Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 05 Martedì calendario

Odasso Luigi

• . Nato a Nizza Monferrato (Asti) il 14 aprile 1949. ”Se il canone fisiognomico conta qualcosa, era un predestinato. Testa a uovo, fronte alta e cocciuta, occhi cerulei sempre in movimento, i muscoli tesi sulle mascelle quadre rimandavano – prima dell’arresto – a un’ambizione, a una furiosa urgenza. L’ha segnato la prima, l’ha perduto la seconda, a quanto pare. Bisogna scavare nelle pretese (o velleità) di un provinciale (Nizza Monferrato, Asti) salito in città per conquistarla, nei moderni stereotipi dell’immagine e dell’efficienza, nella politica che si piega all’economia fino a scolorare, nell’apparente immutabilità di un sistema di potere che si dice nuovo ed è antico, la trama di una rovinosa caduta e i fili di un affare che oggi ha il volto di Luigi Odasso, come ieri di Zampini (1983) o di La Ganga (1992). Cominciamo da lui, allora, dall’Odasso che oggi a Torino nessuno azzarda di aver incontrato (’Odasso, chi?’). Tutti lo conoscevano, invece, e tutti conosceva, Luigi. Per ognuno aveva una stretta di mano, un invito a cena, una parola di ringraziamento anche se toccava agli altri ringraziare. A Natale si abbandonava al sottile piacere dell’augurio e del regalo con una magniloquenza spagnolesca. Il portauovo Fabergè per Letizia Moratti (un milione e quattrocentomila lire). Il Luminor della Panerai per Enzo Ghigo (nove milioni e mezzo). La bottiglia d’epoca per la parlamentare di Forza Italia (un milione e seiccentomila). Il vaso di cristallo per l’assessore (un milione e duecentomila lire). Il boccale d’argento per il sindaco Sergio Chiamparino (’Ma io ho ricevuto soltanto un biglietto. del boccale, nessuna traccia’). Luigi Odasso era cerimonioso fino all’ossequio. Sempre un passo indietro, sempre alquanto incurvito dinanzi all’interlocutore. Sembrava dire, muto: conta su di me, sarò leale. Che cosa ti occorre? Ci penso io (ieri come oggi, è sempre questa la furba litania dei grandi cerimonieri della corruzione). Odasso si presentava come un travet anche se garantiva agli altri il lusso, la cena alla Smarrita, la colazione al Cambio. A sé riservava una vita malinconica. Su e giù da Nizza Monferrato, ogni giorno. Qualche notte a Torino nei pochi metri quadrati di un piedàterre a piazza Carignano quando proprio non riusciva a ritornare a casa, e lavoro lavoro lavoro. Soltanto nel lavoro si sentiva se stesso, ricomponeva la sua identità. L’umiltà di Luigi Odasso nascondeva l’audacia di un ambizione. ’Voleva correre, arrivare in fretta – ricorda l’amico – Assessore regionale. Parlamentare, sottosegretario, magari ministro della Sanità’. Con un buon nome di manager efficiente, perché non pensarci? Aveva le carte giuste accumulate una dopo l’altra, negli anni. Il padre – vecchio democristianone, segretario di Adolfo Sarti – sapeva come fare un campagna elettorale, ne aveva guidate ottanta nelle sua vita, mica una occasionalmente. Luigi aveva appreso quell’arte e l’aveva offerta al presidente della Regione, Enzo Ghigo. Altra carta? La massoneria, come il padre (la quieta e simmetrica Torino ha un fondo opaco, anche oscuro, a volte folle). Nella loggia di piazza S. Carlo, Odasso metteva da parte, come capitale prezioso, altre vincoli e dipendenze che sarebbero tornate utili. Occorreva naturalmente un partito. Morta la Dc, amore e fortuna paterna, c’era Forza Italia. Era lì, nel ’partito nuovo’, la sua fortuna. Qui può anche finire la storia di Odasso perché incombe qualche domanda. Soltanto l’ambizione ha dannato il corrotto Odasso, un giorno di dicembre? L’Odasso è un caso o una regola? Il presidente dell’Unione industriali Andrea Pininfarina tira diritto senza un dubbio: ’Un caso isolato, soltanto un caso. Io dico che il ’sistema Piemonte’ è capace di espellere le tossine che possono avvelenare il suo corpo. E’ accaduto in passato, accade oggi. Noi industriali, fiduciosi della giunta regionale, siamo convinti di poter contare su una magistratura che, in silenzio, sa essere in questi casi presente con lucida efficienza". Appare un ricostruzione troppo elementare. ’Luigi non è un corrotto – dice l’amico – Voleva soltanto comprarsi un incarico politico, un’altra seggiola di potere. Forse è finito in un gioco più grande’. Sembra in questo crocevia, l’affare. Odasso comprava tessere di Forza Italia. Se n’era procurate più o meno 1.500 (costavano dalle 60 alle 100 mila lire). Poteva controllare un quinto degli iscritti nelle province di Asti e Torino. Un bel pacco di voti e d’influenza, consegnato al potere di Enzo Ghigo. Che oggi dice ai suoi collaboratori: ’Lo ricordate, no?, per tutti Odasso era un fior di manager. Che cosa mi poteva far sospettare di lui. Nulla, e nulla ho sospettato’. Sospetti a parte, resta il metodo. Antichissimo. Compro, con le tangenti che intasco con il mio incarico pubblico, un pacchetto di voti nel partito. Il consenso raccolto rafforza il partito e il mio potere. Con il potere, ottengo un nuovo incarico. Con il nuovo incarico, altre occasioni di corruzione e quindi un maggiore potere in un vorticoso circuito vizioso che promuove i peggiori o i più spregiudicati” (Giuseppe D’Avanzo, ”la Repubblica” 19/1/2002).