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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Pampaloni Geno

• Roma 25 novembre 1918, Ponte a Niccheri (Firenze) 17 gennaio 2001. Uno dei critici più autorevoli del dopoguerra, giornalista a ”Italia Libera”, quotidiano del Partito d’Azione, dopo la laurea ottenuta alla Normale di Pisa con una tesi su D’Annunzio discussa con Luigi Russo. A Firenze stabilisce un intenso rapporto d’amicizia con Giacomo Noventa e nel 1956 scrive la prefazione dei suoi Versi e poesie. Fino al 1958 a Ivrea come braccio destro di Adriano Olivetti, inizialmente dirige la biblioteca, poi diventa segretario generale del Movimento di Comunità. Collaboratore della Rai, direttore della casa editrice Vallecchi, fondatore e direttore di Edipem, scrive critiche per vari giornali: ”Corriere della Sera”, ”Il Giorno”, ”Il Tempo”, ”La Stampa”, ”La Nazione”, ”Il Giornale”, ”Il Mondo”, ”L’Espresso”. Nel 1985 fu per pochi mesi direttore del gabinetto Vieusseux. Nel 1993 il Tg2 annunciò per errore la sua morte e mandò in onda il coccodrillo. «[...] lo chiamvano il Professore a Firenze, ed era una persona gentile, disponibile come poche, appassionata davvero di letteratura così come una volta si era appassionati di jazz, con l’idea, cioè, di condividere qualcosa di molto prezioso. Era una persona molto attenta, di quelle (sempre più rare ormai) che scoprivano i talenti da sole, che si incuriosivano dei giovani che si avvicinavano alla letteratura. Era una persona, tanto per capirsi, che quando ti incontrava ti intervistava (senza darlo a vedere) ed erano interviste approfondite, insistenti (con gran garbo) [...] Per tutta la vita Geno Pampaloni, il Professore, ha scritto recensioni fino a farne una forma d’arte. Il segreto delle recensioni, secondo Geno Pampaloni, erano le citazioni. La scelta, cioè, delle frasi, delle parole dello scrittore. Lì si vede la bravura del recensore [...] I recensori, secondo Pampaloni, non dovrebbero mai raccogliere i loro articoli in un libro (sono cose da giornale, che durano il tempo che dura un giornale). E a questa sua idea Pampaloni ha sempre tenuto fede [...]» (Antonio D’Orrico, ”Sette” n. 21/2001).