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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Pani Corrado

• Roma 4 marzo 1936, Roma 2 marzo 2005. Attore • «[...] attore aspro e scostante, artista di superba fisionomia, tempra severa, vocazione per le figure segnate e intoccabili [...] debuttò paradossalmente in arte interpretando da bambino il ruolo di Gesù alla Radio Vaticana. E però, a parte l´esordio nel cinema, e il battesimo sulla scena con Squarzina in Thè e simpatia di Anderson nel ’55, fu un altro genio grintoso dello spettacolo, Luchino Visconti, a segnare il suo destino, con Uno sguardo dal ponte di Miller nel -58, coinvolgendolo anche nel film Rocco e i suoi fratelli. Di lì a poco la strada di Pani sarebbe stata lastricata di incontri con maestri, di evoluzioni nel teatro d´arte, con preferenza per i palcoscenici pubblici. Il sodalizio col giovane Luca Ronconi nasce nel ’63 con La buona moglie di Goldoni, e c´è subito dopo un periodo che lo vede nei ranghi del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, con Le baruffe chiozzotte o con un lavoro da Enrico VI di Shakespeare, mentre lo Stabile di Torino lo impegna per volontà di Enriquez in più spettacoli. Attore versatile, ha il temperamento giusto per essere diretto in Brecht da Aldo Trionfo o in Hoffmansthal da Giancarlo Cobelli, per poi trovare la misura più mordace in regie di Mario Missiroli. Col maturarsi, la personalità di Pani ha distillato un´asciuttezza scambiata spesso (e a volte a torto) per malvagità, ma il suo era uno spirito calvinista d´attore intollerante messo al servizio via via di testi di Edward Albee (Chi ha paura di Virginia Woolf, Un equilibrio delicato), del superbo Trigorin nel Gabbiano di Cechov con regia di Scaparro, del fool di Re Lear o dell´Ercole-Roosevelt di Alcesti di Samuele di Savinio diretto da Ronconi col quale è stato anche Fedor Pavlovic nei Fratelli Karamazov (col precedente dello sceneggiato televisivo di Bolchi del ’69), o di Claggart in Billy Budd di Melville secondo Sequi, o nel Pirandello de L´amica delle mogli. Ma al di là di certo forte mestiere ufficiale, ricordiamo Pani nell´abnegazione più recente di uscite più indipendenti, per dar vita a connotati anomali, solitari, ed emblematica è l´ultima sortita nel ruolo di un coriaceo ebreo dei nostri giorni in Visiting Mr. Green di Jeff Baron. ”Non ho conti sospesi, nostalgie. Provare uno spettacolo è l´unico mio piacere” [...] disse. E aveva amicizie belle, di lungo corso. ”Con lui avevo un rapporto più che cinquantennale. La sua aria guascona era difensiva. Sapeva prendere i lati leggeri da persona seria” ricorda Ronconi. ” stato il mio più grande amico a teatro. Correttissimo, dolcissimo nonostante la ruvidezza. Era moderno e profondo” dice Valeria Moriconi. [...]» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 3/3/2005). «[...] era un attore di vecchia scuola. Avrebbe potuto dire di se stesso d’essere sommamente disinteressato al proprio mestiere, capace cioè d’uscire e di rientrare in una qualunque parte; e nello stesso tempo a esso sommamente devoto, fedele, come fosse non tanto un mestiere quanto un’arte, cioè una chiesa. Pani era dunque d’ogni personaggio intrinseco; e ogni personaggio era, si potrebbe dire, parte di lui. In che senso Corrado Pani era un attore di vecchia scuola? Mi riferisco all’impronta originaria. Fu quella di Luchino Visconti. Penso a Uno sguardo dal ponte [...] e penso a Rocco e i suoi fratelli del 1960. In fondo Visconti chiedeva ai suoi attori qualcosa di simile a ciò che avrebbe potuto chiedere Stanislavskij. Chiedeva umiltà, intelligenza del testo e in specie del personaggio, immedesimazione critica: qualcosa cioè di non troppo intellettuale e di non troppo emotivo. la ragione che lo portò al successo, specie in anni che dal punto di vista televisivo potremmo definire innocenti.Grande fu il successo di Pani in sceneggiati tv in cui il personaggio infantile o adolescente era molto importante ( penso a L’isola del tesoro o a Vita col padre). Questo personaggio lo recò con sé per tutto l’arco della sua carriera. Ad esso è da attribuire la sua disponibilità, la sua versatilità, l’essere stato protagonista con registi profondamente diversi tra loro come Aldo Trionfo (Peer Gynt o Puntila e il suo servo Matti), come Franco Enriquez, o addirittura Luca Ronconi (Quer pasticciaccio e I fratelli Karamazov). In quella sgraziata espressione, quella metafora del fantino che gli appiccicai, si potrebbe vedere un punto di verità. In Corrado Pani c’era un indubbio talento buffonesco, spavaldo, da guerriero che non si prende sul serio, soprattutto nel momento estremo, o eroico. E insomma, in termini più classici, un residuo che viene dall’atellana. [...]» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera” 3/3/2005). «[...] uno degli ultimi ”vecchi leoni” [...] Bello e trasgressivo sul grande, piccolo schermo e in teatro, aveva debuttato al cinema nel 1953 nel film Viale della speranza. Cinque anni dopo la svolta in palcoscenico con Uno sguardo dal ponte di Miller, diretto da Luchino Visconti. Ricordava Pani: ”Entrai in scena che non ero nessuno. A mezzanotte ero l’attor giovane più importante d’Italia”. Ma riguardo ai suoi esordi, gli piaceva raccontare: ”Il vero debutto è avvenuto quando studiavo dai gesuiti: avevo una bella voce nelle recite scolastiche e padre Amabile un giorno disse, riferendosi a me: ’Questo qui farà strada’”. Fu così che i suoi primi ”vagiti” d’attore li fece ai microfoni di Radio Vaticana, interpretando Gesù Bambino. Una carriera a 360 gradi, la sua, dai primi sceneggiati radiofonici al cinema, dal teatro alla televisione, dove si affacciò per la prima volta nel 1954 nel Dottor Antonio. Ha girato 50 film, dai ruoli di bel tenebroso nelle Notti bianche del ’57 e in Rocco e si suoi fratelli del ’61, fino al personaggio del giudice nel Pinocchio di Benigni nel 2002. Conquistò però la popolarità sul piccolo schermo, nella stagione dei grandi sceneggiati: L’isola del tesoro di Anton Giulio Majano ( 1959), Vita col padre e con la madre di Daniele D’Anza (1960), Il mulino del Po di Sandro Bolchi (1963) e la sua indimenticabile interpretazione del giovane Dmitrj nei Fratelli Karamazov (1969). Commentava quell’epoca di glamour: ”Le teenager mi riservavano le stesse urla da stadio che, pochi anni dopo, avrebbero rivolto ai Beatles”. Sul versante privato, fu quella l’epoca della breve ma intensa love story con Mina: era il 1961, si conobbero negli studi Rai di Roma. Lui rimase folgorato dalla sua bellezza e lei, già cantante famosa, perse letteralmente la testa. Ma lui era sposato con l’attrice Renata Monteduro e quando nel ’63 nacque ”Paciughino”, al secolo Massimiliano, fu scandalo. Vennero denunciati per concubinaggio e Mina per due anni fu ”epurata” dalla Rai. Accusato di essere un Don Giovanni, l’attore replicava: ”Ho sempre fatto una distinzione fra amore e sesso e i legami che ho avuto sono sempre stati importanti. Se decido di stare insieme a una persona ci sto fino in fondo”. La sua vera passione è sempre stata il palcoscenico, dove dagli anni 60 intraprese un percorso di successi tra i maestri della scena: dalle Baruffe chiozzotte di Goldoni con la regia di Giorgio Strehler (1964) al Giulio Cesare di Shakespeare con la regia di Zanussi (1987), dal Gabbiano di Cechov con la regia di Maurizio Scaparro (1999) ai Fratelli Karamazov con la regia di Luca Ronconi (1998) dove però tornò nel ruolo dell’anziano padre Fedor. Raccontava Pani divertito: ”Quando recitai come Dmitrj in tv, Salvo Randone, che in carriera aveva ricoperto entrambe le parti, mi disse ’Ti auguro un giorno di fare altrettanto’. Quando mi è arrivata la proposta di Ronconi, ho subito accettato”. Tra i registi che preferiva, Strehler: ” quello che mi ha insegnato di più”. [...]» (Emilia Costantini., ”Corriere della Sera” 3/3/2005). «[...] affermava di non considerarsi un attore. Leggeva moltissimo, si informava di tutto, seguiva la politica internazionale, la borsa, i motori, e ostentava di disprezzare i suoi colleghi che parlavano soltanto di copioni e di parti e di tournée. ”Guarda Umberto Orsini! - diceva del suo più grande amico, col quale era in perenne polemica - Che razza di vita fa? Ha la mia età ed è sempre in giro, va in scena tutte le sere e tutte le notti dorme in un albergo diverso, legge le critiche e ne tiene conto, studia la parte anche mentre gioca a tennis! Io invece sto bene a casa mia coi miei libri, se proprio mi vogliono deve essere alle mie condizioni, impegno breve, ben pagato, nessuna confidenza con gli altri della compagnia, nessuno spostamento”. [...] Corrado era attore da sempre, avendo esordito alla radio (Vaticana, come Gesù Bambino!) quando era piccolo e, dopo, avendo doppiato adolescenti (Dean Stockwell in Kim, per esempio). A vent’anni cominciò a fare teatro come attor giovane - Tè e simpatia per Squarzina (1955), Il mago della pioggia per G. Morandi (1956), ecc., fino alla grande occasione con Visconti come Rodolfo di Uno sguardo dal ponte (1958), coi capelli imbionditi secondo copione e un accento siciliano che dovette imparare partendo da zero. Era ancora acerbo ma se la cavò; molto più maturo apparve, anni dopo, quando lo chiamò Strehler, per le indimenticabili Baruffe chiozzotte (1964) e, dopo, per Il gioco dei potenti. Nel frattempo era diventato famoso grazie alla tv, quella in bianco e nero dei grandi sceneggiati: Il dottor Antonio (1954), L’isola del tesoro (1959), Il caso Mauritius (1961), questi ultimi diretti da Majano, e poi Graziella (1961), Il mulino del Po (1963), I fratelli Karamazov (1969), Bel Ami (1979), gli ultimi tre diretti da Bolchi, Una pistola in vendita (1971) diretto da Cottafavi. Altra notorietà gliela diedero le cronache grazie alla sua chiacchieratissima relazione con Mina, che allora era la ragazza più amata d’Italia, da cui sarebbe nato il figlio Massimiliano, chiamato voluttuosamente Paciughino dai rotocalchi. Non esistendo il divorzio, Corrado risultava ancora sposato, benché il suo connubio con una bella pariolina fosse durato pochissimo e non avesse prodotto rampolli; Mina scontò il pessimo esempio dato alle masse con un lungo bando dalla tv. [...] Erano i suoi anni ruggenti, in cui assumeva pose di macho, giocatore d’azzardo e spericolato pilota di grosse cilindrate; tuttavia la storia con Mina fu diversa [...] da come la vide la stampa rosa di allora. [...] Ci fu ancora molta tv negli Anni 60, 70 e 80; ci furono film e filmetti (il più notorio, Bora Bora di Liberatore; tra i recenti, ’O re di Luigi Magni (1989); ci fu il lavoro allo Stabile di Torino (1966-74), con Aldo Trionfo, che lo diresse tra l’altro nel Gabbiano e in Peer Gynt. Dopo altre avventure teatrali, anche a fianco di Marina Malfatti e della sua prediletta partner degli ultimi tempi Valeria Moriconi (un altro Gabbiano, diretto da Scaparro), trovò una dimora fissa allo Stabile di Roma dove i megaspettacoli di Ronconi gli garantivano l’esonero da quelle tournée che aborriva: fu in Re Lear (1995), nel Pasticciaccio brutto de via Merulana (1996), nei Fratelli Karamazov. La malattia con cui convisse per tanto tempo, non senza esibire grinta e orgoglio sardo (benché nato a Roma, era fiero delle sue origini), contribuì a renderlo saggio e riflessivo, ironico e all’occorrenza affettuoso. Del resto i suoi dolcissimi occhi azzurri avevano sempre smentito l’immagine dell’uomo deciso e prepotente che ogni tanto recitava nella vita» (Masolino D’Amico, ”La Stampa” 3/3/2005). «Il suo debutto da doppiatore avvenne a sedici anni, quando prestò la voce a Peter Pan della Disney. Poi, dopo aver preso la licenza liceale, quando non pensava più a calcare le scene e dedicava anima e corpo al rugby, fu chiamato da Squarzina per Tè e simpatia. L’anno seguente Visconti lo volle in Uno sguardo dal ponte, seguì la compagnia con Gian Maria Volonté che offrì la prima regia a Ronconi; intanto lui studiava filosofia all’università. ”La ditta fallì, così mi occupai per un po’ di supermercati: ne avevo due. Poi arrivò Strehler, che mi portò al Piccolo con Le baruffe chiozzotte, più tardi passai allo Stabile di Torino. [...] Fama da conquistatore, un figlio con Mina e due mogli. [...] ’L’innamoramento non è da me, mi annoia ferocemente. Sì, ho avuto qualche passionaccia, ma il grande sentimento che provo è il bene, il voler bene. E poi sono un maschilista, per niente moderno: ho sempre diviso le donne fra quelle con cui volevo vivere, pochissime, e quelle con cui volevo andare a letto, ben più numerose” [...] Suo padre, morto in guerra quando lui aveva sei anni, era militare, con quattro fratelli tutti ufficiali. ”Mia madre, che ho amato molto, era una vecchia fascista, ispettrice nazionale, autoritaria e dolcissima [...] La mia vera qualità? Riconosco gli stronzi a cinque chilometri di distanza [...] una volta riuscivo poco a dominarmi. Ho preso e dato cazzotti in tutte le maniere. Da ragazzo, quando ero di cattivo umore uscivo apposta per fare a botte. Mi piaceva” [...]» (Margherita D’Amico, ”Sette” n. 6/1998).