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 2002  marzo 05 Martedì calendario

NAPOLITANO

NAPOLITANO Giorgio Napoli 29 giugno 1925. Politico. Presidente della Repubblica, fu eletto il 10 maggio 2006 con 543 voti su 990 votanti. il primo inquilino del Quirinale con un passato nel Partito comunista. Già senatore a vita (dal settembre 2005). Laureato in giurisprudenza. Eletto deputato dieci volte dal 1953 al 1996. Presidente della Camera nel 1992 e nel 1994. Ministro degli Interni nel governo Prodi. Deputato europeo dal 1989 al 1992 e di nuovo nel 1999 • «All’undicesimo congresso il Migliore era scomparso, Ingrao si faceva sotto da sinistra. Luigi Longo aprì la gabbia, uscì un leone: era Napolitano, l’amendoliano. Zampate e morsi che il vecchio Pietro ancora si ricuce» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998) • «’Lord Carrington”, come lo chiamano gli amici, [...] standard anglosassone [...] Uno che le emozioni le governa (’Lo ammetto: sono razionale”). Uno che nel febbraio del 1991, quando il vecchio Pci si avviava a morte, si espresse così in terza persona: ”Chiunque è stato comunista per 45 anni sta vivendo in questi mesi turbamenti profondi che non ha ritenuto di dover esibire”. [...] Oltre metà della sua vita, dal 1953, l´’ha passata tra gli scranni del Parlamento, da deputato a presidente della Camera. E poi ministro degli Interni, il primo ”rosso” al Viminale, comunista dal 1942, direzione, ufficio politico, presidenza del gruppo, organizzazione, esteri, tutto quel che di importante si può fare in un partito, tranne la carica di segretario, scelsero Berlinguer e non lui, a suo tempo. Emanuele Macaluso è l’amico fraterno [...]» (Alessandra Longo, ”la Repubblica” 30/6/2005) • «’Il compagno che aveva avuto ragione prima di noi”, lo ha omaggiato [...] Piero Fassino [...] Leader dal lungo e prestigioso cursus parlamentare e dall’innato senso dello Stato[...] vita da riformista ante litteram nel Pci. Una vita a tratti dura, segnata anche da accuse ”infamanti” (gli anni del duello tra Berlinguer e Craxi). Un viaggio difficile, dal ”comunismo realizzato” ai rapporti con la socialdemocrazia. L’occasione di diventare segretario del Pci, indicato da Lama, dopo la morte di Berlinguer. E poi i rapporti nel partito con i compagni di una vita, da Amendola a Chiaromonte, e anche con chi entrò in contrasto, come Pietro Ingrao. [...] dev’esser stata dura tenere alta la bandiera del riformismo in un partito come il Pci... ”Il Pci non era un partito riformista, anzi rifiutava quella classificazione, sul piano ideologico aveva addirittura combattuto il riformismo. Ma muovendo da queste posizioni - e rinato a nuova vita con la vittoria della Resistenza e la Liberazione - diventa poi una grande forza politica nazionale chiamata a contribuire alla costruzione della democrazia; diventa un partito di massa, alle prese con i problemi reali del popolo e del Paese, portando avanti precisamente una strategia di lotta per le riforme. In questo senso si è detto che quello del Pci fosse un riformismo di fatto: ma naturalmente la contraddizione tra il persistere di una matrice rivoluzionaria, la scelta di campo negli anni ”47-’48 dalla parte dell’Urss e l’azione politica da svolgere in Italia senza farsi imprigionare in degli schemi ideologici, questa contraddizione, dicevo, era molto profonda. Noi non l’abbiamo colta subito, né io né molti altri: ne siamo diventati via via consapevoli attraverso l’esperienza e la riflessione. E certamente ha contato il fatto che nel Pci ci siamo incontrati - noi, che poi saremmo stati definiti riformisti - con alcune personalità che avevano maggiormente il senso di una politica riformista ed esprimevano più nettamente una visione di governo. Tra queste personalità la più forte, senza dubbio, era quella di Giorgio Amendola: e alla sua scuola sono andato fin dai miei primi passi nell’attività di partito [...] Un momento importante per segnare un discrimine rispetto a schematismi di sinistra, fu il Congresso del 1966. Una prima occasione per prendere le distanze dall’Urss e dal movimento comunista internazionale fu invece la vicenda della Cecoslovacchia, nel 1968. Così come un’esperienza importante per qualificarci come forza di governo fu la solidarietà democratica negli anni dal 1976 al 1979”. Sono giusto gli anni dell’avvento sulla scena politica di Bettino Craxi e del successivo grande scontro tra Psi e Pci. [...] ”Craxi prende la guida del partito dopo la sconfitta del 1976, e all’inizio mantiene un atteggiamento collaborativo col Pci, sia pure con distinzioni e riserve negli anni delle maggioranze che sostennero il primo e il secondo monocolore Andreotti. Fu dopo, a partire dal 1980, che dispiegò una strategia tale da provocare una divaricazione alla fine molto acuta tra i due maggiori partiti della sinistra. Per quel che riguarda me e anche altri - e voglio almeno citare un nome, quello di Gerardo Chiaromonte, col quale ci fu piena sintonia, sempre - noi fummo partigiani convinti dell’unità tra Pci e Psi ben prima che apparisse all’orizzonte Craxi. Lo fummo quando segretari erano Nenni, Mancini e De Martino; lo fummo nel rapporto con Riccardo Lombardi e Lelio Basso, con Antonio Giolitti e Vittorio Foa, e tenemmo fermo quell’obiettivo e quell’impegno anche dopo che Craxi diventò segretario. vero che ci trovammo in una posizione difficile, e vivemmo momenti scomodi e ingrati nel Pci e nel suo gruppo dirigente quando il clima divenne quello di un duello tra Pci e Psi, tra Berlinguer e Craxi. Ma il considerarci disposti a cedere alle pressioni di Craxi e addirittura a venir meno a un impegno di lealtà verso il partito, fu un’infamia”. Furono forse gli anni peggiori, con sospetti velenosi e grandi scontri con la sinistra interna, a cominciare dal suo ”nemico” Ingrao, altra figura carismatica nel Pci... ”Nemico mai. Nella lotta politica all’interno del Pci, Ingrao fu antagonista di Amendola e altri, prima che mio. Ho sempre avuto considerazione per l’impegno con cui ha espresso e difeso le sue convinzioni. Sì, è vero, abbiamo avuto contrasti politici non secondari, ma il rapporto personale è sempre rimasto schietto e cordiale. Ammirai il modo in cui esercitò le funzioni di presidente della Camera, l’ho sentito vicino quando poi quel compito toccò a me. [...] Finita l’esperienza della solidarietà democratica, ci fu una sterzata in senso tendenzialmente settario e integralista, e non si colsero esigenze ormai mature di riforma istituzionale e di inevitabile revisione di posizioni diventate indifendibili, come la tutela del meccanismo di scala mobile. L’isolare da tutto questo la questione morale - e farne l’emblema della diversità del Pci in contrapposizione al resto del mondo politico - ci condusse in un vicolo cieco [...] Ho fatto viaggi a Mosca per incontri politici e per iniziative di studio fino all’inizio degli Anni 70, poi mi resi conto che non c’erano possibilità di dialogo con quei dirigenti del partito comunista sovietico. Tornai a Mosca dopo quasi 15 anni solo dopo l’avvento di Gorbaciov alla guida del Pcus. Comunque anche io arrivai tardi al riconoscimento delle storture del sistema sovietico. Si può dire che in particolare sulla definizione del regime sovietico come totalitario, resistemmo sempre: anche se la definizione berlingueriana di regime con ”tratti illiberali” era assolutamente inadeguata” [...] primo ”comunista”, nel 1996, alla guida del Viminale... ”Non solo il primo ”comunista’, ma il primo non democristiano dal 1946, se si eccettua la breve parentesi del leghista Maroni nel ”94. Mi trovai abbastanza rapidamente a mio agio perché nel corso della mia attività parlamentare, culminata nella presidenza della Camera dei deputati, avevo maturato cultura istituzionale e senso delle istituzioni assai più di quanto oggi avversari faziosi del Pci e degli ex comunisti possano immaginare. Fu un impegno intenso e gravoso nel corso del quale cercai su alcuni temi essenziali (l’immigrazione e la lotta alla criminalità, per esempio) una convergenza bipartisan tra maggioranza e opposizione. Tentativo rimasto purtroppo vano, non per mia responsabilità”» (Paolo Franchi, ”Corriere della Sera” 29/6/2005).