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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MULLAH OMAR Nodeh (Afghanistan) 1959 (~?). Leader spirituale e politico dei talebani, si ritiene emiro (’comandante dei fedeli”) per volontà divina

MULLAH OMAR Nodeh (Afghanistan) 1959 (~?). Leader spirituale e politico dei talebani, si ritiene emiro (’comandante dei fedeli”) per volontà divina. Capo di Stato de facto dell’Afghanistan tra il 1996 e il 2001, volle fortemente coniugare il suo movimento ad Al Qaeda. Alla macchia dall’invasione Usa dell’autunno 2001, ai primi posti sulle liste dei terroristi internazionali più ricercati dagli Usa (sulla sua testa una taglia cresciuta nel tempo fino a 25 milioni di dollari), in un primo tempo avrebbe trovato rifugio in Pakistan, a Quetta, capoluogo del Belucistan. Negli ultimi anni è tornato forte e ascoltato, al punto che secondo varie fonti sarebbe lui che tiene uniti i terroristi e gli indipendentisti che albergano nei monti del nord-ovest pakistano. Ha sempre liquidato il presidente Hamid Karzai come un odioso usurpatore, per giunta imposto dagli infedeli. Dopo che nel novembre 2009 il Washington Times aveva diffuso la notizia del suo trasferimento a Karachi sotto la protezione dei servizi segreti pachistani (Isi), e dopo che il 10 febbraio 2010 era stato catturato il suo braccio destro Mullah Abdul Ghani Baradar, il 6 luglio 2010 l’emittente afgana Tolo Tv annunciò il suo arresto nella capitale pakistana, senza però fornire ulteriori dettagli. La notizia circolava già dal 10 maggio 2010, diffusa dal blog di Brad Thor, uno scrittore di thriller ex funzionario del dipartimento per la Sicurezza Nazionale Usa secondo il quale la cattura era avvenuta il 27 marzo 2010 a Karachi. Dopo poche ore due portavoce dei taliban smentirono la notizia definendola propaganda occidentale • «[...] Sarebbe lui che presiede la Shura in esilio, il consiglio deliberante a cui i capi talebani obbediscono. Sarebbe lui che sposta truppe e ordina attentati. Ma l’intelligence americana continua ad avere dei dubbi e si chiede se sia possibile che il Mullah Omar abbia guidato da solo la riscossa dei talebani, o se dietro di lui non si nascondano gli agenti dei servizi segreti pakistani. ”Chi dà - si chiedono vari esperti - a quest’uomo semianalfabeta, con scarsissima conoscenza dell’Occidente, le informazioni necessarie per condurre la guerra contro gli eserciti più sofisticati al mondo?” [...] I suoi seguaci narrano dei suoi eroismi contro gli invasori sovietici negli anni Ottanta, e della bravura con cui pacificò l’Afghanistan in guerra civile sotto il governo totalitario talebano. Si racconta che da solo si sia strappato l’occhio ferito da una scheggia, e che proprio perché orbo sia riconoscibile e non possa presentarsi in pubblico [...]» (Anna Guaita, ”Il Messaggero” 12/10/2009) • Secondo alcune ricostruzioni, nei primi mesi del 2001 (prima delle stragi dell’11 settembre) gli Stati Uniti cercarono di convincere il Mullah Omar a consegnare Osama Bin Laden: «[...] l’amministrazione Bush precisò la sua proposta ai Taliban: ”ponti d’oro” se quelli avessero espulso dall’Afghanistan Bin Laden e Al Qaeda. Di questa offerta probabilmente fu latore lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan quando, nel febbraio del 2001, incontrò a Islamabad il ministro degli Esteri dell’emirato, Muttawakil, benché un mese prima i Taliban avessero suscitato l’esecrazione mondiale distruggendo le statue di Buddha a Bamyan. L’ultimo che reiterò la proposta di Washington fu, alla fine della primavera 2001, l’ambasciatore statunitense ad Islamabad. Allarmato dalle voci sempre più insistenti su un progetto di Al Qaeda per attaccare obiettivi americani, il diplomatico si precipitò dal suo omologo afgano, mullah Zaif. [...] il messaggio americano suonava così: se darete corso ad attacchi contro di noi la nostra reazione sarà terribile; ma se accetterete la nostra proposta, ”ponti d’oro”. Zaif si precipitò a Kandahar e riferì all’emiro Omar. Questi sembrò sorpreso, non gli risultava alcun piano per attaccare obiettivi statunitensi, e comunque mai avrebbe consegnato il suo ospite, cui tra l’altro doveva la nuovissima reggia bianca e blu costruita dalle maestranze di Bin Laden appena fuori Kandahar. Ovviamente su tutto questo capitolo, che include anche il viaggio a Washington di un Talib made in Usa, l’amministrazione Bush ha messo la sordina [...] Ad un anno dalla sconfitta dell’emirato il vertice dei Taliban, riparato tutto in Pakistan, cominciò a riorganizzarsi. Karzai [...] tentò di dividerli lungo la frattura che la guerra aveva ricomposto solo in parte. D’intesa con gli americani aprì un canale segreto con l’ex ministro Muttawakil, agli arresti domiciliari a Kabul dopo una lunga permanenza nella prigione americana di Bagram. Una misteriosa fuga di prigionieri Taliban dal carcere di Kandahar probabilmente favorì questo dialogo sotterraneo, che però si arenò dopo alcuni mesi. Muttawakil, e quella parte dei mullah che dopo la sconfitta avevano scelto la non belligeranza, rifiutarono un negoziato separato. Consideravano il mullah Omar l’unico capo legittimo dell’Afghanistan e loro, e gli mandarono emissari per chiedere l’autorizzazione a trattare. Ma Omar non autorizzò. [...]» (Guido Rampoldi, ”la Repubblica” 3/10/2008) • Nel 2006 un esperto americano sostenne che la foto del ricercato nel bollettino di ricerca ufficiale non era quella del mullah ma di un altro esponente talebano: «[...] L’immagine ”buona”, afferma lo studioso, ritrae il volto del ribelle,con l’occhio destro semichiuso (perché menomato). In realtà di fotografie ne girano molte – alcune sfocate o scattate da lontano’ ed è difficile distinguerle. [...]» (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 10/9/2006) • All’inizio della guerra (2001), la scrittrice Themina Durrani e alcuni servizi segreti insinuarono che ci fosse solo il nome, e che il mullah Omar non esistesse: «Non vi è leader al mondo che sia circondato da tanto mistero e segretezza quanto il [...] mullah Mohammed Omar. Riuscire a ricostruire le tappe della sua vita è diventata ormai una sfida a tempo pieno per gran parte degli afghani, dei diplomatici stranieri e dei giornalisti. Secondo una versione dei fatti, sarebbe nato nei pressi di Kandahar, da una famiglia di poveri contadini, di cui però i notabili del luogo affermano non avere mai avuto notizia. comparso sulla scena per la prima volta nel 1994, quando arruolò un gruppo di 30 studenti talebani per liberare due giovanette che erano state rapite e violentate dal comandante di un campo militare. Il gruppo liberò le ragazze e impiccò il comandante al cannone di un carro armato. Qualche mese più tardi, gli studenti di Omar salvarono dalla sodomizzazione un ragazzo che altri due capi militari si stavano contendendo. Fu così che la gente cominciò a rivolgersi a lui per aiuto, facendone una sorta di Robin Hood afghano che per sé non chiedeva né onori né compensi. Pare sia stato ferito ben quattro volte, comunque si sa che è cieco dell’occhio destro. Alto, ben fatto, lunga barba scura e turbante nero, dotato di un umorismo pungente, sarcastico, raccontano i talebani che è stato scelto quale loro capo supremo per la sua religiosità ed incrollabile fede nell’Islam. Per altri ”è stato Dio a sceglierlo”. ”Abbiamo fede assoluta in Allah. Non ce ne dimentichiamo mai. lui che decide se benedirci con la vittoria o precipitarci nella sconfitta”, è la dottrina praticata da Omar, uomo estremamente parco di parole. Un capo religioso che aveva accompagnato un principe saudita a Kandahar, ricorda che ”oltre a salutarci all’arrivo e alla partenza, Omar non disse nulla”. Personaggio dalla vita appartata, Omar non è stato mai fotografato né si è mai incontrato con diplomatici o giornalisti occidentali. [...] Quando Abdul Satar Ehdi, - cui si deve la Ehdi Foundation, equivalente pakistana della nostra Croce Rossa - chiese di essere ricevuto da Omar per essere da lui autorizzato a prendere in carico gli ospedali di Jalalabad e Kandahar, gli fu detto che ”il mullah Omar avrebbe incontrato il dottor Ehdi da dietro una tenda”. Ho motivo di credere, quindi, che tutti coloro che sostengono di aver incontrato Omar lo abbiano fatto così, con una tenda in mezzo. Ma, l’interrogativo che mi pongo è un altro: chi è dietro la tenda? Quando un giornale pubblicò l’unica sua foto, quelli che l’avevano conosciuto giurarono che non si trattava della stessa persona. Un ufficiale dell’esercito di stanza a Turkham suggerì che Omar non potesse farsi vedere, perché in effetti era già morto. Un esponente dei servizi segreti propose una sua teoria, abbastanza inverosimile, per cui Omar sarebbe un generale dell’esercito pakistano. Da parte sua, un diplomatico pakistano dichiarò di sapere per certo che Omar non era ”un uomo solo, bensì tanti, tanti uomini diversi”. Bin Laden lo indica come sua guida spirituale, eppure il mondo intero ha visto emergere come guida soltanto lo stesso Bin Laden. Peraltro, sappiamo bene che due spade non entrano nella stessa guaìna. Perché mai, allora, il capo supremo dei talebani avrebbe riservato per sé un posto di secondo piano, lasciando che Bin Laden assurgesse ad eroe? Possiamo capire il fatto che la filosofia di Bin Laden gli stia più a cuore dell’Afghanistan in sé; ma non è altrettanto chiaro perché mai Omar dovrebbe condividere un’ideologia che travalica i confini del paese che governa. Stupisce anche il fatto che abbia adottato la visione del mondo propria di Bin Laden a spese della sua stessa autorità. E, benché la storia sia ricca di esempi di grandi leader che si sono combattuti a morte pur di far prevalere la propria personalità, di questi due uomini non si è mai accennato ad un disaccordo. Voci riferiscono che dopo la prima incursione americana sull’Afghanistan, Bin Laden e Omar si sono incontrati in un luogo segreto: dopo un abbraccio, si sono lavati le mani e, accovacciati a terra, hanno consumato il pasto in silenzio. Terminate le abluzioni e recitate le preghiere di rito, si sono seduti l’uno di fronte all’altro per concordare le strategie da adottare. L’incontro pare sia durato un quarto d’ora soltanto; dopo di che, i due sono partiti in direzione opposta, senza che vi fosse necessità di un ulteriore convegno. Tutto era stato deciso. Ci troviamo di fronte ad un rapporto tra due persone che, oltre ad essere particolarissimo, sfugge all’occhio attento. Chi ha visto davvero Omar? E se è vero che lo hanno incontrato, è proprio Omar che hanno visto? Oppure ci sono tanti Omar - o addirittura nessun Omar? [...] Stando ad un analista politico, la caduta di Kabul non può dirsi una vittoria piena degli Stati Uniti; il vero leader rimane sempre ancora Omar. ”Pur rifiutandosi - a spese del suo governo e del suo popolo - di consegnare Bin Laden, è chiaro che Omar non si è impegnato in questa guerra per tutelare lui in prima istanza. Caduto il proprio governo, egli ha comunque conseguito una vittoria, in quanto fedele al principio per cui ”nessuno è meritevole dell’altrui ossequio”. [...] ”Omar e Bin Laden sono gemelli - sono pari”, spiegava un ufficiale talebano. Un miliardario saudita e un orfano afghano? Fratelli? ”Fratelli nello stesso principio”, è stato il chiarimento. Ma il mondo non sa quale sia il volto dell’uomo che ha messo tutto in gioco per un principio. Quindi, a meno che il mullah Mohammed Omar non si presenti con una sua distinta e inequivocabile identità, chi potrà mai affermare che effettivamente esista? A meno che lo stesso Osama Bin Laden non sia nel contempo anche mullah Mohammed Omar...» (Tehmina Durrani, ”Il Messaggero” 25/11/2001) • « sul metro e ottanta ma non di corporatura robusta. Ti viene incontro con passi incerti, come se l’andatura dovesse esprimere la sua modestia. La testa protesa in avanti e lo sguardo fisso di sotto in su dell’unico occhio, il sinistro (l’altro l’ha perduto in guerra), fanno pensare a un toro sul punto di caricare. Un toro guercio. Timido e taciturno. Questo è il sommario ritratto del mullah Omar [...] ricostruito cucendo insieme le vaghe e rare descrizioni del personaggio, e le sue ancora più rare e appannate immagini. Nell’incertezza la fantasia può sbizzarrirsi sulla figura fisica che resta sfocata; i tratti contraddittori del carattere sono invece disegnati col carbone, il colore della sua barba e del suo turbante. iconoclasta, coraggioso, fanatico, umile, intransigente, generoso, oscurantista. Può essere indulgente e spietato. Non come una monarca giusto o bizzoso. Ad ispirarlo sono spesso i sogni che gli fanno da ponte con l’aldilà. Non ha carisma ed è un cattivo predicatore, non è neppure un bravo teologo, un acuto interprete del Corano, ma è stato a lungo un capo ascoltato e una guida religiosa rispettata e temuta. Ha rischiato la vita per salvare due adolescenti rapite e violentate; e un’altra volta ha strappato un ragazzo dalle mani di due uomini che se lo contendevano per sodomizzarlo; ma non si contano le stragi compiute dai Taliban ai suoi ordini; ed è lui che ha fatto distruggere i Buddha giganti di Bamiyan. [...] Se avesse preso le distanze da Osama, se l’avesse abbandonato a se stesso o avesse contribuito alla sua cattura, adesso Omar sarebbe ricoperto di onori e di dollari. Avrebbe la gratitudine della Casa Bianca. Invece gli è rimasto fedele sacrificando se stesso e il regime dei Taliban [...] ha scelto quella che per lui è la vittoria dei martiri (i quali vincono perdendo) [...] vive in un’altra epoca, un imprecisato numero di secoli fa. [...] Si dice che nessun kafir (infedele) l’abbia incontrato nei suoi tempi di gloria [...]» (Bernardo Valli, ”la Repubblica” 4/12/2001) • Ne Il ribelle (Marsilio 2006) Massimo Fini lo descrive come «un grande eroe romantico, fosse solo per quella fuga in motocicletta dagli americani [...] che ricorda la struggente cavalcata di Peter O’Toole nei panni di Lawrence d’Arabia. [...] Uomo semplice, ma non pazzo, nè criminale, nè terrorista [...] Non solo la sua storia personale indica coraggio e dignità, andò a combattere contro i sovietici a 19 anni perdendo un occhio, difese le donne dalla violenza tribale, non fece sequestri di inermi o altri atti vili per la cultura afghana. Ma portò ordine in un Paese devastato dai signori della guerra. Riuscì perfino, e fu l’unico, a limitare la produzione di oppio perché contro il Corano. Fatto ignorato strumentalmente dall’Occidente [...] Il Mullah, alla ricerca di una terza via tra marxismo e capitalismo che l’Occidente non ammette, per me è soprattutto un archetipo [...] La tv con le cantanti senza veli e i bordelli della Kabul liberata sono un progresso? Lo è Karzai, messo lì dagli americani? Meglio il Mullah Omar [...]» (Cecilia Zecchinelli, ”Corriere della Sera” 26/4/2006).