Varie, 5 marzo 2002
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Ozick Cynthia
• New York (Stati Uniti) 17 aprile 1928. Scrittrice • «Grande scrittrice e saggista americana premiata, tradotta, protagonista di polemiche politico-culturali sull’Olocausto e su Israele». «Una delle più influenti e poliedriche intellettuali d’America [...] Su Kafka, Eliot, Wharton, Babel, questa scrittrice di origine ebraica e russa, anche se nata e cresciuta nel Bronx, ha scritto alcuni dei rigorosi e personalissimi saggi per cui è più nota e ammirata, sebbene lei non faccia mistero di preferire la narrativa. ”Scrivere narrativa è una forma di scoperta, a volte è addirittura una sequenza di scoperte che non sai dove ti faranno approdare. Ed essere trascinati dalla scrittura è una delle più meravigliose esperienze possibili”. Convinta che non sia compito della narrativa rappresentare l’Olocausto, ma di documenti come I sommersi e i salvati di Primo Levi, ha scritto spesso ”intorno” all’Olocausto – come nel Messia di Stoccolma – solo una volta ha affrontato l’argomento in modo diretto, nella sua opera più famosa, Lo scialle. [...] ”Ero già in America con la mia famiglia negli anni Trenta e non ho perso nessuno nei campi di sterminio. [...] Mi viene in mente una lettera che mi scrisse Saul Bellow negli anni Quaranta, quando era già uno scrittore formato e cominciava ad essere conosciuto. Diceva che le sue preoccupazioni erano altre, che non ci pensava. Ma se si seguono i libri che ha scritto da allora, la consapevolezza di ciò che è accaduto diventa sempre più evidente man mano che invecchia, fino a esplodere completamente nell’ultimo romanzo, Ravelstein. E questo vale, io credo, per molti di noi”» (Livia Manera, ”Corriere della Sera” 27/1/2004) • «Dire che un romanzo - un qualsiasi romanzo - è intelligente ”è come dargli il bacio della morte” scherza [...] un’aria così arguta dietro gli occhiali spessi, che sembra dire all’interlocutore: lo so che sono la più cerebrale delle scrittrici americane, lo so che sono la più intelligente, ma appunto: lo sono troppo per cascare nel tranello di farmi relegare in qualche angolo di biblioteca. ”Io voglio esser letta. Non voglio far la parte della studiosa. [...] La fiction è tutta rischio, scoperta, tutta sussurri e segreti... Chiamatela lingua, chiamatela intuizione, chiamatela seduzione, ma esiste una voluttà che solo il romanzo conosce...”» (Livia Manera, ”Corriere della Sera” 26/6/2005).