Varie, 5 marzo 2002
OTTONE
OTTONE Piero Genova 3 agosto 1924. Giornalista. Ex direttore del ”Corriere della Sera” • «[...] è forse stato il nostro direttore più ”né di qua né di là”, più anglosassone, più stiff nell’accezione di compassato, inamidato, austero. Lui, direttore del ”Corriere della Sera” nei difficili anni tra il 1972 e il ”77, è senza dubbio alcuno il giornalista col pallino dell’obiettività. [...] ”Il mio non è un pallino. Per me è assolutamente fondamentale. La manchevolezza, la lacuna, il difetto fondamentale del nostro giornalismo, secondo me, è l’assenza di una coscienza morale. Il giornalismo italiano, storicamente, è sempre stato visto come uno strumento, accanto ad altri, per ottenere scopi politici, economici o di altro genere, invece che una professione autonoma, indipendente, come una responsabilità etica verso l’opinione pubblica, verso la comunità. Qualcosa tipo la magistratura [...] Effettivamente ho portato qualcosa di nuovo nella direzione di un grande giornale italiano... Prima, anche il ”Corriere della Sera’, come tutti i giornali, aveva diversi metri e diverse misure per giudicare i fatti. C’era una disputa sindacale? Il ”Corriere’ senza dubbio privilegiava le notizie di fonte confindustriale e minimizzava - se non ignorava addirittura - le notizie di fonte sindacale. [...] I partiti, la Dc innanzitutto e poi i repubblicani, i socialdemocratici, i liberali erano trattati da partiti per bene: i comunisti erano tenuti nell’angolo e ciò che da loro partiva era sempre presentato col contagocce o in maniera distorta. Ciò che io ho introdotto al ”Corriere’ è stato semplicemente questo concetto: trattiamo tutti alla stessa maniera. E pertanto: davamo uguale rilievo alla Confindustria e alla Cgil, [...] E se avevamo una nostra opinione [...] allora lo dicevamo, appunto, come opinione e non come fatto. Questo ha funzionato, per me, anche con i comunisti. Io non sono mai stato comunista, come cittadino non ho mai sperato che i comunisti arrivassero al potere in Italia, sono stato in Russia abbastanza per sapere quanto male può fare un regime comunista, quanta miseria può diffondere. Però quando davamo le notizie avevamo lo stesso rispetto o la stessa attenzione per il Pci che per gli altri. Questa equanimità, o questa giustizia cronistica, stupì moltissimo i nosti lettori tradizionali, i quali pensarono ”allora questo è comunista’. [...] negli anni Settanta pensavo che i comunisti italiani non fossero bestie feroci. Dicevo: sono pericolosi non per quello che vogliono ma per quello che non sanno. Cioò non credevo a una loro vittoria sinonimo di regime bolscevico, però temevo la loro totale incapacità di governare un Paese industriale moderno... [...]”» (Stefano Jesurum, ”Sette” n. 41/2002) • «Cronista del fiocco e della randa, di mille veleggiate e qualche naufragio. Mancato ministro del Turismo, in quanto irreperibile per mare, nel governo Fanfani 1986, sponsor De Mita. approdato, ai giornali di De Benedetti, ”Repubblica” e ”l’Espresso”, dopo un breve passaggio alla Mondadori e soprattutto dopo i fasti della direzione del ”Corriere della Sera” negli anni di piombo, quando cacciò Indro Montanelli, reclutò come editorialista Pier Paolo Pasolini e col suo sinistrismo demagogico mandò in deliquio la borghesia progressista di Camilla Cederna e Giulia Maria Crespi, che nascondeva in giardino, come fosse un fiore di fico d’india, il capo del movimento studentesco, Mario Capanna. Leggendo gli articoli di oggi, dove fustiga per lo più la stampa di regime, a eccezione di quella del gruppo Caracciolo-De Benedetti, e stigmatizza la burinaggine di noi italiani, affetti da cronica mancanza di aplomb, facili prede dell’amore per lo schiamazzo o all’insofferenza per le file alla posta e per i versamenti al fisco, molti si chiedono come abbia fatto a dirigere il più importante quotidiano nazionale, quando non c’era nemmeno il giornale di Scalfari. Pochissimi sanno come rispondere. E quei pochi, per pietà, tacciono» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998) • «Forse non mi sarebbe dispiaciuto fare l’armatore di navi, ma non ho il dono degli affari. Sono soprattutto un osservatore. Più che influire sugli avvenimenti, mi piace osservarli e capirli, elemento che è l’essenza del giornalismo» (Alain Elkann, ”La Stampa” 9/8/1998).