Varie, 5 marzo 2002
NASH
NASH John Forbes Bluefield (Stati Uniti) 13 giugno 1928. Uno dei massimi matematici viventi, scopritore di un ”punto fisso” nella teoria della probabilità, premio Nobel per l’economia nel ”94 (con Harsany e Selten). «Genio e schizofrenia»: così l’ha definito lo psichiatra Oliver Sachs. Ha infatti sofferto per molti anni di schizofrenia, malattia che lo costrinse a dimettersi dal Massachussets Institute of Technology di Boston dove insegnava, e a farsi ricoverare in una clinica per malattie nervose. I primi avvisi nel dicembre del ”59. Nash entrò in sala di lettura del dipartimento di matematica sbandierando il ”New York Times” e, davanti ai colleghi sbigottiti, affermò che un articolo della prima pagina era un messaggio cifrato proveniente da un impero extraterrestre che lui avrebbe però decifrato. «La radice di ogni male, per quanto riguarda la mia vita personale, sono gli ebrei», scrisse in una lettera del ”67. E più tardi: «Prima della guerra arabo-israeliana del ”67 io ero un profugo palestinese di sinistra, un membro dell’Olp che implorava le nazioni arabe di proteggermi dal cadere sotto il potere dello Stato ebraico». «Il Fantasma ha lunghe mani ossute, che si tormenta di continuo. Una vecchia giacca di tweed in cui le scapole annegano un po’ . Occhi acquosi e molto mobili, che non riescono a fissarsi in quelli dell’interlocutore . Una grande lavagna nera dietro le spalle, fitta di formule e di equazioni, dove da anni traccia con grafia incerta soltanto i piccoli algoritmi della vita quotidiana, registrando appuntamenti, l’argomento di qualche conferenza. ”Sempre lo stesso argomento e la stessa conferenza, in fondo, che ripeto molte volte. Sì, viene gente a sentirmi, adesso, tanti studenti. Ma se nel – 94 non mi avessero dato il Nobel, nessuno verrebbe, nessuno mi ascolterebbe, lo so’, dice. La sua stanza nel dipartimento di Matematica, la 910, al nono piano di Fine Tower, è uno stambugio polveroso di venti metri quadrati, con tre poltroncine sdrucite e una libreria vuota, riscattato da una finestra che s’affaccia sui prati di Princeton illuminati dalla primavera del New Jersey. Dietro la collina, c’è la vecchia Fine Hall che da tempo ha cambiato nome in Jones Hall: il palazzotto neogotico di mattoncini rossi dove a settembre del 1948, la mattina del Labor Day, lui entrò per la prima volta, venendo dal West Virginia, appena ventenne, astro nascente in quella che era la ”moderna accademia di Platone”, accanto all’Institute for Advanced Study, nel firmamento di Einstein e Godel, Oppenheimer e von Neumann, con le lavagne in mezzo ai tavolini del tè, buone per le sfide subitanee a dimostrarsi una teoria, un brandello di teorema con cui cambiare i destini della razza umana. Il Fantasma ha una scrivania che non usa molto, addossata contro la parete della finestra e affastellata di scartoffie e cianfrusaglie. ”Sì, su questo tavolo c’è una gran confusione, ma la cosa in sé non è una prova di attività. Non insegno, no, ma sono ritornato alla teoria dei giochi, sto anche cercando qualcosa di nuovo, però non voglio parlarne. La verità è che faccio tanto lavoro per recuperare”. Sorride con una smorfia, strizzando gli occhi, e la voce si rompe. Poi riprende: ”Ho passato venticinque anni da pensionato. E adesso la matematica è cambiata parecchio. Ma non è stata una lunga vacanza, sono stato piuttosto male. Non hanno inventato molti sinonimi per descrivere quella malattia, la schizofrenia”. Il tempo si è contratto in un battito di ciglia per John Forbes Nash. Sono trascorsi più di quarant’anni dalla notte di Capodanno del 1959, quando la sua mente straordinaria diede per la prima volta un segno delle tenebre in cui stava per tuffarsi. Dieci anni prima, alla fine del ”49, fischiettando la sinfonia algebrica che gli risuonava in testa sin da quando - bambino - i maestri lo ritenevano un somaro non comprendendo il suo modo di risolvere i problemi, quel filiforme dottorino bello come un attore aveva modellato la sua teoria: il ”teorema dell’equilibrio di Nash”, lo avrebbero chiamato allora, senza immaginare la nota di amara ironia con cu i suona oggi. Grazie a quell’intuizione, che avrebbe influenzato le scienze economiche e sociali, le competizioni di mercato e le scelte strategiche dei decenni a venire, aveva sfondato il recinto della teoria dei giochi, era riuscito dove John von Neumann, nume tutelare di una intera leva di matematici, s’era fermato: aveva promesso la liberazione dal cupo schema di conflitto totale tra due giocatori secondo cui uno vince e l’altro perde, inevitabilmente. Lui, così altero da chiamare ”umanoidi” gli abitanti del mondo esclusi dal recinto di Princeton, s’era accostato per via matematica alla compassione umana e all’etica. C’è sempre un punto di equilibrio possibile, aveva dimostrato Nash, una soluzione stabile fra le molte, dati i comportamenti vicendevoli, attraverso la quale tutti hanno da guadagnare. L’equazione possibile della vita è anche la migliore, quella in cui ciascuno vince qualcosa. E aveva calato così per la prima volta la gelida astrattezza delle formule di von Neum ann nella realtà di un mondo allora dominato dai terrori della Guerra Fredda. ”Solo con Nash la teoria dei giochi è diventata viva per gli economisti”, disse una volta il Nobel Robert Solow. Poco più tardi, dopo una parentesi al Rand (la struttura scientifica che collaborava con la Difesa), e dopo le umiliazioni che il maccartismo gli avrebbe inflitto per la sua disordinata vita sessuale, Nash sarebbe svanito, diventando il ”Fantasma di Fine Hall” per la gente di Princeton, aggirandosi tra le aule e i saloni della cittadella a piedi nudi, scarabocchiando formule incomprensibili sulle lavagne, mandando messaggi firmati dall’imperatore dell’Antartico. Ora di quei giorni dice con pudore: ”La schizofrenia è un diverso orientamento mentale, tutto qui. S’immagini qualcuno che diventi membro di una setta, seguace d’un culto che non segue gli orientamenti religiosi riconosciuti. Ecco, perdere la mente è credere a cose alle quali altri non credono e che vengono chiamate illusioni, il che non vuol dire essere matti. Si può tornare, uscire a poco a poco da quell’orientamento mentale come da una setta”. La sofferenza, le medicine, le cliniche: questi sono i venticinque anni di ”diverso orientamento mentale” del Fantasma di Fine Hall. Salvato da Alicia, la moglie da cui pure aveva divorziato e che nonostante questo non l’ha mai abbandonato. Salvato da Princeton, l’università che non gli ha mai voltato le spalle. Dieci anni fa, Nash ha detto: ”Sono stato ricoverato qui, e per questo ho evitato di finire come un barbone”. Il ritorno non è improvviso, ”non è come svegliarsi una mattina e dire: accidenti, che brutto sogno!”. Eppure, proprio una mattina, a metà degli anni Ottanta, il teorico di quantistica Freeman Dyson lo incontra nei viali della cittadella e lo saluta, Nash risponde garbato e comincia a intavolare con lui una conversazione, minima ma razionale. ”Non è così strano”, dice adesso: ”In un venti per cento di casi si recupera”. Il Fantasma è tornato. Al risveglio scopre che l’ispirazione è perduta, ma tutti lo trattano da idolo. Il Nobel per l’Economia, conquistato nel ”94 con la sua antica teoria dell’equilibrio, è l’ultima vittoria sul male. ”Mi ha dato una giustificazione alla vita, una nuova motivazione. E dei vantaggi. E, come ho detto, stanno a sentirmi”. Sulla sua vita una giornalista del New ”York Times”, Sylvia Nasar, ha scritto un affascinante libro che è stato tradotto anche in Italia, dalla Rizzoli: Il genio dei numeri. Storia di John Nash, matematico e folle. Da quel libro è stato tratto un film A beautiful mind […] La parte dello scienziato maledetto è stata affidata a Russel Crowe, il divo del momento. Nash sorride, stanco: ”Io veramente preferirei l’incognito. Ma la malattia mentale di un premio Nobel può attirare la gente, lo capisco. E io non sono miliardario, almeno la mia famiglia avrà i diritti sul film”. Ciò che non dice, è che quei diritti serviranno anche ad affrontare un nuovo calvario, quello di suo figlio Johnny, pure lui malato di schizofrenia. Era uno scacchista, Johnny, e un matematico, come papà. ”Spero che recuperi, io sto cercando di aiutarlo”. Passato e presente adesso si mescolano in fretta nella mente del vecchio Fantasma. Il ricordo di Einstein, ”ideai una delle mie prime tesi quasi solo per ottenere un colloquio con lui”. L’ostilità di von Neumann, ”c’era grande conflittualità, lui non apprezzava molto i miei punti di vista”. La teoria dei giochi che torna buona anche ora, mentre tira brezza di Guerra Fredda con la Cina: ”Possono trovarlo pure loro, un punto di equilibrio, tra il conflitto con Taiwan e le preoccupazioni per il commercio con noi americani”. Fuori, i prati di Princeton brulicano di ragazzi, di libri aperti sull’erba, di zaini. La vita d’un uomo passa in fretta se le tagli via venticinque anni. ”Mi piacerebbe fare ancora del buon lavoro prima che tutto sia finito. Ho alcune belle idee, ma non so se avranno successo”, dice Nash, con la sua smorfia di sorriso. Poi gli occhi corrono via veloci: ”Del resto ho capito che il successo ha tante vie: io, per esempio, vorrei essere nonno , adesso, ma non lo sono”. Le foto di Johnny al tempo della scacchiera sono lì, appese sotto la lavagna senza formule» (Goffredo Buccini, ”Corriere della Sera” 1/5/2001).