Varie, 5 marzo 2002
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OToole Peter
• Connemara (Irlanda) 2 agosto 1932. Attore. Oscar alla carriera 2002, «le sue interpretazioni hanno infiammato gli schermi di tutto il mondo per più di quattro decenni» (Frank Pierson, presidente dell’Academy). Ha ricevuto nel corso della sua carriera sette nomination tra cui quelle per Lawrence d’Arabia di David Lean (1962) e per L’ospite d´onore di Richard Benjamin (1982) ma non è riuscito mai ad aggiudicarsi la statuetta. «Voleva fare il giornalista – e per un po’ l’ha fatto. E, alla fine della stagione del suo grande successo, ha rivelato con una sua breve autobiografia, Loitering with Intent (l’inizio di un’autobiografia: si ferma ai suoi diciassette anni) una vena di scrittore giudicata dai critici più severi come molto speciale - e prontamente attribuita allo spiccato talento irlandese per le parole. ”Scrive come il poeta demente che è”. Ha frequentato la Royal Academy of Dramatic Arts in una classe di belli e dannati, di pazzi di classe – tra cui Albert Finney, Alan Bates e Richard Harris (ma il più bravo del corso risultò, a giudizio dei professori e a perenne scorno delle valutazioni scolastiche, un attore rientrato velocemente nell’ombra). Ha calcato le scene con alterne fortune e presenza affascinante nel ruolo di un Amleto barbuto e macho e di un giovane Shylock nel Mercante di Venezia di Peter Hall a Stratford. Ha dato il peggio e il meglio di sé. E ha mollato il teatro di punto in bianco quando il suo amico Albert Finney ha rinunciato alla parte di Lawrence e Sam Spiegel lo ha preso come sostituto. Da un giorno all’altro (si fa per dire, la lavorazione del film è durata due anni), con Lawrence d’Arabia (1962), dove era bellissimo, forte, ambiguo, meraviglioso, l’irlandese pazzo ha conquistato il mondo. E’ stato Lawrence a segnarlo, Lawrence ad imprimerlo nella mente di tutti, Lawrence a fare di lui una star. E a dargli la prima delusione. Perché per quel ruolo O’Toole si meritò giustamente una nomination a migliore attore: ma l’Oscar non lo conquistò (andò a Gregory Peck con Il buio oltre la siepe). Lawrence è stato anche il punto più alto di una carriera cinematografica all’insegna delle montagne russe. The Bone, l’osso, come lo chiamava affettuosamente ai tempi del loro matrimoni sua moglie Sian Phillips (Peter O’Toole è alto un metro e ottantasette, e non è mai stato in carne) ha rivelato sempre una passione per personaggi un po’ folli, sognatori, stravaganti, da Don Chisciotte a Lord Jim. E ha anche sempre rivelato una certa indifferenza per le avventure in cui si buttava. Film belli, meno belli, anche francamente brutti. Ruoli assurdi, ruoli minori. Tra una bevuta e l’altra, tutto ha provato. E anche quando ha trovato di nuovo i ”suoi” personaggi, per esempio l’Enrico di Becket e il suo re (1964, accanto al suo dioscuro e compagno di piaceri alcolici Richard Burton), o di Leone d’inverno (1968), accanto alla leonessa Katharine Hepburn, non ha mai ritrovato il personaggio carismatico di Lawrence. La sua bizzarria irlandese l’ha portato a provare, giocando contro il suo fisico poetico ed eroico, i ruoli comici, come in Ciao Pussycat (1965). Il suo talento e la sua presenza gli hanno fatto lasciare il segno anche in ruoli piccoli come quello del precettore inglese di Pu’Yi in L’ultimo imperatore (1987). L’esperienza gli ha insegnato che è meglio una bella parte a teatro che un cattivo film, e vederlo in un pièce non fantastica ma bravissimo, nel ruolo di un ubriacone di talento, Jeffrey Bernard is Unwell, magro come un chiodo, elegante, segnato, autoironico. Perché anche lui è stato uno dei grandi bevitori della sua epoca, solo più fortunato del suo amico Burton, che di alcol è morto. Peter O’Toole, capace, dicono i testimoni, di scolarsi un’intera bottiglia di Jameson senza staccare la bocca dal collo della bottiglia, negli anni ”70 ha sfiorato anche lui la morte per le stesse ragioni. Ora non beve più, ma resta ugualmente eccentrico. Vive con suo figlio (altri due, grandi, sono nati dal suo primo matrimonio), un ragazzino che ha molto conteso alla madre. Porta sempre dei calzini verdi come l’Irlanda. E’ un solitario» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 23/3/2003) • «Il mio carattere è un impasto di toni pessimistici e brillanti […] Non viaggio mai senza un libro sugli insetti, sono un appassionato entomologo e chi vuole può capire che la natura umana ci spinge a studiare le abitudini degli insetti […] Sentirmi una leggenda umana? Mai, caso mai un attore da re della commedia umana, che si è persino truccato le ciglia con il rimmel e che ha recitato Uomo e superuomo di Bernard Shaw senza dimenticare di essere capace d’abbandonarsi all’immaginazione. Io faccio parte della classe dirigente, come insegnava il titolo di un mio film, solo nei testi teatrali e di cinema» (Giovanna Grassi, ”Corriere della Sera” 24/3/2003).