Varie, 5 marzo 2002
PASSERA Corrado
PASSERA Corrado Como 30 dicembre 1954. Manager. Ministro dello Sviluppo nel governo Monti (2011-). Amministratore delegato di Banca Intesa dal 2002, incarico che ha assunto dopo aver lasciato le Poste spa, di cui è stato il numero uno operativo per quattro anni. In precedenza aveva lavorato nel settore del credito come amministratore delegato del Banco Ambroveneto (che si è poi fuso con la Cariplo dando vita a Banca Intesa) e prima ancora come vicepresidente del Credito Romagnolo. Si è formato alla società di consulenza McKinsey, dove è stato per cinque anni, dall’80 all’85, per poi passare al gruppo De Benedetti, prima come direttore generale della Cir, e poi, dal ’92 al ’96, come amministratore delegato della Olivetti. Si è occupato anche di editoria come direttore generale della Mondadori e amministratore delegato del gruppo Espresso. Bocconiano dell’anno 2000 (si laureò nel 1977) (“Corriere della Sera” 4/2/2001, 5/4/2004). «Per personalità, tipo di intelligenza, eclettismo, Passera è sicuramente il più interessante dei manager italiani della sua generazione. Curriculum notevolissimo, giovanissimo top manager debenedettiano nella fase terminale dell’avventura Olivetti, è stato ai vertici della Mondadori, di Ambroveneta, amministratore delegato delle Poste e poi di Banca Intesa. Grande tessitore di relazioni, eppure ancora incompiuto sul terreno della gestione del potere» (“Il Foglio” 22/7/2006). «Il Financial Times ha paragonato Corrado Passera al personaggio di Harvey Keitel di Pulp fiction: il pulitore. Dopo il regolamento di conti, arrivava a lui a togliere i cadaveri e rimettere tutto in ordine. Dicendo: “Sono Winston, risolvo problemi. A patto che facciate esattamente quello che dico”. Forse non era proprio il ruolo a cui pensava Giovanni Bazoli quando l’ha chiamato, nella primavera 2002, a prendersi cura di Intesa-Bci (come ancora si chiamava la banca risultante dalla fusione tra Ambroveneto, Cariplo e Banca Commerciale), ma gli calza a pennello. Questo cattolico cresciuto tra i boy-scout e allevato nelle grandi palestre dei top manager, che nel giro di quindici anni passa dall’alta consulenza a una serie record di incarichi gestionali ai vertici delle aziende più disparate, si infila i guanti e si mette appunto a ripulire» (“L’espresso” 14/8/2003). «È alto 1.90, fisico asciutto, falcata arcuata e decisionista. Da lui è nata l’idea di trasformare le Poste. Quando Passera ne era diventato da pochi mesi amministratore delegato. Il 25 febbraio 98 Passera stava mettendo in piedi una banca telefonica privata. Pochi mesi prima aveva lasciato la poltrona di amministratore delegato dell’Ambroveneto. Lo chiamarono Prodi, Ciampi e Maccanico (presidente del Consiglio e ministri del Tesoro e delle Poste di allora). Le Poste erano state trasformate in società per azioni, loro gli chiesero di risanarle. Perché accettò? “Mah, per il senso del dovere, direi. L’impressione di fare una cosa giusta, anche per il paese. E poi era un bel gesto di fiducia nei miei confronti, una bella sfida professionale...”. Passera viene da una famiglia cattolica comasca. In quel che dice senti l’eco lontana della cultura espressa da Manzoni, Rosmini e persino Antonio Stoppani, l’abate lecchese divulgatore del “Bel Paese”. Ed è un prete, professore di seminario, l’educatore da lui più interrogato e ammirato nell’adolescenza. È il mondo che insegna che si sta bene quando “si fa la cosa giusta”. Poi c’è la famiglia. Suo nonno, preso ad esempio, era medico e non si faceva pagare dai clienti poveri. “Se non fossi diventato dirigente d’azienda, avrei voluto fare il medico“. “Dopo il 68, a Como, ero stato presidente degli studenti per tre anni, tre anni fantastici. Già da allora mi sentivo lontano dai puri distruttori, da quelli che erano solo ‘anti’. La prima delusione fu l’anno in cui persino alla Bocconi venne dato il trenta politico a tutti. Ma al tempo stesso mi sembrava di essere il più estremista dei tradizionalisti. Mi piaceva ascoltare tutti e riuscire a guidare un progetto comune. C’era sempre un rapporto leale e un senso di rispetto tra avversari”. Poi, anche per lui come per molti giovani italiani di quegli anni, la scoperta dell’America come metafora del mondo degli adulti, dove si lotta per emergere, dove accanto al bene c’è il male, dove i buoni spesso le buscano dai cattivi: e la scoperta, allora, che buoni e cattivi sono alla pari soltanto nella meritocrazia. Che la società può essere ingiusta, che la posizione di partenza può essere diseguale, ma che alla fine chi è “bravo” (non “buono” o “cattivo”) viene avanti agli altri e può allora far valere i valori in cui crede. Laurea alla Bocconi, master alla Wharton University di Filadelfia, primo impiego alla McKinsey italiana, famosa pouponnière di dirigenti d’azienda. Di quel tempo gli restano pacchi di lettere di Cecilia, sei anni di fidanzamento e oggi sua moglie e madre dei suoi figli. Perché tornò in Italia? “Non ho mai pensato di non tornare. Questo è il mio paese e mi piace viverci. Anche perché ebbi subito grandi soddisfazioni nel lavoro. La stessa settimana in cui mi offrirono di diventare partner nella McKinsey (un’offerta che rappresentava un riconoscimento molto gratificante: avevo 30 anni), mi chiamò De Benedetti alla Cir. Ricordo ancora quel periodo di grandi sogni, di grandi speranze di creare qualcosa di nuovo: non soltanto ricchezza (e pensare che con Infostrada e Omnitel creammo decine di migliaia di miliardi di valore ex novo!), ma un nuovo modo di essere in azienda, nei rapporti tra azienda e società...”. Poi deve essere successo qualcosa su cui Passera preferisce sorvolare. Il giovane ottimista puritano comasco deve avere inghiottito qualche delusione. Dagli uomini, dai comportamenti. “Sono stato vaccinato”, dice senza sorridere:“Avevo accettato perché l’azienda stava per fallire: ma non mi aspettavo problemi tanto gravi, addirittura con la giustizia. Ho lavorato giorno e notte. Mi sentivo internamente diviso. Mia moglie mi disse che non poteva tollerare di vedermi tanto angosciato e in conflitto con me stesso. Così, tre anni dopo, quando l’azienda avviata al risanamento tornò ad avere un grande patrimonio, me ne andai”. Passera viene cooptato all’Ambroveneto da un altro di quei cattolici difficili che hanno segnato la storia maggiore e minore d’Italia, Giovanni Bazoli. C’è nei due l’aspirazione all’impegno per la collettività, la voglia di ottenere con la virtù risultati sfuggiti ad altri, l’insofferenza verso i prepotenti, i furbastri, i cinici, gli sleali. Si comincia a capire cos’è successo quando un tipo così è arrivato alle Poste il giorno stesso in cui sono state trasformate in una società per azioni, libera dalle pastoie della burocrazia pubblica» (Gianluigi Melega, “L’espresso” 12/4/2001).