la soprano Leyla Gencer. Oppure citano i rapporti col maestro Francesco Siciliani. [...]» (Enrico Arosio, ”L’Espresso” 14/4/2005). «[...] Chi è, dietro le quinte, questo nostro artista dal grande valore e dal cattivo carattere? Per prima cosa, un meridionale a Milano. nato a Napoli, da madre partenopea e padre pugliese. Cresciuto a Molfetta, dove è rimasto fino ai 17 anni. Ha imparato fra i muri calcinati di Puglia l’accidia pensosa che ti obbliga a seguire con gli occhi le lancette dell’orologio della piazza del paese stando disteso al sole, d’estate, in piena canicola, senza fare un movimento. Poi, Milano. Il Conservatorio, il calvinismo iperattivo della capitale lombarda, l’autorità musicale della famiglia Abbado, con il giovane Claudio fin da allora destinato a una brillantissima carriera. Proprio in quel Nord colto ed efficiente, disciplinato fino al giansenismo, il bel ragazzo pieno di talento, allievo del maestro Vitale e dotato di un’artisticità naturale, quasi greca, si formò, misurandosi ogni giorno con ”il resto”. Da qui, probabilmente, la personalità complessa di un uomo che, pur propenso all’estroversione e al panta rei, si è via via consegnato a un canone di stampo mitteleuropeo a lui estraneo, in cui è rimasto e rimane imprigionato. Da qui, forse, il timore di ”non essere accettato” pur sapendosi eccellente. Da qui le chiusure, le difese, le aristocrazie formali spesso eccessive perché inutili ribadimenti di una sostanza reale. Da qui, estremizzando, la bellezza di un gesto direttoriale in cui molti vedono troppo teatro: ” talmente naturale, dirigere! - ha detto Muti, nei suoi primi anni alla Scala - C’è una tecnica, è ovvio. Ma il gesto, i movimenti della testa, delle braccia, delle mani sono appendice fisica della mente, la mente che ’va via’ con la musica. Non preordino nessun effetto . Tant’è che, riprodotto, non mi piaccio mai. In fotografia, non voglio rivedermi. Grande attore? Da molto giovane, per esuberanza, posso anche aver avuto atteggiamenti vistosi. Oggi no. Oggi è la musica e basta”. E ancora: ”Penso a me stesso, sempre, come a uno dalla doppia vita: dentro sono rimasto il ragazzo cullato da sogni di Magna Grecia, uno con la voglia di vivere e la capacità di godere di tutto; fuori, sono un uomo pubblico cui deve venir beneb quasi tutto. In verità, mi sento perfettamente a mio agio solo quando sono sul podio, si spengono le luci e il buio mi protegge. Allora mi sento la persona di tanti anni fa, non un superuomo. Il superuomo finisce sempre nel ridicolo. Io, invece, sono ben altro. Per superare il dolore, la stanchezza o la passione, sono costretto a lottare, a tenere a bada gli impulsi, le colonne di sangue che vanno verso la testa e vorrebbero impadronirsene...”. Ma chi lo conosce, questo Muti umano, troppo umano, ossessionato dall’idea del ”perfetto milanese”? Intanto, cautele e diffidenze gli hanno fruttato, almeno alla Scala, la fama di dittatore e ciò che il ”New York Times” definisce ”ammutinamento contro uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo”. Potrebbe infine riflettere su come sia stato e sia ingiusto rinunciare alla giovinezza: ”Le responsabilità che ho troppo presto avuto disse, a suo tempo mi hanno privato e mi privano di troppe cose...”» (Rita Sala, ”Il Messaggero” 3/4/2005).