varie, 5 marzo 2002
ORLANDO
ORLANDO Silvio Napoli 30 giugno 1957. Attore. Tra i suoi film: La stanza del figlio (di Nanni Moretti), La scuola, il portaborse (Lucchetti), Fuori dal mondo (Piccioni), Ferie d’agosto (Paolo Virzì) • «In Silvio Orlando gli opposti si toccano. Ha lavorato a suo tempo per la Fininvest, e in occasione di un programma molto censurato ebbe modo di incrociare Berlusconi che per intuito personale (e per parere unanime delle sue guardie del corpo) lo salvò dai tagli apportati a quel format televisivo. Poi, al di là degli equilibrismi per far convivere il varietà tv Emilio a Canale 5 e film come Palombella rossa o Il portaborse, il destino ha voluto che [...] fosse lui il protagonista umano e infelice del Caimano di Nanni Moretti, che di Berlusconi è stato il ritratto-apologo più spietato. Ha fama incontestabile d’essere un artista di fine e solido talento ma lui sostiene che la prima qualità per recitare è solo la pazienza. Ti dice che la ”recitazione” (con le virgolette) è una malattia infantile dell’attore, e che lui ”recita” solo nei momenti morti della sua carriera, ma intanto il suo essere artista, che ”reciti” o no, gli è valso la Coppa Volpi al [...] Festival di Venezia per l’interpretazione de Il papà di Giovanna di Pupi Avati. Fa l’attore ma si schermisce spiegando che dietro ogni attore c’è in fondo un musicista fallito, e lui suona il flauto e il sax con una band (preferisce chiamarla ”banda”), la S.N.A.P., che sta per Senza Nulla A Pretendere, capitanata dal maestro Raia, che dà concerti qua e là. eminentemente, squisitamente e contemplativamente un comico, Silvio Orlando, ma dal punto di vista umano, e in certi casi nella professione, ha in serbo anche una malinconia, una flemma, un mistero quasi oscurato da una zona d’ombra. [...] ”All’inizio di tutto c’è un dolore, con cui non è facile fare i conti. Un piccolo mostro col quale lotti, che non riesci a dominare. Nella storia di ogni artista ce n’è un segno, nascosto da qualche parte. Scavando, esce fuori. un punto di partenza che poi in genere viene sommerso dalla tecnica, dalla pratica, dal mestiere. Ma di fondo, c’è. Molti degli attori sono orfani di genitori, di tutti e due o di uno. Io, se devo trovare una cosa che mi rende diverso, è il non essere mai riuscito a risolvere il sospeso con una stanza. Borges citava avvenimenti della vita che se chiudi gli occhi ti riaccadono in eterno. La camera dove è morta mia madre quando io avevo nove anni, me la porto dentro sempre, anche se faccio una cosa comicissima. Riemerge. Nel Caimano di Nanni c’era ad esempio l’ossessione di non riuscire a trovare un pezzo di Lego giallo da 12, un’immagine straordinaria che poteva quasi valere il film, un frammento mancante d’una felicità incompiuta. Io quel pezzetto lì lo sto cercando e non lo troverò mai”. convinto che magari sia una fortuna. ”Meglio che un attore sia lontano dalla perfezione. Resta comunque un vuoto, un’incompiutezza, un qualcosa di sospeso che non si placherà mai. Per cercare di venirne a capo ho fatto pure percorsi psicanalitici, non credendoci tanto. Allora non resta che guardare in faccia questa cosa col mestiere. Sembra cinismo? Eppure è nel lavoro che trovi un risarcimento contro il dolore. Anzi, col mestiere il dolore può diventare utile. Qui s’intromette la coscienza, che a volte non tollera la professione del far ridere basata su un’ansia irrisolta. Il rapporto tra causa e effetto ti sembra un trucco, una cosa brutta. Ma attore sono e attore resto” [...] Fu uno sguardo ricevuto, e un furtivo senso di potenza, a cambiargli la vita, quand’era ancora piccolo, già colpito dalla mancanza materna. ”Avvenne a scuola. Un’insegnante mi fece interpretare a memoria una cosa, e poi mi guardò in un altro modo. Anche i compagni. Avvertii una forza, un ascendente. E c’ero arrivato senza fatica, senza calcoli mnemonici, tabelline. Non ci fu seguito, ma a diciotto anni, obbligato da un mio amico avvocato, in un teatrino da cinquanta posti presi parte alla ricostruzione farsesca d’un processo ai Nuclei armati proletari, nei panni di un imputato non politico, col compito di suonare anche un flauto: mi dettero piacere le risate, le reazioni, l’ondata d’attenzione che sentivo. Un dubbio ce l’avevo: ero io che li facevo ridere o loro ridevano di me?”. Poi mise a punto altri tentativi con Tonino Taiuti, Antonio Neiwiller, Renato Carpentieri. Assemblaggi di teatro popolare, con al centro l’attore. ”Noi rimanevamo di proposito in un solco antico, mentre in teatro s’affermava una nuova spettacolarità con diapositive e molto uso del corpo ad opera di Martone e Servillo, che più tardi hanno recuperato la parola”. Ma in materia di comunicazione ci fu anche un’altra fonte di ammaestramento, per Silvio Orlando: il padre. ”Era un esempio di cosa significhi essere affabili, estroversi. Lui teneva banco, faceva il commesso viaggiatore e vendeva cose che non sapeva come funzionassero. Era un uomo di grande positività, aveva cinquant’anni quando sono nato io, e questa età matura gli forniva anche un velo di disincanto, la cosa che in definitiva m’ha trasmesso di più. Andava a Milano a vendere macchine fotografiche, mentre noi vivevamo a Napoli, al Vomero, zona senza una storia propria, Eldorado anonimo riservato alla piccola borghesia che guarda dall’alto il proletariato del centro storico. Io la città vera l’ho scoperta tardi, da solo, dopo essere cresciuto facendo a meno di spazi comuni, piazze, rapporti umani”. Diventare attori senza una gavetta sociale, senza l’apprendistato dell’amicizia, è una faccenda strana, per un artista meridionale. Ma Silvio trovò i rimedi. ”Conobbi un po’ di vita in comune al liceo, nelle esperienze musicali più vicine alla Nuova compagnia di canto popolare che al rock, nella sezione del Pci (anche se prevalse una noia mortale perché si ragionava come nel comitato di un partito sovietico), e ci fu uno sdoganamento attraverso le vicende sentimentali, anche se nel pianeta femminile sono atterrato tardi”. Viene fuori pian piano il ritratto di un napoletano fuori catalogo. ”Beh, io appartengo a una categoria di esseri umani normali su cui non pesa l’egemonia della città. A volte l’amor proprio e il contegno sembrano un lusso estremo. Ma il peggio ti può capitare nel mondo del lavoro, dove spesso prevalgono superficialità e mancanza d’amore, tanto da indurti ad avere poco rispetto per ciò che fai. Qui un piccolo merito credo d’essermelo ritagliato dando voce a personaggi che tengono l’anima coi denti, vedi Il portaborse, il professore della Scuola, Ferie d’agosto, la figura in crisi del Caimano, il marito in Questi fantasmi a teatro, fino al Papà di Giovanna [...] Mi viene istintivo suscitare un senso di preoccupazione in chi mi vede. Io sono classicamente l’uomo-che-prende-gli-schiaffi, e la gente che mi ha davanti può chiedersi: io che farei al suo posto? anche questione di fisiognomica, che nel mondo dello spettacolo conta come in nessun altro mestiere. Se sei alto meno di 167 centimetri sai bene in che rapporto sei con gli occhi degli altri. Posso anche fare il prepotente, ma è come quando Pavarotti cantava Satisfaction (della serie ”Apprezziamo, maestro’)”. Gli è restato sempre impresso, come un tatuaggio, e ci si è sempre riconosciuto, il primo giudizio critico ricevuto da Repubblica ai tempi di Comedians, quando era in scena con Bisio, Rossi e Catania: ”Recita l’inanità, ne fa un’arte”. Non dimentica Gino e Michele che lo aiutarono a confezionare pezzi di cabaret con cui entrò negli studi della Fininvest per quattro stagioni. ”I comici erano unti dal Signore, per Berlusconi, e una volta, incontrandomi, lui disse ”Orlando, lei è qui. Se lo avessi saputo, avrei sciolto i cani’ e intanto sorrideva [...] A me piace la gregarietà, l’essere chiamato. Apparterrò a una mentalità vecchia, ma l’attore che chiama un regista, o che si propone, rinuncia alla propria dignità. L’unica proposta a cui a livello umano mi dispiacque di non dire sì fu una cosa chiestami da Troisi. Ma lavoro bene con la gente più diversa, anche ”in contraddizione’. Vado avanti con un misto di flessibilità e di coerenza”. Il legame con Nanni Moretti è noto, e non poggia su alcun cameratismo. ”La complicità non è producente, soprattutto nei confronti di Nanni, anche perché quello che io consento a un regista è più di ciò che consento a un amico. Ho grande riconoscenza nei suoi riguardi, e sostengo che la fortuna è incontrare persone giuste che t’insegnano ad amare il lavoro. Avrei fatto questo mestiere anche senza Nanni, ma non così [...] Lo sblocco l’ho affrontato reggendo un arco di tempo lungo sullo schermo per Il portaborse, con tutti gli stati d’animo del protagonista, poi c’è stato il genitore con figli complicati nel Caimano di Moretti, e senz’altro [...] il personaggio del padre nel film di Avati, che ha rappresentato una difficoltà e ha prodotto un effetto sorpresa, m’ha reso consapevole di certe corde dopo trent’anni di lavoro. Emozionandomi, anche” [...] S’è sposato [...] a Venezia con la sua compagna, l’attrice Maria Laura Rondanini. [...]» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 1/2/2009) • «Come John Wayne aveva la faccia e l’incedere del cow-boy, così Silvio Orlando ha la faccia e il portamento di uno che, se glielo chiedi ma anche se non glielo chiedi, un fax a ”Repubblica”, alla Rai, all’amministratore del condominio… glielo manda. Un prototipo del popolo dei fax. Ai registi italiani non è sfuggita questa vocazione, e lui ha inanellato una sfilza di magistrali interpretazioni dell’impiegato statale povero ma onesto, capace di riabilitare per sempre l’Italia di Alberto Sordi. Film che verranno ricordati come il catechismo di quello che fu l’Ulivo e che, in proporzione a questo compito, hanno divertito i loro spettatori. Si rammentano due sue performance: Matilda, un film che non ha visto nessuno, e le sit-com per Mediaset, di cui probabilmente si vergogna. In tarda mattinata lo si trova seduto a un tavolino del bar Farnese di Roma, di fronte all’Ambasciata di Francia: legge la ”Repubblica” e guarda di soppiatto le donne che passano, sperando che dietro la sua faccia da fax riconoscano che è pur sempre un attore. Proto-faxista lo è stato con la storica interpretazione del Portaborse. Lui era il portaborse dell’Italia da bere, ma ne soffriva intimamente e forse, in sogno, antevide l’Italia dei Valori. Quando un ministro ebbe la faccia di Nanni Moretti e il suo ghost-writer quella di Silvio Orlando, si capì che la Prima repubblica aveva le ore contate» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998).