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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Pavarotti Luciano

• Modena 12 ottobre 1935, 6 settembre 2007. Tenore • «[...] ”I ricordi più belli? Il momento che ti dice: sei un tenore. Cioè il mio debutto, 29 aprile 1961, a Reggio Emilia. Ero Rodolfo in Bohème, diretto da Molinari Pradelli. Un trionfo. Poi l’incontro con Karajan, che mi guidò come la chioccia guida un pulcino. Conservo ricordi splendidi anche dei teatri di New York, Londra, Vienna, Parigi... [...] Oggi nessuno prende rischi. Io invece... Mi chiamavano The Challenger. Facevo un’opera sconosciuta, incidevo un disco di arie non note, cantavo Rigoletto quando nessuno volevo farlo. [...]”. [...] la sua fortuna più grande, dopo il dono della voce? ”Vivere tra le donne. Madre, zie, nonna, bisnonna, sorella. Mia moglie Adua, le mie cognate, le nostre figlie. Poi Nicoletta. [...] Mi vergognerei di chiedere più di ciò che ho. Ma dovendo far finta di non avere ricevuto niente, direi che vorrei essere un grande pittore o un grande medico. Però un sogno canoro ce l’avrei. Un duetto con Mina: ho tentato invano di convincerla. Casomai in disco. Forse, chissà. Nel frattempo mi onoro di esserne amico [...] A chi mi attacca per il crossover chiedo: sono più brutte le canzoni di Eric Clapton o opere scritte oggi da qualcuno che evita la melodia perché glielo impone la modernità? Quando canto capolavori di canzoni come Caruso o Miserere mi sento bene. Con Pavarotti and Friends mi sono divertito facendo musica che considero molto seria [...]”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 10/10/2005). L’ex manager Herbert Breslin Breslin lo descrive «come un ragazzino petulante, che pretendeva di essere accompagnato dal dentista anche quando lo studio medico stava ad una strada da casa sua. Temeva il cibo cinese, e quindi durante una visita nel ”Regno di mezzo” si portò dietro un intero ristorante per sfamarlo. Per chiamare i suoi collaboratori usava l’appellativo confidenziale ”stupido”, e definiva Nicoletta Mantovani, sua attuale moglie e madre della figlia Alice, ”la favorita nel mio harem”. [...] Era così attento al decoro, che nello sfortunato debutto sullo scherno con la commedia Yes, Giorgio, ”non voleva fare nulla che permettesse alla gente di ridere di lui. Visto che era il protagonista di uno spettacolo comico, questo divenne subito un problema piuttosto serio”. Secondo Breslin, quando nel 1967 aveva conosciuto Pavarotti, il tenore era già un cantante eccezionale. Però non sapeva stare sul palco, era sconosciuto fuori dal mondo dell’opera, ed era così ingenuo da non riuscirsi a muovere nel feroce business della musica. Lui, l’agente, si era assunto volentieri il compito di ”guidarlo”, facendo salire i suoi compensi da 5.000 dollari a sera fino ad un milione, ad esempio per i famosi concerti dei Tre tenori. Lo aveva reso popolare oltre i confini abituali dell’opera, portandolo dai concerti al Madison Square Garden fino agli spettacoli televisivi come The Tonight Show, e agli spot pubblicitari per l’American Express. Soldi e fama come non si erano mai visti prima in questo mondo. Breslin ha ”guidato” anche Placido Domingo, le soprano Elisabeth Schwarzkopf e Joan Sutherland, Marilyn Horne, Itzhak Perlman, Leonard Slatkin, Georg Solti, e non è tenero con nessuno. Domingo, per esempio, ”si sogna di essere Pavarotti: non ha mai avuto una voce come lui”. [...] Il suo bersaglio preferito, però, resta Pavarotti [...] ”ragazzo molto bello, semplice, amorevole, che è diventato una superstar molto determinata, aggressiva e in qualche modo infelice”» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 4/8/2004). I primi a credere in lui furono i genitori: «La mamma. Anche il papà era un tenore e tra noi c’erano solo vent’anni di differenza. [...] Lui non era riuscito ad affermarsi per la strada maestra. Credeva in me, certo, ma mi diceva: intanto parti, vai a Roma a studiare, per il canto c’è tempo. Ma la mamma ebbe un presagio, lei ne aveva sempre. Che vada a Roma, ma mandiamolo anche da Pola che è un tenore bravissimo, male non gli farà di certo. E così è stato. Ma lo sa lei quante tribolazioni ha dovuto patire papà? Era un corista e aveva i suoi amici-nemici. Qualcuno arrivò persino a dirgli: Fernando, ma è vero che paghi per far cantare tuo figlio? Lui questi signori non li perdonò mai. A Modena, storicamente, ci sono due cantanti, Mirella Freni (che era ai funerali di Fernando Pavarotti, ndr) e io. Ma all’inizio ci hanno strigliato, sapesse... Dicevano: dove vogliono arrivare quei due con quelle vocine lì? [...] A 12 anni rimasi in coma per 15 giorni. Fu lì che cominciai a ringraziare Dio, perché c’ero ancora. Tutto il resto è stato secondario» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 3/6/2002). Il 14 luglio 2001 fu applaudito da 65.000 ad Hyde Park: «La traslazione di Pavarotti sul palco avviene come quella di Giovanni Paolo II durante il suo recente storico pellegrinaggio in Ucraina: su un montacarichi. I motivi in questo caso, però, sono esclusivamente contrattuali. Per non compromettere il rendimento delle sue preziose corde vocali, gli avvocati dell’artista hanno stabilito che quando si deve esibire non deve percorrere a piedi una distanza maggiore di 10 metri» (Renzo Cianfanelli, ”Corriere della Sera” 15/7/2001). Vedi anche: Giorgio Dell’Arti, ”Sette” n. 19/1996; Luca Goldoni, ”Sette” n. 22/1998;