varie, 5 marzo 2002
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Newman Paul
• Cleveland (Stati Uniti) 26 gennaio 1925, Westport (Stati Uniti) 26 settembre 2008. Attore. « certo che se il soprannome Old Blue Eyes non fosse stato dato prima, per ragioni anagrafiche, a Frank Sinatra, Old Blue Eyes, per la storia e la leggenda, sarebbe stato lui, Paul Newman [...] un incrocio armonioso d’intelligenza, sentimenti buoni (che, per piacere, non sono lo stesso che buoni sentimenti), fortuna, successo ben accolto, e l’inevitabile dose di dolori che, nel suo caso, lo hanno reso, a quanto pare, una persona migliore e più generosa. [...] papà ebreo e mamma cattolica, piccola fortuna di famiglia che avrebbe potuto accettare e cavalcare restando a fare il prospero commerciante di cose sportive [...] una carriera sempre, con le inevitabili cadute e i suoi momenti di stanca, al top, e sempre in crescita [...] la lingua inglese, nonostante la sua infinita ricchezza, ha deciso per bocca della critica cinematografica che l’ottimo Newman, il bravo padre e marito, l’attore del metodo strasberghiano, la star, ha conquistato il successo proprio attraverso i suo ruoli di ”bastardo”: cattivo, indifferente, avido, profittatore dei sentimenti e dei beni altrui. E bastardo soprattutto con le donne, vedansi i suoi film giovanili, come La gatta sul tetto che scotta o La dolce ala della giovinezza, dove la sua bellezza era tale da stecchire e la sua cattiveria anche. A quanto pare tuttavia il personaggio più caro a Newman è quello del suo terzo film, il Rocky Graziano di Lassù qualcuno mi ama, con la fatica di uscire dal ghetto e dalla piccola malavita fino al riscatto nella boxe. La parte era stata pensata per James Dean. Lui, regista Robert Wise, ne fece una bella interpretazione. Ed è questo un altro risvolto della storia di Newman, l’essere arrivato sulla scena della notorietà come il ”nuovo” Dean, o come il nuovo Brando, giusto perché li seguiva di pochi anni. Se la tragica morte del primo ha sigillato tutto nel silenzio e il carisma del secondo si è rivelato irraggiungibile, Newman, secondo la [...] definizione data con (s)garbo polemico da Lauren Bacall a proposito di Nicole Kidman (’Non è una leggenda, è solo una star”), potrebbe in effetti essere ”solo” una star. Ma perché, rispetto a Brando e a Dean, ha avuto l’ineguagliabile dono di saper vivere meglio, in una sorta di elegante normalità, e persino quello di metabolizzare i dolori in maniera generosa. Come quando, in risposta alla morte per overdose di suo figlio Scott, ha istituito la Scott Newman Foundation, o come quando ha tradotto una passione di famiglia per la buona cucina in un business (la Newman’s Own) destinato a generare soldi per beneficenza e per finanziare il Campo di Ashford, nel Connecticut, per accogliere ragazzini malati. Sento già le risate dei cinici. Eppure non è facile conservare l’equilibrio di fronte al successo, al denaro (’ma non si può metterne più che tanto nel tuo forziere”, dice Newman) e al passare della dolce ala della giovinezza. Il baricentro di Paul Newman si chiama Joanne Woodward, sua moglie dal 1958, con cui ha costituito una delle poche coppie durature di Hollywood e un sodalizio anche ideale di sostenitori della decenza politica di gente come Eugene McCarthy o Carter, oltre a essere una meravigliosa compagna di lavoro e la protagonista del suo film di debutto come regista, La prima volta di Jennifer. E quando qualcuno ha chiesto a Newman come mai non gli venissero mai attribuite storie extraconiugali, la sua risposta è stata in linea con la sua passione gastronomica e con una spiccata tendenza all’ironia: ”Perché mangiucchiare hamburger qua e là quando posso mangiare delle belle bisteccone a casa?”. Premiato nella sua carriera da alcuni personaggi indimenticabili - dal Butch Cassidy amico del Sundance Kid a Nick Manofredda, dal violento Hud di Hud il selvaggio all’Eddie Felsen di Lo spaccone e di Il colore dei soldi, dal Buffalo Bill Cody di Altman al triste Frank di Il verdetto, da Mr Bridges al perfido presidente di Mister Hula Hoop, una delle sue più strepitose interpretazioni da ”bastardo” - Newman ha raccolto sette nomination - che vuol dire altrettanti Oscar perduti - e ha raccolto un Oscar di consolazione nel 1985. E allora? La cosa più importante è vivere con dignità una bella vita. Segnata da un tocco speciale d’ironia. Se il giovanissimo Newman non è riuscito a partire soldato, come voleva a suo tempo, per combattere i nazisti, è tutto per via dei suoi occhi blu: che sono molto belli, ma non distinguono i colori» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 25/1/2005). «Il divo bello e buono, sexy e serio, molto bravo [...] Il tormento, durato tutta la vita, di avere poca statura, di essere piccolo: non piccolo come Dustin Hoffman né come Danny De Vito, però piccolo, fra tanti attori alti, allampanati. E il tormento di sentirsi considerato un eterno secondo, un rimpiazzo, una controfigura, un sostituto, un numero due di seconda scelta. Tormento scemo, quest’ultimo, nato agli inizi della carriera. Il primo film di Paul Newman è Il calice d’argento di Victor Saville,1954, bizzarra storia epico-religiosa: il trentenne Newman sostituisce Marlon Brando che s’era ritirato all’ultimo minuto, il ”New Yorker” scrive ”Newman recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annunci le fermate locali”, lui giura di non interpretare mai più un film in costume e si mantiene fedele al giuramento. Il terzo film, Lassù qualcuno mi ama di Robert Wise, 1956, era previsto per James Dean, morto invece tragicamente: ma il personaggio del pugile italoamericano Rocco Barbella detto Rocky Graziano porta al sostituto Newman gran successo. Da allora, in film sempre migliori (non capolavori, ma perfetti) diventa fuorilegge, milionario, jazzista, giocatore professionista di biliardo, allevatore d’animali, imbroglione, detective, in personaggi spesso ispirati alla letteratura di Faulkner, Tennessee Williams, Gore Vidal, John O’ Hara, Ross MacDonald. Sono degli Anni Sessanta i film che lo qualificano definitivamente come sex symbol: La dolce ala della giovinezza (per non parlare del precedente La gatta sul tetto che scotta, con Liz Taylor), Hud il selvaggio, Detective Story, i due film in coppia con Robert Redford in un duo di banditi anarchici e anacronistici, Butch Cassidy, La stangata. Più tardi in Bronx 41° distretto di polizia offre una prova di bravura straordinaria; per Il colore dei soldi di Martin Scorsese con Tom Cruise ottiene finalmente il primo Oscar. I quattro cinque film di cui è stato direttamente regista non hanno invece lasciato forti tracce. Newman, faccia dai lineamenti classici, occhi meravigliosamente azzurri, irresistibile sorriso un po’ beffardo e un po’ cinico, ha seguito l’intero percorso delle star della sua generazione: famiglia benestante (padre commerciante ebreo tedesco, madre ungherese cattolica), studi universitari di arte drammatica, frequentazione dell’Actors Studio, debutto in teatro. Ma è stato diverso da tutti. L’unico che abbia fatto il militare e combattuto, imbarcato su una nave nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. L’unico, in anni turbolenti, a non mostrare alcuna sregolatezza, a condurre un’esistenza ordinata e razionale, ad avere il fascino del divo e la misura del professionista: e ad essere bravissimo. Bisognerebbe ringraziarlo anche perché, con attenzione e autodisciplina, ha impedito al passare del tempo di devastarlo sino a renderlo irriconoscibile [...]» (Lietta Tornabuoni, ”La Stampa” 21/1/2005). «Guardando i suoi occhi, i più grandi occhi azzurri del mondo - non c’è da stupirsi se per cinquant’anni è stato l’uomo più sexy di Hollywood. [...] stato un modello di virilità per generazioni di americani [...] Attore accorto nella scelta dei ruoli, rimpiange di aver fatto troppi film [...] ”Sarei potuto essere più selettivo. Sono stato fortunato a sopravvivere al mio primo film, Il calice d’argento - Dio mio, che cane ero - il peggior film degli Anni 50” [...]» (’La Stampa” 12/9/2004). «Appartengo alla generazione di Marlon Brando e James Dean, ed entrambi in gioventù erano molto più bravi di me perché è stata la vita a farmi diventare un bravo attore […] I miei personaggi preferiti? Il pugile di Lassù qualcuno mi ama, Lo spaccone, e a scatola chiusa tutti i film con il mio amico Robert Redford. C’era e c’è tra me e Robert una forma di competizione fisica e intellettuale che ci spronava a dare il meglio di noi […] Mio padre, dal quale fuggivo e che era sopravvissuto alla depressione americana, diceva sempre una frase: ”La vita cambia, ma la vita è soprattutto ciò che facciamo”» (’Corriere della Sera” 31/8/2002). «Mio padre era socio in un negozio di articoli sportivi, forse il migliore a ovest delle montagne dell’Appalachia nonostante fosse il periodo post-depressione e gli articoli sportivi fossero considerati un lusso. Mio padre è sopravvissuto, come businessman, perché la sua integrità era impeccabile. Purtroppo non avevamo un rapporto molto affettuoso, lui era freddo e distaccato, e il mio più grande rammarico è che sia morto prima di vedere il mio successo. Era convinto che non sarei mai riuscito a combinare niente nella vita, mi considerava un poco di buono, uno sfaccendato [...] recitare è molto più difficile che dirigere. Devi essere sempre pronto a far scattare quel meccanismo che ti trasforma in un’altra persona, come se fossi un amante al comando di un bordello [...]» (Silvia Bizio, ”L’Espresso” 18/7/2002). «[...] Quando compii cinquant’anni cominciai a sentirmi un vero attore e non un ragazzo dagli occhi blu. [...] Spesso interpretavo filibustieri e per la platea diventavano eroi. [...] alcuni premi arrivano spesso dopo tanto lavoro ed è come quando corteggi inutilmente da ragazzo una donna e, quando finalmente ti concede un appuntamento, pensi che hai ormai cose e incontri più importanti da vivere [...]» (Giovanna Grassi, ”Corriere della Sera” 17/1/2005).