Varie, 5 marzo 2002
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Nedved Pavel
• Cheb (Repubblica Ceca) 30 agosto 1972. Ex calciatore. Pallone d’oro 2003. Con la Juventus ha vinto quattro scudetti (2001/2002, 2002/2003, 2004/2005, 2005/2006, gli ultimi due revocati), le Supercoppe italiane 2002 e 2003, il campionato di B 2006/2007. Con la Lazio ha vinto lo scudetto 1999/2000, la coppa delle Coppe 1998/1999 (suo il gol decisivo nella finale contro il Maiorca), la coppa Italia 1997/1998 e 1999/2000, la supercoppa europea 1999, la supercoppa italiana 1998 e 2000. Con la Repubblica Ceca è stato vicecampione d’Europa nel 1996. Centrocampista «unico nella sua interpretazione del ruolo: ricorda Boniek, gli somiglia Stankovic. Piace perché corre. Piace perché tira, segna e non s’arrende mai. Piace perché è Nedved, il che vuol dire essere completamente diverso dagli altri. Un ragazzo normale fuori dal campo: con una famiglia tradizionale, una vita privata tranquilla e una vita mondana inesistente. Un campione straordinario in campo. Così straordinario da rendere difficile, quasi impossibile, l’individuazione di un altro Nedved, nel presente o nel passato. Il paragone più calzante, guarda caso, è forse quello con un giocatore dell’est cheha fatto sognare i tifosi della Juve: ZbignewBoniek. Il polacco correva, tirava e lottava con la stessa intensità che mostra in ogni partita il ceco di Lippi. Non era una punta, anche se con i bianconeri agiva prevalentemente da ala sinistra. […] C’è chi dice che Nedved ricordi Marco Tardelli, che però agiva in posizione più arretrata e arrivava meno alla conclusione. Certo, il famosissimo gol con urlo nella finale Mundial contro la Germania è un tiro alla Nedved, ma a unire i due grandi campionic’è soprattutto la straordinaria grinta e il carattere vincente. […] difficile identificare un altro Nedved perché non è facile individuarne il ruolo: non è un trequartista classico; non è un esterno; non è solo un centrocampista offensivo. Pavel si muove in orizzontale o in verticale; retrocede a rubar palla o si fa trovare pronto nella metà campo avversaria; scatta con la palla al piede o detta in progressione il passaggio del compagno; si smarca all’improvviso in zona tiro o arriva al limite dell’area pronto a effettuare un cross o un suggerimento filtrante. l’atipico per eccellenza: chi agisce in quella zona del campo, è di solito un trequartista dotato di grande talento (spesso superiore a quello del ceco), ma di doti fisiche decisamente inferiori alle sue. Paul Scholes, ad esempio, è la chiave del Manchester United: un centrocampista universale, in gradodi agire daseconda punta, bravissimo in zona gol, intelligente dal punto di vista tattico. Ma non si può paragonare direttamente a Nedved, così come diverso è Tomas Rosicky, fantasista del BorussiaDortmund, atipico perché ha i piedi del numero 10 e la grinta del mediano, ma è meno universale dello juventino. Pavel e Tomas sono complementari e infatti giocano insieme nella Repubblica Ceca. Il particolare tipo di gioco di Nedved consente al suo allenatore di poterlo schierare assieme a unaltro trequartista, caratteristica difficile da trovare in chi interpreta il ruolo del fantasista inmodo classico. Zidane e Rui Costa, per esempio, non potrebbero mai giocare insieme: ciascuno dei due, però, sarebbe affiancato a Nedved senza grossi problemi tattici. Ecco perché oggi, in serie A, sonoduei calciatori che più degli altri possono essere accostati allo juventino: Stefano Fiore (che con Mancini agisce sia al centro che sulla fascia) e soprattutto Dejan Stankovic, ilpiù simile al ceco per proprietà tecniche e fisiche. Pavel, comunque, resta l’interprete unico di un ruolo che, fondamentalmente, ha inventato lui. Atipico per caratteristiche, unico per rendimento: semplicemente Nedved» (G.B. Olivero, ”La Gazzetta dello Sport” 4/3/2003). «L’unica eccezione che concede al suo personaggio bionico sono quegli strani capelli color pannocchia che sventolano inseguendo l’uomo che li indossa. […] A casa ha installato una palestra nella quale consuma quello che non è riuscito a consumare anche sul campo. Si allena, raccontano, anche a Natale e Capodanno. La vita mondana non gli appartiene, le serate le passa in pigiama sul lettone matromoniale insieme alla moglie Ivana e ai due figli (Pavel e Ivana...) a guardare la televisione. Se c’è un professionista perfetto, dovrebbe essere fatto come lui» (Emanuele Gamba, ”la Repubblica” 24/2/2003). «La qualità che ha fatto di lui uno dei migliori calciatori del mondo non è il tocco sopraffino, per quanto con i piedi non sia male: è la dirompente energia che si sprigiona da un corpo fatto per lo sport e allenato alla fatica. ”Senza la fatica - racconta - non sarei più lo stesso. L’allenamento è una ragione della vita, la ginnastica diventa un autentico piacere e se non corro un po’ tutti i giorni non sono in pace con me stesso”. Immaginatevi il custode di Formello, che si preparava al Cenone, quando se lo vide davanti, alla vigilia di Natale, con la curiosa richiesta di aprirgli la porta della palestra e il cancello, per farsi qualche giro di campo. Dalla Lazio alla Juve non sono cambiate le abitudini. Ha preso casa nella tenuta della Mandria, poco lontano dalle abitazioni di Umberto Agnelli e Antonio Giraudo, perchè gli basta varcare la soglia del salotto per trovare prati a perdita d’occhio, come all’Olgiata, quando abitava a Roma. Ivana, la moglie, abbozza. Da anni, lei, Pavel e i due figli che si chiamano come loro, trascorrono le vacanze nello stesso posto, un villaggio turistico a Djerba in Tunisia, soltanto perchè ha una palestra perfetta e la spiaggia ideale per correre. Del resto Ivana, che lo conosce da bambino, doveva sapere che sposava un maniaco del fitness. A Praga, i giocatori del Dukla gli avevano affibbiato come soprannome ”il pazzo”, perchè mentre loro se la sbrigavano con un paio d’ore di allenamento e rincasavano facendo giri molto larghi, che toccavano qualche bar e un paio di discoteche, lui restava sul campo a lavorare e rientrava prima di loro nel caseggiato a disposizione del club, ora disciolto, emanazione dell’esercito cecoslovacco. Si racconta che i compagni, indagati dalle mogli per quei ritardi sospetti, un giorno lo bloccarono contro il muro dello spogliatoio perchè si desse una regolata: o si univa a loro nel giro dei bar o prolungava l’allenamento fino a notte. La storia non dice cosa scelse, la leggenda narra che accettò la seconda soluzione. Di chilometro in chilometro, di gol in gol, è arrivato dove uno dei suoi primi allenatori non avrebbe mai immaginato di trovarlo, dal momento che gli aveva consigliato di mollare il calcio e pensare all’atletica. Un fenomeno che, prossimo ai 31 anni, può vincere il Pallone d’Oro, il premio che, con qualche eccezione vistosa come Belanov o Papin, si attribuisce da oltre 40 anni al miglior calciatore in Europa. Non è Zidane, Ronaldo, Rivaldo, Raul, Totti. Dire che ha pura classe è uno stravolgimento dei canoni del calcio. Nedved è la sintesi dell’ingegnere e dell’operaio, forse perchè, prima di fare del calcio un’esclusiva della propria vita, prese il diploma di geometra. Ha trovato una strada personale per essere campione: lastricata di pavè, mai di asfalto liscio. ”Sono cresciuto in un Paese dove ogni conquista era difficile - spiegò -. Odio i treni e non li uso mai perchè da ragazzo dovevo fare quattro ore al giorno su vagoni vecchi e con le panche di legno per andare ad allenarmi. Il mio primo salario, oggi sarebbero 50 euro, lo investii in lattine di coca cola e pacchetti di patatine perchè erano il ”lusso”. E ricordo ancora la faccia di mia sorella quando le portai da Parigi un paio di jeans e a mia madre uno shampoo. Sono cose che non ti abbandonano”. Neppure con i 4 milioni di euro che guadagna ora. ”Una delle soddisfazioni che ho avuto alla Juventus - confessa Nedved, parlando del suo modo di giocare al calcio - è scoprire che per i tifosi sono diventato importante come lo era Zidane ma senza che facciano i paragoni con Zidane. un’ombra che non mi accompagna più”. La gente ha capito che Pavel è un’altra cosa. Segna più di quanto facesse il francese a Torino ma non si fa passare la palla sotto la suola per sbalordire l’avversario e titillare la platea. Uno è l’eleganza, l’altro la potenza. Sarebbe bello vederli insieme. Invece sono diventati due facce di una stessa luna. La Juve lo mandò a prendere a Praga con un aereo privato proprio per sostituire Zidane: lui e la moglie che era la più restia a lasciare Roma. Cragnotti, come al solito, aveva appena dichiarato di non volerlo cedere, che è il segnale più sicuro di una cessione imminente. Per 80 miliardi di lire l’avrebbe trascinato a Torino sul calesse dopo che, su segnalazione di Zeman, l’aveva acquistato alla Lazio per un decimo. Dice Lippi: ”Quando capimmo che la rinuncia a Zidane era necessaria, per quanto pagava il Real e perchè non voleva restare a Torino, ci accorgemmo che non c’era chi lo potesse sostituire. Dovevamo inventarci una Juventus diversa”. La Juve di Nedved, boemo come lo erano i primi stranieri comprati dall’Avvocato con la fine della guerra: Vycpalek e Korostolev. ”Già, l’Avvocato - racconta lui -. Quando mi presentarono, fu molto gentile, affascinante. Mi tremavano le gambe, cominciò a parlarmi del calcio ceco, di Planicka, il portiere che aveva visto ai Mondiali del ”34”. Pure Nedved ha messo del tempo a conquistare la Juve, come Platini nell’82. Sembra facile piazzare in campo un biondino che lo percorre in lungo e in largo senza fermarsi mai. Invece è una questione di dosaggio per estrarne il meglio» (’La Stampa” 25/4/2003).