varie, 5 marzo 2002
NESI Nerio
NESI Nerio Bologna 16 giugno 1925. Banchiere. Politico • Laureato in giurisprudenza, negli Anni 50 è direttore dei servizi finanziari della Olivetti e nel 1965 diventa vicepresidente della Cassa di Risparmio di Torino. Dal 1978 al 1985 è presidente della Banca Nazionale del Lavoro. Nel 1996 è eletto deputato con Rifondazione Comunista e diventa presidente della Commissione di lavoro delle attività produttive. Fu ministro dei Lavori pubblici nell’Amato I. Grande tifoso della Juventus • «Se è vero che non cambiare mai idea, nella vita, è tipico delle persone un po’ testone, Nerio Nesi deve avere un’intelligenza sovrumana, probabilmente mostruosa. Dunque. Da presidente della più grande banca italiana, Nesi ha traslocato in una formazione per la quale le banche costituscono, all’incirca, la quintessenza del furto. E, dopo una vita passata da socialista quando il comunismo c’era, quando era un gulag, ma anche un tragico ideale, Nesi ha scelto il comunismo [...] mentre il tragico ideale si è suicidato. Per cui bisogna ammettere, e senza facili ironie, che il caso di un grande banchiere, socialista [...] che nel ’96 si mette in testa di rifondare il comunismo demolito, è un caso di estrema vivacità [...] gode dell’immagine di persona mite, educata, perfino schiva [...] gode altresì del privilegio di essere considerato il più fiero, il più pugnace, il più intransigente nemico di Bettino Craxi. [...] La qual cosa, secondo la nostra indagine, tanto vera non è. Con Formica ad amministrare il partito Nerio Nesi [...] non è un quaquaraquà. Direttore generale dell’Olivetti lo diventò per meriti propri, senza spinte, dopo 11 anni da una laurea in legge presa nel 1949. Certo: più difficile, quasi trent’anni dopo la laurea, sarebbe stata la conquista della poltrona più alta della banca (pubblica) più importante d’Italia. Non perché, nel 1978, le sue capacità non fossero intatte, o perfino accresciute. Piuttosto perché lassù in cima, in quei tempi rabbuiati, senza partito non si arrivava. E il segretario del partito di Nesi, (lui dice addirittura che ne è stato il dittatore), era già il suo supposto nemico “di sempre e per sempre”: Bettino Craxi. Qualcosa non torna. Alcuni mesi prima della sua nomina alla presidenza della Bnl, Nesi era stato l’organizzatore del congresso socialista di Torino. Congresso importante, per la storia della famosa “mozione uno”, del patto Craxi-Signorile, tra gli autonomisti, cioè, e la sinistra lombardiana di cui Nesi era autorevolissimo dirigente. La “mozione uno” vinse, Signorile vinse, Craxi vinse e Nesi, che aveva organizzato il congresso per quelle vittorie, vinse anche lui la sua parte. Restò lombardiano, ovviamente, ma, grazie a Craxi, divenne presidente del grande istituto di credito. Come Giorgio Mazzanti, d’altronde, lombardiano, che presiedeva l’Eni. Il rapporto tra Nerio Nesi e Bettino Craxi filerà via liscio come l’olio. Ed entrerà in una crisi strisciante solo dopo le elezioni politiche del giugno 1987. Fu allora che Craxi venne allontanato da palazzo Chigi. E questo fu importante. Ma ancora più importan te , per Nesi, era stato il conflitto di Sigonella: il famoso scontro tra il segretario del Psi, a quel tempo presidente del Consiglio, e la quella grande potenza d’oltreoceano che Nesi, oggi, si presume consideri imperiale. “Mi ricordo esattamente - racconta al Foglio Biagio Marzo, ex dirigente del Psi - il periodo in cui Claudio Signorile era addirittura infastidito dall’assiduità tra Craxi e Nesi. Fino al 1987, ma anche un po’ dopo, erano più che vicini. Il lombardiano capo della Bnl che faceva nei fatti l’ala autonomista della sinistra socialista: il massimo”. E ancora più stretti, fraterni, si potrebbe azzardare, erano i legami con Rino Formica. Una coppia molto rispettata, quella, nel Psi craxiano: Nesi, il potente banchiere rosso, e Formica alla guida della segreteria amministrativa del partito, nel posto che poi toccherà a Vincenzo Balzamo. “In quel periodo - ricorda Filippo Fiandrotti, da sempre vicinissimo a Nesi - Nerio era, in pratica, uno degli amministratori del Psi”. È consolante, ma curioso, in proposito, che nella grande sarabanda di accuse e confessioni degli ultimi anni, nessuno abbia ricordato un episodio minore, ma significativo. Era il 1984, quando il sostituto procuratore Carlo Palermo osò tenere in piedi davanti a sé il presidente della banca più importante del Paese. Quattro ore di seguito, per un interrogatorio duro, inaudito per quei tempi. Col presidente, era stato chiamato anche Ferdinando Mach di Palmenstein: secondo l’accusa, avevano costituito una poco trasparente finanziaria del partito. Palermo prese il primo granchio di una lunga serie, però il clima era quello: Nesi e gli uomini del nemico “da sempre e per sempre” erano, in realtà, tutt’uno. D’altronde, nemmeno il terribile comitato centrale del 1980 aveva alzato barriere insuperabili tra Craxi e Nesi: Signorile - troppo potente, troppo colluso con gli andreottiani, troppo decisivo per gli equilibri del Psi - in quel comitato centrale inciampò nello scandalo Eni-Petromin. E Craxi se ne giovò, diventando davvero il capo assoluto dei socialisti. Nesi kaputt, allora? Macché: il “grande dittatore” lo lasciò tranquillo al suo posto. E Fabrizio Cicchitto ora ne sorride: “Certo che andò così: sarebbe suonato strano il contrario, semmai”. Qualche disagio ma nemmeno l’ombra di una guerra. La guerra arrivò, invece, nell’autunno 1987, dopo sette anni che Fiandrotti ribadisce come “anni di totale adesione, anche di tutta la sinistra, alla linea del segretario” . Le elezioni di giugno, quell’anno, avrebbero partorito il governo di Giovanni Goria. Ma prima c’era stata Sigonella. Un episodio importante, una polemica dura con gli alleati americani, dopo la tragedia della Lauro, in cui Craxi aveva suscitato sentimenti contrapposti: l’ultimo moto d’ammirazione di Norberto Bobbio, per esempio, ma, stranamente, il primo vero dissenso del compagno Nesi. Il fatto è che un banchiere navigato come Nesi aveva antenne troppo sensibili, per non accorgersi che, con Sigonella, numerosi ambienti dell’alta finanza americana avevano dato il via a una lotta sorda contro il segretario del Psi. E poi Romano P rodi, bolognese come lui, amico da un’eternità, non si sarebbe mai lasciato andare a dichiarazioni così pesanti contro Craxi, senza la copertura dei suoi fitti rapporti con Wall Street. Era stato Prodi stesso, d’altronde, a confermarglielo, e a metterlo in guardia. In autunno, così, Nesi accennò alle prime polemiche con Craxi. L’anno dopo, 1988, furono dichiarazioni a valanga, mentre il segretario gli ricordava, sprezzante: fai il banchiere, tu, la politica non ti riguarda. Nel 1989, lo scandalo: Iraqgate, Atlanta, Chris Drogoul, Saddam Hussein, le migliaia di miliardi arrivati a Baghdad dalla Bnl americana. Le dimissioni di Nesi, dopo qualche tira e molla, furono obbligate. E Bettino, stavolta, si girò di là. Ma è solo da quel momento che Craxi, in fin dei conti amico da sempre, diventò il nemico “per sempre”. [...] “L’ambizione di diventare parlamentare, Nesi l’aveva sempre avuta. Tanto è vero che, uscito dalla Bnl, si precipitò a Torino con questo obiettivo”. Ma Fiandrotti, che ora ci ricorda quel desiderio, vigilò a pie’ fermo sul suo collegio. E l’onorevole Fausto Cardetti non fu da meno. Ci vollero Tangentopoli e la catastrofe del Psi, per spingere Nesi verso Bertinotti. Lombardiano lui stesso, Bertinotti aveva poi seguito Vittorio Foa e Lelio Basso nella scissione dello Psiup. Ma l’amicizia aveva resistito agli anni. “L’utopia di Riccardo Lombardi, di cui Bertinotti ed io eravamo fedeli seguaci, adesso ci riavvicina”. Nesi, dopo una scivolata di vent’anni tra Midas e consigli d’amministrazione, vedeva improvvisamente ravvivarsi i bagliori di un’utopia semidimenticata. E la storia sembrava ripetersi. Se nel 1978, al Psi, non è che i quadri esperti in finanza pullulassero, figuriamoci in un partito come Rifondazione comunista. Così, nel 1994, elezioni alle porte, parte la collaborazione. “Sì - spiega l’ex banchiere - sono stato io a suggerire a Fausto la tassazione dei Bot e l’imposta patrimoniale”. E, in un attimo, l’estremismo riformistico di Riccardo Lombardi, anticomunista perfetto, entrava a vele spiegate nel partito neocomunista scelto dal potente caduto. “Roba da querelarlo - dice Cicchitto - Vedere Nesi che porta sotto le insegne del comunismo i tentativi di un keynesiano di sinistra come Lombardi è roba da querela. Il vecchio Riccardo si starà rigirando nella tomba”. Era stato Lombardi, nel 1963, a contrappore tassazione dei Bot e imposta patrimoniale alla politica congiunturale di Emilio Colombo. Nesi, che per 33 anni ha avuto altro da fare, ha avuto il suo sobbalzo di memoria. [...]» (“Il Foglio”, 13/3/1996).