Varie, 5 marzo 2002
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Novellino Walter
• Montemarano (Avellino) 4 giugno 1953. Ex calciatore. Cresciuto nel Torino, lanciato dal Perugia, con il Milan vinse lo scudetto del ’79 (quello della stella). Una presenza in nazionale. Allenatore. Ha ottenuto quattro promozioni in A: Venezia 1997/1998, Napoli 1999/2000, Piacenza 2000/2001, Sampdoria 2002/2003. Da ultimo al Livorno (B, febbraio-dicembre 2011) • «Era un creativo, ma non allena alla Mancini, perchè allo spettacolo preferisce la concretezza. È un concreto, ma non è un Capello, perché le sue squadre nascono dall’attaccante - quello grosso che fa i gol - e non dalla difesa. Non è né Lippi né Ancelotti, perché il suo modulo è il 4-4-2, e in quello crede "ciecamente". Lui è, con semplicità disarmante, Walter Alfredo Novellino. Due vite al prezzo di una, il dribblomane formato in Brasile, il tecnico tosto costruito sui sentieri impervi della promozione. Quasi una vocazione, un sigillo, un marchio di fabbrica. [...] È considerato un sergente di ferro, ma cerca sempre il dialogo e la comprensione. Cerca la comprensione, ma pone limiti severi: moto proibita, a letto a una certa ora. È un ex giocatore, ma da tecnico si rifiuta di essere amico dei giocatori. Si pone senza la supponenza di Lippi o la durezza di Capello, ma detesta le telecamere agli allenamenti. Capì che a Napoli era finita quando, dopo un 3-0 al Brescia, vide il cosiddetto profeta Zeman con la sciarpa azzurra al collo a Fiumicino. Dopo aver costretto il Milan alle barricate a San Siro, urlò a Zaccheroni di piantarla di raccontare che giocava con la difesa a tre. [...] Lo chiamavano Monzon, ma è sui campi di San Paolo - figlio di emigranti, padre meccanico - che ha sviluppato la sua passione per il calcio, per il colpo a effetto, il dribbling prolungato. Con lui, Liedholm, l’ultimo Rivera, il Milan ha vinto lo scudetto della stella. Da tecnico, ovviamente, vade retro Satana: "Mai trovato un fantasista per il quale rinunciare alle ali". Infatti Recoba per lui è una seconda punta. Ma anche un giocatore "formidabile", un termine che al momento non userebbe nemmeno Moratti. A Venezia Novellino gli disse di mettersi a dieta, ma forse quello in laguna fu il miglior Chino di sempre» (Mattia Chiusano, "la Repubblica" 19/5/2003) • «Sono cresciuto col 4-4-2 e mi sono preparato alla professione di allenatore in piena era Sacchi. Impossibile non risentire dell’atmosfera di quegli anni, non apprezzare quello che il suo Milan ha fatto. Ma se proprio dovessi appiccicarmi un’etichetta, non mi darei del sacchiano. Ho imparato il mestiere da altri maestri […] Sul campo ho rubato i segreti a tre allenatorimoltodiversi tra loro, ma che insieme forse costituiscono il prototipo del tecnico perfetto. Da Nils Liedholm ho imparato a gestire il gruppo, da Carlo Mazzone a curare l’aspetto tattico, da Ilario Castagner a Perugia a seguire minuziosamente e dedicare tempo a un aspetto da altri in quegli anni trascurato: le palle inattive […] Mi piace molto insegnare la fase difensiva a livello di reparto e il momento della marcatura al singolo. E poi curare la fase di non-possesso palla che necessita, contrariamente a quello che si possa pensare, di molto più lavoro e attenzione di quella di rilancio e di attacco […] Il 4- 4- 2, punto. Lo amo e penso che difficilmente potrei cambiarlo. Nello stesso tempo, però, penso di essere abbastanza duttile ed elastico mentalmente da saperlo adattare ai giocatori che ho a disposizione […] In linea di massima, considero intoccabili solo i quattro difensori in linea. Se però, come a Venezia, mi ritrovo ad avere in squadra uno come Recoba lo lascio libero di scatenare la propria fantasia e di collocarsi sul campo dove lo porta l’istinto. Chi ha un fuoriclasse in squadra e pretende di ingabbiarlo è certamente un autolesionista […] Utilizzo molto il videoregistratore per individuare pregi e difetti degli avversari, ma guardo e riguardo molto anche la mia squadra. Annoto e condenso tutto in 20’ di Vhs che guardo insieme alla squadra. Da questo nasce il lavoro tattico che farò svolgere sul campo. In questa seconda parte mi aiuta molto l’intuito e l’esperienza di giocatore: le statistiche e la tattica si fanno da parte […] La gestione dei rapporti all’interno di una squadra, come in tutti i posti di lavoro, è tutt’altro che semplice. Io cerco di tenere le distanze, anche se spesso mi ritrovo davanti dei padri di famiglia e non dei ragazzini da svezzare. Un allenatore deve saper comandare, aver credito, pretendere la massima professionalità. Ma anche, all’occorrenza, saper chiedere scusa di fronte a tutti: di errori ne facciamo anche noi. Detto questo, non sono un duce: fuori dal campo mi piace scherzare e avere buoni rapporti con tutti […] Nella mia squadra la spina dorsale è costituita dal centrale difensivo più esperto, dai due esterni di centrocampo e dalla punta centrale. In pratica, se lo disegni su una lavagna, vedi un rombo coi lati del quale corrisponde a grandi linee la mia manovra. Roba semplice: due cursori di fascia che sanno andare sul fondo e crossare, un centravanti di peso che faccia da boa e una seconda punta di movimento che sfrutti le sue sponde […] Inverto spesso gli esterni di centrocampo. Serve a disorientare i marcatori avversari quando hanno già preso le misure a i miei, a ridare stimoli a questi ultimi se non riescono a sfondare, a vincere l’uno contro uno […] Apprezzo tutti, ma ripeto che il più grande è Mazzone. Avrebbe meritato ben altre opportunità» (Vito Schembari, “La Gazzetta dello Sport” 2/7/2003) • Nel 2001 fu, dopo Giovanni Vavassori, il secondo allenatore italiano di serie A squalificato per bestemmie («Il rigore della sentenza del giudice sportivo lo inchioda all’evidenza. Era il 30’ del secondo tempo di Milan-Piacenza, a San Siro, quando il tecnico "in segno di dissenso rispetto alla direzione di gara pronunciava espressioni blasfeme"»): «Sono un cattolico praticante. È giusto che io paghi [...] Il calcio comporta tensioni che solo chi ha giocato o chi va in panchina può capire. Lo sfogo è umano, va compreso. No, non posso promettere che non succederà più [...] chi sbaglia è giusto che paghi. Me compreso. Però penso agli stranieri, che da questo punto di vista sono avvantaggiati [...] Chi li capisce? Chi si è accorto se Terim smoccolava in turco? E Sukur? E gli ucraini, i giapponesi, gli iraniani, gli olandesi? [...] La bestemmia è uno sfogo. Naturale, comprensibile, umano. Non bestemmio mai con cattiveria, lungi da me l’intenzione di offendere Dio o la Madonna. Mi sono lasciato andare, sono esploso. Non ricordo nemmeno cosa ho detto. Forse ho detto "Dio casco", che è un mio intercalare abituale. Forse il quarto uomo ha capito male [...] mia moglie, che guardava 90° Minuto, mi ha telefonato subito: Walter, questa volta ti squalificano, ti sta bene, così impari... [...] Appena posso vado in chiesa. Vedermi dipinto come un bestemmiatore di professione dai giornali mi ha dato molto fastidio. Quello non sono io. Io sono il tecnico che, quando abbiamo giocato contro il Perugia, ha portato la squadra in pellegrinaggio al santuario di Collevalenza [...] Oggi la privacy [...] Anche la Tv deve capire le nostre esigenze. Quando sei sotto pressione puoi dire e fare cose di cui magari ti penti [...] Sbagliando si impara, ma non prometto niente. Io sono a posto con la coscienza: Dio mi perdonerà, perché sa che non ce l’ho con lui"» (Gaia Piccardi, “Corriere della Sera” 22/11/2001) • «Della “Cascina di Pomm”, “la Cascina delle mele”, ne ha parlato anche Casanova nelle sue memorie. Stava in fondo a via Melchiorre Gioia, molto in fondo, Milano defilata. Da un orto ricavarono un campetto di calcio e la squadra si chiamò Pomense, appunto. La foto di una formazione della Pomense in archivio, in bianco e nero. L’ultimo ragazzino in piedi, a destra, ha la maglia più scura perché una macchia di sudore gli parte dalla gola e gli finisce ai calzoncini. Deve aver corso più degli altri. Ha 14 anni, si chiama Walter Alfredo Novellino. È nato in Campania, a Montemarano, figlio di Giuseppe emigrato in Brasile e poi tornato per aprire un’officina aMilano. Il Peppino ripete al figlio: “È più facile giocare al calcio che smontare una macchina”. E allora il figlio corre e suda. Fa un provino al Milan, ma gli dicono che è troppo piccolo. Viene premiato da Benito Lorenzi a un torneo cittadino e prova pure per l’Inter: preso. Mal a settimana dopo prova pure per il Legnano e ci resta. Alla Pomense vanno 600 mila lire, a Walter biglietti gratis della partita per i parenti. Non di più. Dal Legnano al Toro. Nino Benvenuti capita al Filadelfia per salutare il triestino Ferrini e dice: “Quel ragazzo sembra Monzon”. Novellino sarà Monzon per tutta la vita. Monzon passa al Perugia e vive la grande stagione di Castagner. Ogni domenica mattina sveglia il povero Curi per giocare a boccette: un rito propiziatorio. Come al Milan: vedere al sabato il film più brutto in circolazione con Zoratti, allenatore in seconda. Novellino, in realtà, sembrava destinato all’Inter 1,5 miliardi al Perugia, più Galbiati e Mutti. Il piano lo aveva ordito Sandro Mazzola, ex idolo del piccolo interista Walter, che in una notte di coppa Campioni, al fianco del padre, si era innamorato del Baffo. Invece all’Inter ci andò Beccalossi e Novellino al Milan vinse la stella. [...] Il primo ricordo al Milan? Rocco mi vede e in triestino mi fa: ‘Ragazzo tu sai fare i gol?’ Io neanche osavo alzare lo sguardo. ‘Ci provo’, risposi [...] Il pallonetto-gol al grande Zoff dedicato a Rivera che mi aveva appena chiamato ‘fighetta’”» (Luigi Garlando, “La Gazzetta dello Sport” 20/9/2003).