varie, 5 marzo 2002
PANATTA
PANATTA Adriano Roma 9 luglio 1950. Ex tennista. Nel 1976 vinse gli internazionali d’Italia, il Roland Garros e la Coppa Davis • «Figlio di Ascenzio, uomo saggio, custode dei campi del Tennis Club Parioli, a 25 anni Adriano sa già di successo, di fortuna, di donne difficili anche da sognare. Bello come un imperatore, il sorriso travolgente e dolce da ragazzino, il carattere ombroso, Panatta ha diritto, servizio e volée da fenomeno. Per entrare nel club dei campioni, degli immortali del gioco, gli manca però una vittoria grossa: Roma, il Roland Garros, la Coppa Davis. Da maggio a dicembre, in una estate che comincia al Foro Italico e finisce a Santiago del Cile, dall’altra parte dell’equatore, Panatta li conquista tutti. [...] Il tennis è uno sport, anzi, un gioco ancora costoso, ancora snob, ma in piena metamorfosi. Adriano è l’erede di Nicola Pietrangeli, altro bello, che tirava benissimo il rovescio e aveva vinto due volte Parigi e nel ’61 era stato l’ultimo italiano ad alzare la Coppa degli Internazionali d’Italia, battendo l’immenso Laver. Quello di Panatta è un tennis ancora fatto di artisti, più che di atleti, che però si sta sradicando dai recinti più esclusivi, che inizia a frequentare, prima e dopo i match, le discoteche: un glamour sempre fascinoso, ma più borghese. Dopo i silenzi, gli applausi misurati e perfetti nei tempi, negli stadi arrivano i cori e qualche volta anche le monetine tirate al ”nemico”. Il numero uno del mondo è uno yankee antipatico, Jimmy Connors, Borg sta per vincere il primo dei suoi cinque Wimbledon consecutivi. Panatta è reduce da un ’75 problematico, condito dalla figuraccia in Coppa Davis con la Francia. In inverno si è ritirato nell’eremo di Formia, ha ascoltato i consigli del vecchio e grande Mario Belardinelli, un padre aggiunto. Vuole riscattarsi. Il torneo di Roma si gioca dal 24 al 30 maggio [...] Adriano al primo turno salva undici matchpoint contro l’australiano Warwick. Poi batte Zugarelli, Franulovic, rischia contro Solomon - che si ritira mentre stava vincendo, infuriato per una chiamata del giudice di linea - supera Newcombe in semifinale e trionfa in finale contro l’argentino Vilas, dopo un primo set di confusione, in una domenica piena di sole. La frangia ribelle, le magliette Fila aderenti al torso atletico, Panatta diventa un’icona nazional-popolare. E’ il primo tennista italiano vincente e teletrasmesso, il tennis conosce una frustata di popolarità. Alle elezioni di fine giugno il Pci supera il 34 per cento, e Panatta, che da giovane si presentava a Formia con Il Manifesto sotto il braccio per far arrabbiare Belardinelli, ex maestro del Duce, vince anche a Parigi, sempre da predestinato. Al primo turno salva di nuovo un matchpoint contro il ceko Pavel Hutka. Vince con Kuki, con Hrebec, di nuovo con Franulovic. Nei quarti batte l’imbattibile Borg, in semifinale Eddie Dibbs. Il giorno della finale si accorge di non avere più le sue amate scarpette Superga (gliene recapiteranno un paio nuovo, grazie alla collaborazione di un capitano dell’Alitalia, cinque minuti prima del match), e sua moglie Rosaria gli schiaccia la mano sinistra nella portiera. Ma lui, impunito e fortunato, negli spogliatoi chiama davanti allo specchio il suo avversario, Harold Solomon, ”lo gnomo maledetto”. ”Guardati, Solly - gli dice indicando le due immagini diseguali - lo specchio non sbaglia mai. Basso come sei, come credi di battermi?”. E perde, infatti, Solomon, in quattro set, contro un Panatta splendido e stremato. E’ un torneo dello Slam, quello che ha vinto Adriano, uno di quelli che valgono, che restano. In patria, telecatechizzati da Guido Oddo, i racchettari aumentano, si moltiplicano. A Wimbledon, Newcombe accoglie il neo-Immortale con un sorriso baffuto: ”Benvenuto nel club, ragazzo, era ora”. In agosto Adriano tocca il numero 4 delle classifiche mondiali, dopo aver aiutato l’Italia a passare i quarti di Coppa Davis con l’Inghilterra: nessun italiano nell’era moderna era arrivato così in alto, nessuno dopo di lui ci arriverà. [...] A settembre l’Italia vince anche le semifinali di Davis, contro l’Australia a Roma. E’ finale, ma con un problema: bisogna giocarla a Santiago, contro il Cile, qualificatosi perché l’Urss ha rifiutato di battersi contro la squadra che rappresenta il Paese del dittatore Pinochet. L’occasione di vincere l’Insalatiera è unica, ma politicamente non corretta. Lotta Continua lancia la campagna contraria alla trasferta, al circolo sportivo romano Giovanni Castello nasce il manifesto per il boicottaggio. Il Manifesto, Il Giorno, L’Unità, il TG2 di Andrea Barbato, Il Messaggero, L’Avanti, Tuttosport e Paese Sera si schierano per la rinuncia, la Gazzetta dello Sport traccheggia. ”Non si giocano volée/contro il boia Pinochet”, è lo slogan dei contrari. Nicola Pietrangeli, capitano della squadra, spinge e si sgola in tv per il sì, Berlinguer e Pajetta decidono di non insistere troppo con il no. Luis Corvalan, segretario del pc cileno in clandestinità, fa sapere che ”il popolo cileno non vuole il boicottaggio, perché il Pinochet ne uscirebbe rafforzato”. Giulio Onesti, presidente del Coni, predica che ”lo sport è una cosa, la politica si occupi di altro”. Giulio Andreotti, a capo dell’ennesimo monocolore DC, concede: ”Se le autorità sportive lo vogliono, si giochi pure in Cile”. Insomma, si parte. E si vince, facilmente come previsto: Barazzutti batte Fillol, Panatta (in maglietta rossa) batte Cornejo, Panatta e Bertolucci battono Fillol e Cornejo, il resto non conta. La foto dei ”moschettieri” azzurri che insieme a capitan Pietrangeli, sotto il sole caldo del 19 dicembre, alzano la coppona, fa il giro del mondo» (Stefano Semeraro, ”La Stampa” 15/7/2003) • «Io sono soddisfatto di com’ero. Certo, se fossi stato più continuo avrei potuto fare più risultati. Però ero un pericolo per i più forti e ne ero orgoglioso. Li preoccupavo, guardavano sempre da che parte del tabellone stavo [...] Ero un giocatore europeo, non ho mai avuto grande simpatia per i tornei americani. Sul piano stilistico non ero come Borg e Connors, però li battevo. E nessuno spiega che noi azzurri abbiamo giocato e perso tre finali fuori casa di Coppa Davis: fossero state in Italia le avremmo vinte» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 8/9/2002).