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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Papas Irene

• (Irene Lelekou) Chilomedion (Grecia) 3 settembre 1926. Attrice • «Volto da icona, occhi profondi come il mare, sorriso di un’artista delle idee con flemma remota, attrice-simbolo universale della coscienza della tragedia [...] ”Per trasmettere una verità e per fare spettacolo mi piacciono i posti, gli arsenali, più che i teatri. Così la Scuola di arti sceniche che dirigo ha iniziato la sua storia in un’ex acciaieria del porto di Sagunto dove ho fatto Le Troiane [...] Penso che la quotidianità del teatro appaghi un prodotto eccessivamente dalla parte del pubblico. Ci vogliono enormi investimenti, incentivi ai mestieri e ampi stimoli alla fantasia, per creare eventi importanti. E gli spettatori dovrebbero avere parte attiva, abolendo i clichè. Si pensa ad esempio che Cleopatra fosse sexy: ma quella conosceva 15 lingue, fronteggiava i romani, poteva fare l’amore con tutti e ognuno aveva bisogno del suo know how [...] Il teatro andrebbe assunto alle radici come lezione e racconto. Per me nasce dalle parabole di mia nonna, e più tardi dalle formule di Euripide che sono poesia, politica, umanità e ideologia. Il teatro è l’unica arte che fa toccare le persone. Non c’è nessuna minaccia da parte della virtual reality: è un fenomeno che può stancare. I computer in casa sono utili per fornire informazioni, ma il pensiero dove lo trovi? [...] L’ideale, stando nel cinema, è uno come Robert De Niro in Taxi Driver. Per questo io penso a una Scuola che non partorisca fotocopie, che aiuti invece a essere creduti. Io non rivendico nessun talento, ma suscito fiducia. molto [...] Scrivo da quando avevo otto anni. Ho un baule di versi. Li tengo bene in ordine. Ma resta una scrittura segreta, uno specchio intimo della mia testa. Io sono timida”» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 5/1/2003) • «Ha la faccia, ancora e sempre, di Penelope, Antigone, Giocasta, Ecuba. E la voce che dev’essere uscita dalla gola della Pizia, a Delfi, nel santuario di Apollo alto sul mare. Addosso, una specie di condanna: incarnare la femmina degli archetipi, la donna di dolore, la donna di vendetta, la donna di pianto, la donna di speranza. Si chiama con un nome fatidico, Irene. Nella sua lingua vuol dire Pace. [...] Cantante, aedo, testimone. [....] ”Il nostro sirtaki, come il flamenco andaluso o la canzone napoletana, sublima spesso una giornata di fatica, i problemi d’amore, la famiglia da mantenere e, perché no, il peso cupo dell’idea di una guerra o l’aborrita prospettiva della vecchiaia, della morte. Da noi, al ritmo di note semplici, arcane, gli uomini ballano tenendosi per le spalle. Poi uno di loro si stacca, guadagna il centro, danza da solo. Incurvato verso la terra, le braccia larghe, i salti a tempo. Gli altri battono le mani in cadenza, alcuni si inginocchiano. Una confessione, un atto di dolore, un addio giovinezza. la resa dei conti con il mistero, la stessa che allunga in uno strano sorriso la bocca delle statue di Fidia, le labbra dei bronzi di Riace, quelle dei toreri o dei cantaores andalusi, po’ arabi, un po’ cristiani e un po’ sefarditi... Ci si capisce. Tutto qui”» (Rita Sala, ”Il Messaggero” 18/7/2003) • «[...] I miei genitori erano insegnanti. Raccontavano le antiche storie a me e ai loro scolari. Al paese, le vedevo svolgersi ogni giorno. Le stesse. Le donne piangevano ai funerali e ridevano alle nozze, come nei vecchi testi. Il Mediterraneo ha una memoria resistente, una memoria comune. Per questo noi, anche i più ignoranti, troviamo facilmente la verità nella cavea di un teatro, o in un sirtaki, oppure la sera, all’orizzonte, guardando il mare dopo un piatto di pesce fritto e parecchi bicchieri di vino... roba nostra. L’importante è recuperarla al momento giusto» (Rita Sala, ”Il Messaggero” 10/5/2005).