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 2002  marzo 05 Martedì calendario

OZPETEK Ferzan Istanbul (Turchia) 3 febbraio 1959. Regista • «Si arrabbia se lo definiscono ”il regista turco”

OZPETEK Ferzan Istanbul (Turchia) 3 febbraio 1959. Regista • «Si arrabbia se lo definiscono ”il regista turco”. […] ”Mi sento un autore di casa vostra e anche mia: per la vita nel prediletto quartiere Ostiense, gli amici, i miei amori, il testardo voler studiare cinema proprio a Roma. E sono orgoglioso di rappresentare l’Italia con i miei film. In Turchia dicono che sembrano girati da un italiano. Gli americani, mi si perdoni il paragone, non dicono di Billy Wilder ”è austriaco’, di Lubitsch ”è tedesco’” […] La produttrice Tilde Corsi dice di lui: pone il rapporto affettivo sopra tutto... ”’E questo lo rende forte perché è fragile’, finisco io la frase: chi accarezza sogni e sa amare e chiede amore in cambio è vulnerabile, ma d’acciaio. […] Quarto figlio, il più piccolo, di una famiglia borghese, accarezzavo progetti impossibili e volevo essere parte di un qualcosa con altri: padre costruttore, mamma contraria a ogni rigida educazione religiosa, la fantasia accesa, le notti di lettura, i giorni spesi a cercare immagini […] Penso che la vita sia una religione. Faccio un esempio. Sono andato da un otorino per problemi uditivi: l’orecchio spiegato da uno specialista mi è parso una creazione perfetta. E come si fa a non credere a chi ci ha creati? Talvolta mi sento buddista, ma mi piace entrare in chiesa a Roma, accendere candele, in silenzio. […] Dipingevo sempre, quando ho preso in mano la cinepresa ho smesso. Cerco la pittura, la poesia e la letteratura della vita nei miei film. Il cinema riflette le mie altre passioni, musica compresa. […] I disegni di Leonardo, i colori del grande pittore turco Fikret Mualla, che ha dipinto la gente nei caffè di Istanbul come quella a Roma. Le poesie della polacca premio Nobel Wislawa Szymborska, un verso di Attilio Bertolucci ”l’assenza è la più acuta presenza’, nascosto nella malinconia e nella memoria di Massimo Girotti. L’idiota di Dostoewski, Anna Maria Ortese, Gli indifferenti di Moravia […] Cammino, osservo i volti, penso a quando arrivai e facevo l’aiuto regista volontario. Qui ho realizzato sogni che credevo impossibili. Mi sento a casa: a volte ritrovo nei corpi e volti le linee dei disegni di Leonardo, di Raffaello, i personaggi di Moravia. L’Italia ha una bellezza antica e moderna. Sono belli il volto di Carlo Cecchi, il naso di Mina, i lineamenti della Mezzogiorno, i colori di Laura Morante […] Il cinema di De Sica mi era entrato nella pelle, per sempre. Lo riguardiamo, io e il mio gatto Rocco, trovato nel motore di una macchina in una sera di pioggia: Umberto D., L’oro di Napoli ... Ogni volta sono felice di aver studiato qui. Conservo nel cuore il blu dell’antica Costantinopoli, ma è Roma che mi ha regalato verità, perché da voi non c’è vera intolleranza, e... un grande appetito. Ero amico di Ugo Tognazzi: anch’io cucino, lo racconta La finestra di fronte . Poi, si gioca a carte con gli amici, come i vostri contadini, come si fa ancora all’Ostiense, nelle sere d’estate. Così nascono le storie dei film dell’italiano e anche turco Ozpetek”» (Giovanna Grassi, ”Corriere della Sera” 12/4/2003). «Io non sono uno di quelli che amano spiattellare sullo schermo la propria vita, ma le persone che ho incontrato sì, voglio farlo. Mi considero un miracolato dalla vita perché ho sempre avuto a che fare con gente fantastica» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 7/2/2002). «Quando sono a casa mi piace guardarmi intorno, immaginare i momenti di gioia o di dolore vissuti tra quelle pareti, le persone che ci sono vissute, che hanno amato, riso, pianto. E quando vado a fare la spesa al ghetto, penso a ciò che hanno visto quelle mura, le cose orrende e disumane alle quali hanno assistito sessant’anni fa, al sangue che le ha macchiate, ma anche ai baci che qualcuno si è scambiato, alle parole che hanno ascoltato. Credo che le mura di una città, Roma in particolare, siano impregnate di memoria e di emozioni […] Sarebbe bello abbandonarsi alle passioni, ma spesso capitano quando si hanno altri legami, la responsabilità di una famiglia. E l’esperienza insegna che le grandi passioni sfumano, si spengono, nel migliore dei casi diventano amicizia. Non è sempre così, mio fratello e sua moglie sono sposati da vent’anni e ogni sera tornano dal lavoro e si ritrovano con l’entusiasmo della prima volta. Una felicità che mi sembra una perversione. In realtà invidio le coppie così”» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 22/2/2003). «Stavo andando in America e invece ho scelto di venire in Italia nel ”76. Dieci giorni prima di andare in America ho cambiato idea, ho detto a mio padre che volevo studiare il cinema in Italia. I miei fratelli vivevano in America, avevano la nazionalità americana e mio padre avrebbe preferito che se proprio dovevo fare il cinema lo facessi in America. Devo dire che comunque mio padre fino a 6-7 anni fa mi ha sempre visto come un ciarlatano […] Quando dissi che volevo andare in Italia mi ha detto: vai in un Paese dove la lingua non serve a niente, non più che il turco, mi sembra una pazzia. Lo convinse mia madre e mio padre per tre o quattro anni mi ha finanziato. Avevo 17 anni […] Le cose non sono andate come volevo, avevo solo 17 anni e dovevo aspettare i 19 per entrare al Centro sperimentale di cinema. Così mi sono iscritto a Lettere e facevo l’uditore all’accademia di Silvia D’Amico sennò intervistavo dei registi per una rivista di cinema: Bertolucci, Troisi, Verdone, i Taviani e altri. Ogni volta che finivo l’intervista chiedevo se mi prendevano come assistente volontario […] Nel 1997 feci il mio primo film Il bagno turco grazie a Marco Risi e a Maurizio Tedesco. Gli attori erano Alessandro Gassman, Francesco D’Aloja e Carlo Cecchi. Il film rappresentò l’Italia alla Quinzaine du Cinema a Cannes. Ha avuto successo di critica e venduto in tutto il mondo e in Italia è stato molto a lungo nelle sale. Credo che sia stata la cosa più importante nella mia carriera […] Harem Suaré Me lo ha prodotto Tilde Corsi perché c’è stato un disguido tra me e Maurizio Tedesco. Lui non mi chiedeva niente su un film successivo mentre Tilde mi aveva chiesto di fare un film in tempi non sospetti prima ancora che andassi a Cannes con il film precedente […] Per Le fate ignoranti ho usato meno la testa, solo l’istinto. Godevo mentre giravo quel film. Le fate mi ha portato il successo ma io per fortuna ho tendenza a sottovalutarmi. Bisogna sottovalutarsi quando si ha successo […] Vado a finire sempre sulla donna. I protagonisti veri dei miei film sono le donne. Mi piace molto quello che offre la vita inaspettatamente, i casi che succedono e cambiano l’andamento di una vita. Mi piace cercare di rendere universale una storia, che i sentimenti viaggino sopra le classi sociali, le religioni, la cultura stessa» (Alain Elkann, ”La Stampa” 4/5/2003). Vedi anche: Michele Anselmi, ”Sette” n. 11/2001;