Varie, 5 marzo 2002
OLMI
OLMI Ermanno Treviglio (Bergamo) 27 aprile 1931. Regista. Suo capolavoro L’albero degli zoccoli. Altri film: La leggenda del santo bevitore, Il segreto del bosco vecchio, Il mestiere delle armi • «’Mi piacerebbe che la politica ritrovasse il gusto del progetto e fosse capace di scrivere una promessa credibile per il futuro. Tante volte mi hanno chiesto di candidarmi, di schierarmi: mi sono sempre rifiutato. Se dovessi definirmi, direi di essere stato sempre un uomo libero, un cinematografaro – come mi piace questa parola, com’è brutto dire cineasta – senza un impegno politico. L’accusa più ricorrente, contro di me, è sintetizzata in una critica: ”Si nota il limite cattolico dell’autore’, dissero di un mio lavoro, tanti anni fa, mentre io non ho mai neppure sottoscritto il cattolicesimo. Sono soltanto un aspirante cristiano e penso che la migliore ideologia consista nel non essere schiavi dell’ideologia. Pratico l’ideologia del dubbio: mi spaventano quelli che pensano di avere capito tutto. Quando ho cominciato a girare, c’era, eccome, un’egemonia di sinistra. Chi stava di là poteva raccontare quel che voleva, gli altri faticavano. Con Goffredo Lombardo, gran signore napoletano che regnava sulla Titanus, prima casa di produzione nazionale, provammo a fare un film sulla ritirata di Russia, raccontata nei suoi libri da Mario Rigoni Stern. Andai a cercare i luoghi adatti, partii prima per Mosca e poi per la Cecoslovacchia, finalmente trovai il paesaggio giusto. Eppure, dopo tanti incontri, sempre con le stesse persone, non riuscivo a capire perché mancasse sempre l’autorizzazione finale. Dopo un anno di tentativi, il mio intermediario del Pci mi disse: ma ancora non hai capito? Tu non sei affidabile, non ci garantisci. E l’anno dopo, il 1964, Giuseppe de Santis, iscritto al partito, girò Italiani brava gente, lui era in linea. Io no. Rimasi addolorato, allora. Adesso sorrido”. il sorriso – di una dolcezza assoluta – la forza di questo maestro del cinema che ha prima vissuto e poi raccontato storie diverse da quelle di tutti gli altri. Scomponendo e allentando tempi e ritmi, movimenti e sguardi, girando lui stesso come operatore molte delle sequenze dei suoi capolavori, Ermanno Olmi ci ha costretto a fermarci – anche se soltanto da spettatori – sul massacro della civiltà rurale e contadina imposto dalla modernizzazione violenta del dopoguerra. E lo ha fatto in modo naturale: c’era la sua vita, c’erano i suoi valori, c’era il suo quadernino immaginario di ragazzino trasferito dalla campagna bergamasca alla Bovisa, il quartiere della sua adolescenza, nella scena finale dell’Albero degli Zoccoli. [...] ”[...] Mia nonna, Maddalena Teresa Ronchi, si chiamava così perché suo padre, ubriaco dalla felicità, dette due nomi diversi all’anagrafe e in chiesa, si rifiutava di mangiare con la forchetta, diceva: io ho cinque dita, lei solo quattro. Eppure, sapeva della natura umana più di tanti scienziati. Mio padre Giambattista, ferroviere socialista, era stato esonerato dal fascismo e, dopo due anni di disoccupazione, fu assunto dalla Edison. A quei tempi si diceva: ”Chi volta il culo a Milano, volta il culo al pane’, un detto che forse vale anche oggi e mi scuso, in dialetto è meno volgare. Arrivati in città, mi stupirono gli odori: il gas di cucina, il ferrigno sapore del tram, il grasso di macchina che sentivo addosso a mio padre. A quindici anni, entrai anche io alla Edison, come dipendente. Ricordo che anche altissimi dirigenti come Giorgio Valerio e Vittorio De Biase, quando incontravano un impiegato, lo salutavano togliendosi il cappello. Al dopolavoro aziendale, misi su una compagnia che portava in giro gli spettacoli di moda allora nei teatrini degli oratori delle nostre valli, ci accoglievano come i divi di Hollywood. Non avevano mai visto un attore. Vedi, a quel tempo, nella nostra bergamasca, le donne erano più o meno come le islamiche che oggi ci danno scandalo: tutte vestite di nero, sedevano in chiesa separate dagli uomini, tutte davanti”. I dirigenti premiano l’impegno del giovane impiegato con un regalo. Una macchina da presa, ”il mio sogno”. Documentari, film e caroselli. Ermanno Olmi girò, ”per il bilancio familiare”, gli spot per ”Cinzano, caffè Hag, Grappa Piave, la cintura del dottor Gibaud, che allora ero troppo giovane per apprezzare. Il mio non era un cinema facile e così, fino al 1978, accettai volentieri – insieme a tanti altri colleghi – la pubblicità tv. Era anche un modo per non aver bisogno di favori politici. Ho avuto un solo amico, vero, nella Democrazia cristiana. Era Mariano Rumor, una persona semplice: ci trovavamo sull’altopiano di Asiago, fu ingiustamente accusato. Non ha mai preso una lira per sé, aveva due stanzette, fu vittima di una lotta sleale, morì più povero di come era nato. D’altra parte, anche De Gasperi fu diffamato per una villa in Trentino, che era di proprietà di sua moglie. Lo scoprii quando girai, nel 1974, un film su di lui per la Rai. Film che fu censurato, a mia insaputa: tagliarono le scene in cui lui consegnava alla moglie la lista dei nomi degli amici che lo avevano tradito. stata l’unica censura: con Ettore Bernabei riuscii persino a mettere in scena un sant’Antonio irriverente, che tuonava contro la vanità dei vescovi, ”pensano di essere dei pavoni, e invece mostrano alla folla soltanto il loro deretano’, gridava il santo di Padova. E Bernabei, vedendolo, mi abbracciò: Dio bono, ci vuole coraggio, sono proprio queste le cose che dobbiamo far vedere!”. La religione di Olmi ”non dev’essere scolpita nel granito”, deve accompagnare chi sa essere attento a cogliere ”quei segnali che danno speranza all’uomo”. Difficili da trovare, ”Eppure, se migliaia di persone ascoltano Vittorio Sermonti che legge Dante, vuol dire che la cultura del nulla non ha ancora vinto”. Il Maestro ha un progetto quasi scandaloso, ”Vorrei raccontare in tv la storia di Giangiacomo Feltrinelli, mi ha molto colpito il libro del figlio Carlo, Senior Service, ha quasi un andamento manzoniano. Nella vita tragica del ribelle Giangiacomo, esponente della solida e ricca borghesia milanese che si scontra con la spinta culturale dei nuovi arrivati, nella sua scelta di far pubblicare in Italia libri, parole e linguaggi che hanno cambiato la società, c’è qualcosa di profondamente cristiano. Tradito dai suoi stessi amici, sfidato dal questore che lo accusa di essere vile, di fare il rivoluzionario miliardario che manda gli altri a mettere le bombe, Giangiacomo è costretto a mettersi alla prova” . [...]» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 9/7/2005). «I miei film io li scrivo sempre come fossero delle storie. Non ho mai fatto una sceneggiatura tradizionale, con le indicazioni delle riprese o degli obiettivi da usare. Io scrivo dei ”raccontoni”, poi tiro delle linee per dividere le possibili scene e mi appunto delle idee: qui un piano lungo, qui magari un primo piano. Ma è solo sul set, con la macchina da presa al mio fianco, che decido come riprendere. [...] Mio padre morì quindici giorni dopo il bombardamento dell’edificio in cui lavorava. Allora non esistevano le possibilità scientifiche per verificarlo ma è probabile che la morte fu causata da un embolo dovuto al violento spostamento d’aria causato da una bomba [...] L’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza li vivi con una urgenza irrefrenabile. Corri sempre da un’esperienza all’altra. Ma la memoria di quegli stati d’animo ti rimane dentro e con l’età ti tornano in mente. [...] Il sesso è uno degli atti fondamentali per affermare la nostra accettazione di essere al mondo. Come respirare o alimentarsi, così fare sesso vuol dire accettare di essere al mondo. Se sei una persona che ama la vita, cerchi di dare al sesso tutte le opportunità che possiede perché sia il più bello possibile. Altrimenti, andare a scopare lungo i viali è come andare a mangiare un panino di plastica al caffè della stazione: lo fai giusto perché lo stomaco non sia vuoto. Il sesso è un valore assoluto che merita la nostra massima attenzione. [...] Spesso il cinema ha utilizzato il sesso come elemento drammaturgico ai limiti dello scambio mercantile con la platea, al limite di un cinema di prostituzione. Anche registi di nome hanno messo nei loro film quella che Sordi definiva con sarcasmo ”ingroppata artistica”. E io in passato non me la sono sentita di usarlo in quella funzione. Il che ha aumentato la confusione su di me, che non essendo stato iscritto al Partito comunista, dovevo per forza essere un democristiano. E in quanto tale fare dei film per tutti. La verità è che non me la sono sentita di mettere in scena il sesso fino a quando non mi sembrava di possederne la pienezza [...] Io penso di avere una fortissima religiosità... pagana. Non ho una fede granitica nella trascendenza. Ho tanti dubbi e tante confusioni, ma una cosa di cui sono certo è la sacralità della materia. Ogni cosa è sacra. Per questo mi danno fastidio tutti i tipi di avvelenamenti, da quelli degli Ogm a quelli della cultura. Sono contraffazioni che mi urtano» (Paolo Mereghetti, ”Corriere della Sera” 1/6/2004). «Nei confronti della televisione non ho alcuna ostilità. Ma la televisione è male usata. La sua vocazione sarebbe l’informazione: il suo stile è quello. Soltanto la televisione può portare nelle case di tutti le differenze culturali, antropologiche di cui il nostro paese è teatro. Potrebbe così offrire un reale contributo di conoscenza. Si tratta di capire che però il cinema è un’altra cosa. La incomparabilità fra i due piani va mantenuta salva per una utilità comune, - oltre che per il cinema e per la stessa tv. Si dice che i giovani registi imparino dalla televisione a ”girare”. Vorrei che imparassero a raccontare e non solo a gironzolare con la macchina da presa, con un dolly o quant’altro, attorno a un attore o a un’attrice. Il cinema ha sempre guardato in profondità nella vita: ne esprime il segreto. Fa i conti con la storia, non con la cronaca, pure se alla cronaca può essere vicinissimo» (Enzo Siciliano, ”la Repubblica” 5/5/2001).