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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Necci Lorenzo

• Fiuggi 9 luglio 1936, Bari 28 maggio 2006 (investito mentre andava in bicicletta). Ex manager dell’industria chimica privata fino all’82. Poi è passato alla guida dell’Enichem e infine, per soli sei mesi, dell’Enimont. Nominato amministratore straordinario delle Ferrovie nel ‘90, ha condotto la trasformazione in Spa e progettato l’Alta Velocità. Venne arrestato il 15 settembre 1996 dai giudici di La Spezia, che contestavano a lui, al banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e ad altri manager l’associazione per delinquere, la corruzione, la truffa, l’abuso d’ufficio e il peculato. Rimase in cella 65 giorni: a marzo 2001 la Cassazione ha annullato l’ordine di cattura. Tutte quelle accuse sono poi cadute. Il primo avviso di garanzia arrivò da Aosta nell’estate 1996, contestando l’associazione segreta: accusa poi archiviata. La procura di Piacenza lo ha accusato per il deragliamento di un Eurostar: accusa archiviata. Il tribunale di Venezia lo ha assolto in primo grado per l’inquinamento di Porto Marghera. A Roma ci sono state 12 sentenze di assoluzione o archiviazione per contratti delle Fs. Altre archiviazioni a Torino, Firenze e Perugia, dove però nel 1998 è stato chiesto il rinvio a giudizio per la presunta corruzione di giudici: si attende ancora l’udienza preliminare. È stato condannato a Milano assieme a Pacini Battaglia e ad alcuni costruttori per gli appalti dello scalo ferroviario di Fiorenza. I cinque anni inflitti in primo grado per corruzione sono stati ridotti in appello a 3 anni e 2 mesi. Ricorrerà in Cassazione. “Il colonnello Cataldi del Ros l’ha detto esplicitamente ai miei avvocati: ‘A Necci hanno messo la cocaina in tasca’, ossia lo hanno incastrato. E mi convinco sempre di più di essere stato vittima non solo della sorte ma di un vero complotto: un’operazione che ha avuto la conseguenza di arrivare alla mia enucleazione chirurgica dalla vita pubblica. Sembra proprio una manovra, potrei dire con un eufemismo, di organizzazioni trasversali o di apparati. Ma non ce l’ho con la magistratura: finora dai giudici ho raccolto soprattutto assoluzioni’. [...] Una lunghissima catena di dichiarazioni di innocenza, quasi quaranta in tre anni, che però non hanno minimamente compensato il colpo subìto nel settembre 1996. In pochi giorni l’immagine di Lorenzo Necci crollò: da statista di punta dell’ipotetico ‘governo dei migliori’ disegnato da Maccanico si trasformò nell’uomo-simbolo della seconda Tangentopoli. L’arresto a La Spezia; la diffusione delle intercettazioni che non avevano nulla a che vedere con l’inchiesta ma che hanno travolto la sua vita privata e quella della sua famiglia; le dimissioni dal vertice delle Ferrovie annunciate dalla cella ‘sotto ricatto per ottenere la scarcerazione’. E poi nel giro di pochi mesi decine di altre imputazioni. Deraglia un Eurostar? Avviso di garanzia a Necci. L’inquinamento di Marghera? Necci sul banco degli imputati. C’è l’amianto nei convogli? Necci indagato. ‘All’improvviso sono diventato responsabile di tutto’. Quel primo mandato di cattura è stato poi annullato dalla Cassazione; le contestazioni iniziali di La Spezia sono svanite mentre dopo cinque anni i suoi avvocati non sono ancora riusciti a esaminare i nastri originali delle famigerate intercettazioni. Anche gli altri procedimenti sono finiti con decine di assoluzioni e un’unica condanna contro la quale ricorrerà davanti alla Suprema corte: il processo nel quale è confluita l’accusa per i soldi ottenuti da Pacini Battaglia, che si è concluso in appello a Milano con una pena di tre anni e due mesi per corruzione. ‘Con Pacini Battaglia c’era un rapporto di amicizia e frequentazione nato durante le vacanze all’Argentario, che risaliva ai tempi in cui ero un manager privato. Poi nel 1996 mi ha tradito come banchiere e come amico. Ho sempre avuto il sospetto che le frasi pronunciate nelle registrazioni fossero volute o comunque forzate: che Pacini sapesse di essere sotto controllo e abbia fatto intenzionalmente il mio nome. Non posso immaginare una persona della sua esperienza che si mette a parlare con una decina di interlocutori di rapporti privati e confidenziali’. Già, ma quei soldi? Negli archivi dei giornali è rimasta la versione trapelata dal carcere di La Spezia nel 1996: ‘Mi prestava venti milione al mese perché il miliardo di stipendio annuale delle Ferrovie non mi bastava...’. ‘Non scherziamo. Io non ero dipendente delle Fs, come oggi è Cimoli, ma ricevevo dei compensi come libero professionista, seguendo il modello del mio predecessore Schimberni: circa 120 milioni netti l’anno, cui dovevo sottrarre contributi e quote assicurative. Parte dei soldi di Pacini erano prestiti consegnati anche ai miei familiari, che io ignoravo: in cella li ho riconosciuti come miei per evitare che venissero coinvolti anche loro. Parte erano anticipi sulla vendita del mio appartamento di Parigi ed anche su questo punto bisogna fare chiarezza: quella casa è stata descritta come ‘il tesoro nascosto in Francia da Necci’ mentre io l’avevo denunciata al fisco da anni, come provano le mie dichiarazioni dei redditi. Il resto della mia attività economica non ha nulla a che vedere con gli incarichi pubblici’. Ma i giudici di Milano hanno ritenuto quel denaro come una tangente per gli appalti dello scalo ferroviario di Fiorenza. ‘Non è vero. Io non mi sono mai occupato di quel contratto, gestito da altri: si tratterebbe di una corruzione senza contropartita. La questione dei rapporti con Pacini prima è stata contestata a La Spezia in un’indagine archiviata, poi è tornata fuori a Milano e a Perugia. E credo che con l’espressione ‘mi hanno messo la cocaina in tasca’ si riferissero proprio a Pacini’. Ritiene di essere stato incastrato? ‘I segnali erano arrivati molto tempo prima. Nel 1993 un alto funzionario delle nostre forze dell’ordine mi avvisò che ci sarebbero stati attentati sui cantieri dell’Alta velocità sulla linea Torino-Lione. Ed effettivamente nel ‘96 ci sono state le bombe della Val di Susa, quelle per le quali sono stati arrestati degli anarchici: due ragazzi si sono suicidati durante la detenzione. Ma come si poteva prevederlo con tanto anticipo? Poi un anno prima dell’arresto un dirigente delle Fs mi disse che aveva sognato la Madonna: ‘Mi ha riferito che se non molla l’Alta velocità lei verrà ucciso’. Io l’ho preso per pazzo, ma lui ha organizzato un incontro con dei personaggi statunitensi di rilievo che ripeterono lo stesso avvertimento. Usarono toni affettuosi: ‘Perché vuole fare l’Alta velocità? Lasci perdere...’ In cella, ho ripensato a lungo quei messaggi. Ci sono rimasto per 65 giorni, sempre con la luce accesa. C’erano quattro agenti che mi sorvegliavano 24 ore su 24: ufficialmente lo facevano per evitare che mi suicidassi, ma poi lasciavano cadere stringhe e lacci. Un invito a seguire la sorte di Gabriele Cagliari’. Quindi lei si è convinto che ci siano dei mandanti dietro le inchieste? ‘Non lo sostengo solo io. Tra i tanti, anche il pm di Perugia Della Monica - che ha ereditato parte dell’inchiesta e ha poi chiesto di processarmi - mi ha rimproverato. Mi ha detto che non mi ero reso conto che c’erano dei ‘mandanti’: nemici che avevano organizzato il mio coinvolgimento nelle indagini di La Spezia. ‘Lei non doveva dimettersi dalle Fs, perché è proprio quello che loro volevano’’. Ma lei si è fatto un’idea su chi siano questi nemici? ‘Basta vedere chi ha vinto: osservare cosa è accaduto nella chimica, nella logistica e nelle ferrovie. C’è una componente imprenditoriale e una politica. Nella prima vedo l’opera anche di società italiane e straniere, colossi del Nord Europa che volevano colonizzare l’Italia e ci sono riusciti. Nell’arresto del ‘96 era contestato l’affare Contship, un accordo tra le Ferrovie e alcuni porti container che dopo di me non è mai stato concluso. Ed è emblematico che poi Contship sia stata comprata dal porto di Amburgo... Poi ci sono grandi interessi nazionali che non amano troppo l’autonomia dei dirigenti pubblici: vanno bene solo se sono un po’ stupidi o un po’ corrotti; meglio se tutte e due le cose. Io invece sono andato da solo troppo lontano’. E quanto sarebbero stati estesi questi interessi? ‘Enrico Cuccia all’inizio del ‘92 mi disse: ‘Nel precedente piano delle Ferrovie ai partiti veniva pagato il 5 per cento dai costruttori. Se vuoi portare a termine i lavori del nuovo piano devi trovare il modo di tagliare i rapporti tra fornitori e partiti: solo così le banche private ti sosterranno e noi entreremo nell’Alta velocità con un ruolo determinante’. Nacque allora la ‘delibera della trasparenza’, che faceva perdere l’appalto all’imprenditore nel caso in cui venissero scoperte tangenti: i costruttori migliori erano a favore, gli altri contro. Ma io andai avanti e le banche private presero il timone della Tav, il consorzio per l’Alta velocità. Stranamente anche alcuni avvocati delle Ferrovie e alcune procure si mostrarono contrarie a questa delibera: sostenevano che così ‘i corruttori non avrebbero più collaborato con le indagini’. Ma finché ho guidato le Fs questo sistema di trasparenza ha funzionato: dopo non so nemmeno se è stato applicato’. Viene spesso criticata la scelta di assegnare le tratte ai grandi gruppi italiani senza gare di appalto europee... ‘Difendere l’interesse nazionale è una colpa? Comunque non è stata certo una mia scelta. Ecco le lettere con cui chiedevo al premier Giuliano Amato di pronunciarsi in merito, ed ecco la risposta: ‘Vai avanti così’. Con il piano dell’Alta velocità pensavo di avere realizzato un capolavoro: era condiviso da tutti i governi, che avevano approvato ogni singolo atto. Ho cominciato con Andreotti, per proseguire con Amato, Ciampi, Dini, Berlusconi e Prodi fino all’arresto. I finanziamenti li elargiva il ministero del Tesoro e lo stesso Monorchio era consigliere della Tav, il consorzio che gestiva le opere. I prezzi erano stati stabiliti dai consulenti delle ferrovie tedesche e francesi: la metà rispetto alla prassi delle Fs. Non c’era nessuno spazio per gli adeguamenti in corso d’opera, poi accettati dai mie successori. Durante un incontro a tavolino Cuccia mi aveva preso un ginocchio: ‘Perché insisti, non capisci che con questi prezzi le società italiane finiranno rovinate...’. Ma i contratti sono stati poi firmati dai presidenti di Fiat, Eni, Iri dell’epoca e proseguono secondo le miei linee. C’è una sola differenza: oggi vengono a costare almeno il doppio’ E non ha mai pensato di dare ascolto agli ‘avvertimenti’? ‘Avrei dovuto lasciare nel ‘95 quando i segnali dal mondo degli affari internazionali e degli appalti sono diventati più forti. Dovevo muovermi quando i piani per il governo Maccanico come possibile soluzione istituzionale alla crisi della legislatura mi esposero politicamente. Si fece il mio nome e quello di Amato come esponenti di punta del governo dei migliori, ma Fini disse no e si andò al voto. Sono tutti elementi che hanno contribuito alla decisione di eliminarmi’. Il suo arresto però è arrivato mesi dopo la nascita del governo Prodi che l’aveva confermata. ‘Le intercettazioni di Pacini sono di gennaio, prima del voto. Poi, dopo la nascita dell’esecutivo, con il carcere mi hanno impedito di schierarmi politicamente. Perché io, uomo di sinistra, avevo ricevuto un’offerta chiara da Berlusconi e c’era il forte timore che potessi avvicinarmi al Polo’. E in che modo qualcuno a sinistra l’avrebbe ostacolata? ‘Cito solo un esempio. Claudio Burlando nel giorno dell’insediamento al ministero dei Trasporti mi disse esplicitamente: ‘Fai partire un solo treno da Gioia Tauro e sei fuori dalle Ferrovie’. Era un chiaro invito a non intralciare gli obiettivi e gli interessi, a farmi da parte’. E Pacini si sarebbe prestato a questa manovra? ‘Per chi abbia operato non lo so, ma è negli atti che in quel periodo Pacini faceva l’informatore. E dietro l’arresto di Pacini a La Spezia ci sono le guerre che venivano combattute tra Di Pietro e chissà chi altri. Il banchiere si è trovato in mezzo a questo scontro, ma alla fine tra sbancati e sbiancati è rimasto solo il mio nome’. Ma non si rimprovera proprio nulla? ‘L’unico errore è stato quello di avere seguito troppo un ideale’. Un ideale? A Milano i giudici l’hanno riconosciuta responsabile di corruzione per il denaro di Pacini ... ‘Lo ribadisco e sono convinto che la Cassazione lo riconoscerà: non c’è mai stata corruzione di cui io fossi a conoscenza. Nel palazzo di Giustizia di Milano c’è un clima in cui oggettivamente manca la serenità di giudizio: qualunque sentenza viene sempre letta come una vittoria o una sconfitta di Mani pulite, al di fuori del merito. È un dato di fatto che nessuno può negare’” (Gianluca Di Feo, “Corriere della Sera” 18/12/2001).