varie, 5 marzo 2002
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OVADIA Moni (Salomone) Plovdiv (Bulgaria) 16 aprile 1946. Attore. Famiglia ebraica, trasferitosi a Milano si è laureato in Scienze Politiche
OVADIA Moni (Salomone) Plovdiv (Bulgaria) 16 aprile 1946. Attore. Famiglia ebraica, trasferitosi a Milano si è laureato in Scienze Politiche. Nell’84 inizia a collaborare con personaggi come Pier’Alli, Tadeusz Kantor, Franco Parenti. Nell’87 con Mara Cantoni crea Dalla sabbia - Dal tempo primo esempio di teatro-musicale. Nel ”90 fonda la Theater Orchestra. Nel 1993 si è imposto al grande pubblico con Oylem Goylem. «Artista difficilmente etichettabile, amato dal pubblico per l’appassionato recupero della tradizione popolare ebraica dell’Europa dell’Est e della musica kletzmer […] Barba folta e capelli bianchi, zuccotto in testa, la figura possente e l’espressione serafica di chi ne ha viste di cotte e di crude […] In spettacoli come Oylem Golem o Cabaret Yiddish, che l’hanno portato al successo, ha sperimentato una forma di teatro in musica molto personale: ”In scena ho usato musicisti che erano anche i principali attori. Nessuno, prima di me, si era occupato di questa cultura dell’Est Europa, a parte Alessandro Fersen, già nel 1949”» (Paola Zonca, ”la Repubblica” 5/7/2002). «Forse non si può essere "grandi poeti bulgari", come scrisse scherzosamente Eugenio Montale. Ma grandi uomini di teatro bulgari sì. Ecco a provarlo il successo dirompente di Moni Ovadia [...] L’incontro con il mondo yiddish avvenne inaspettatamente alcuni anni fa in una sinagoga nascosta in un appartamento nel centro di Milano, dove officiava un rabbino con 17 figli, circondato da personaggi che parevano usciti dalle pagine degli scrittori della Mitteleuropa» (Franco Brevini, "Panorama" 19/11/1998). «[...] ”[...] preferisco la definizione di teatrante [...] Qualcuno che attraverso il teatro, che è un piccolo sacrario laico dell’essere umano, compie un percorso attraverso le emozioni e le strutture del sentimento” [...] è milanese [...] ”Sì, sono arrivato a tre anni e mezzo dalla Bulgaria e qui sono cresciuto e del resto parlo anche il dialetto [...] Sono una persona con dei difetti, molto passionale e insofferente verso il sopruso e lo sfruttamento. Lo sento un tratto mio [...] il temperamento mi induce a essere ipercritico. [...] Io ho vinto una mia piccola sfida: riempire i teatri con spettacoli ispirati alla cultura yddish. Sulla carta io dovevo recitare per sedie quasi vuote e un pubblico ultrasettantenne e invece ho avuto fiducia e sono stato ricambiato. Una cultura di anima e di esilio è universale, anche se appartiene a un piccolo popolo. Nei miei spettacoli uso sovente l’yddish, il russo, il polacco, molti si lamentano ma poi tornano a vedermi”» (’La Stampa” 27/11/2005). «[...] professione ”saltimbanco” [...] Attore, cantastorie, venditore di frottole, marxista, ebreo laico[...] italiano, greco, turco, serbo e altro ancora. Europeo infiltrato, fuggiasco da cinque secoli. [...] ”Sono esule. Vengo dalla Bulgaria, per cominciare. Non ho le radici sotto il culo. Son figlio di chi ”ha camminato’. Nomade, che poi è sinonimo di ebreo; da ”Ivrì’, colui che attraversa. Soltanto l’esule sa che nessuna patria è definitiva [...] Sono slavo. E se la lingua è anche un canto, ecco, io sono figlio di un canto slavo. Il rumeno Cioran diceva che non si abita un paese ma una lingua. verissimo. Per questo l’idea di negare le lingue, inventata dai fascismi, fu abominio assoluto [...] Sono figlio del mare e della luce. Mediterraneo. La mia gente viene dalla Spagna, ha abitato l’impero ottomano [...] L’origine di un uomo non è genealogica. la ricerca dei pezzi di straniero che hanno fatto la sua identità. E quindi io posso ritrovare nel mondo yiddish l’humus slavo che l’ha fertilizzato e che mi appartiene… Questa ricerca è tipica della mia gente. Heine e Kafka erano ebrei, tedeschi ed europei nello stesso tempo, senza che questo generasse contraddizione [...] Il piccolo ebreo polacco di Oylem Goylem [...] era l’apologia di questo europeo ubiquo, che passava i confini e sbugiardava i nazionalismi! Gente che non si sarebbe mai accontentata dell’inglese standardizzato del business, parlava cinque-sei lingue… Gente che, con la sua molteplicità identitaria, sperimentava l’Europa! Sono andati in cenere… ma hanno lasciato un’energia immensa che cerco di rilanciare [...] Nei miei deliri europeisti, faccio un sogno ricorrente. Uno stadio pieno di tifosi con le facce dipinte d’azzurro a stelle gialle, che s’alzano in piedi all’ingresso della squadra e sotto un grande display, che lo riproduce in tutte le lingue comunitarie, cantano l’Inno alla gioia di Beethoven, intonano ”Alle Menschen werden Brueder’, tutti gli uomini diventano fratelli… [...]”» (Paolo Rumiz, ”la Repubblica” 26/2/2006).