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 2002  marzo 05 Martedì calendario

OCCHETTO

OCCHETTO Achille Torino 3 marzo 1936. Politico. Membro del Comitato centrale del Pci dal X Congresso (1960), nel 1976 fu eletto per la prima volta alla Camera (rieletto nel 1979, 1983, 1987, 1992, 1994, 1996, eletto al Senato nel 2001). Dal 1979 membro della segreteria nazionale, profittando di una malattia di Alessandro Natta e facendo conto sull’appoggio di D’Alema il 21 luglio 1988 divenne segretario. Finito il comunismo in Urss, crollati i regimi filosovietici dell’Europa orientale (Ceausescu ecc.), il 12 novembre 1989, durante una celebrazione di partigiani alla Bolognina, lanciò la ”Svolta” conclusasi (in un bagno di lacrime) con la chiusura del Pci e la fondazione del Partito democratico della sinistra (Rimini 3 febbraio 1991). Dimissioni nel 1994 dopo la sconfitta alle Europee (era sopravvissuto a quella delle Politiche - che aveva aperto la strada al primo governo Berlusconi - nonostante lo slogan, risultato poi infelicissimo, dell’alleanza della sinistra come «gioiosa macchina da guerra»). Nel settembre 2009 ha aderito a Sinistra e Libertà • «Per i più giovani, è quello che ha chiuso il Partito comunista italiano. Anche la Quercia, inteso come simbolo, è opera sua. Ha pure inventato lo staff, una segreteria personale di amici fidati a cui dare in appalto il partito. stato il primo segretario a sbaciucchiarsi in pubblico; il primo a dimettersi dopo una batosta elettorale; l’unico ad essere giudicato matterello, ”sì un po’ pazzo”, nelle furibonde polemiche seguite alla sua estromissione da Botteghe oscure. Un po’ fuori di testa è un bel complimento. ”Fui considerato pazzo perché anticipavo quel che sarebbe accaduto. Non si è capita l’essenza vera della svolta, riesumando il metodo staliniano di colpire una persona per colpire le sue idee […] A me dicevano che ero rancoroso, a Cofferati oggi lo chiamano Gengis Khan. Mi ha molto colpito vedere anche i liberal - i cosiddetti liberal - del partito invocare nei confronti dell’ex segretario della Cgil la rieducazione […] Abbiamo buttato a mare il comunismo ideale, quel grumo di passioni, di speranza in una società più giusta e libera e invece si è conservato il peggio del socialismo reale: la custodia dell’ortodossia, la gestione del potere, la scomunica. Io non avevo nemici dichiarati. Sotterraneamente si insinuava che ormai ero un po’ fuori di testa... Non mi potevo neanche difendere. Come fai? […] Nel giro di poche ore sono passato dal tutto al niente? Per descrivere la mia vicenda uso l’immagine di un altoforno che va a pieno regime e poi - improvvisamente - viene spento […] stato un calvario […] La depressione... momenti durissimi”» (Antonello Caporale, ”la Repubblica” 19/1/2003). «[...] condottiero che i suoi stessi compagni hanno bollato come pazzo per evitare di replicare alle troppe verità che enunciava. [...] Il leader che invocò l’Ulisse di Joyce prima di trasportare gli eredi del comunismo verso altri lidi [...] Massimo D’Alema raccontò di lui che ”a furia di svolte e svoltine nel nostro partito non si capisce più un c...”. ”Se penso a chi mi succedette”, si vendicò più tardi Occhetto, ”passerò alla storia come uno che ha tenuto la barra dritta” [...]» (Francesco Verderami, ”Sette” n. 1-2/2002). «[...] l’uomo della storica svolta della Bolognina, senza la quale oggi non ci sarebbe in Italia un partito erede del Pci [...] Dopo la Bolognina, due grandi congressi. ”A Bologna nel ”90, il più bello, quello dove si discusse del cambiamento del nome, la prima volta che si presentarono le correnti in un Partito comunista. Ricordo Craxi che saltellava qua e là, si divertiva come un pazzo, mandava bigliettini a tutti”. Poi quello di Rimini. Un po’ meno bello per lei. A sorpresa non venne eletto segretario. ”Un trucco organizzativo. La maggioranza la ottenni. Mancò il quorum. Il quorum era facile sottrarlo con qualche giochetto [...] Tipo dire alla gente di andare via» [...] Un quorum così alto è stato inventato solo per me, e tolto subito dopo [...] Non pensavano di non farmi eleggere. Pensavano di farmi eleggere male. Per potermi condizionare. [...] Tutti mi correvano dietro dicendo che era una questione tecnica. E io dicevo che no, era una questione politica e che dovevano risolverla” [...] Il suo impegno politico nasce nella tradizione del comunismo torinese [...] ”Calvino, Cesare Pavese che mi correggeva i compiti. Casa mia era la sede della sinistra cristiana. L’ambiente era quello dell’Einaudi, un mito, la sinistra moderna, nuova, non solo comunista. Quando feci la svolta della Bolognina pensavo proprio a quei tempi, quando a casa mia arrivavano i partigiani cattolici, quelli comunisti, quelli socialisti e quelli del Partito d’azione. Stavano insieme [...] Liceo classico a Milano, dove ci eravamo trasferiti. Studi disordinati e discontinui. Meglio l’università, filosofia alla Statale. Politica attiva? Nella Fgci. Diventai uno dei leader nazionali degli universitari italiani. Feci l’alleanza con i radicali per impedire a Craxi di diventare presidente dell’Unuri [...]” [...] ha conosciuto i vecchi leader, Napolitano, Natta, Pajetta, Togliatti, Amendola, Ingrao, Berlinguer. [...] ”Io facevo le imitazioni, le mie imitazioni erano famosissime. Alla fine del dodicesimo congresso, quando fu eletto Berlinguer, andammo tutti in trattoria, Berlinguer mi chiese di fare le imitazioni di tutti. Ridevano come pazzi. ”E la mia non la fai?’, mi chiese. Io gli risposi: ”Aspetta, sei appena stato eletto’. Ma non sono mai riuscito a farla. Era difficile. Sembrava l’imitazione di un sardo qualsiasi. Mi chiamò perfino Noschese una volta per chiedermi consiglio. Niente. Né io né lui siamo mai riusciti a fare l’imitazione di Berlinguer [...] Con tutti ho avuto a che ridire. Però ho avuto una fortissima simpatia per Pajetta [...] Io mi dichiaravo convinto togliattiano. Togliattiano di sinistra. Ma politicamente mi sentivo vicino ad Ingrao. Non ho mai capito perché Ingrao non abbia aiutato la svolta sia pure da sinistra. Se lo avesse fatto avrebbe impedito che la svolta fosse travolta da metodi tendenzialmente craxiani [...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 40/2002).