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 2002  marzo 05 Martedì calendario

PELLICIOLI

PELLICIOLI Lorenzo Alzano Lombardo (Bergamo) 29 luglio 1951. Manager. Dal 2005 amministratore delegato della holdinge De Agostini, dal luglio 2010 ricopre la stessa carica anche per la De Agostini editore. Presidente di Lottomatica (fino all’aprile 2009 anche amministratore delegato). Ex amministratore delegato della Seat-Pagine Gialle • «[...] manager simbolo della New Economy [...] Nel 1997, quando un gruppo di investitori, tra cui la casa editrice di Novara, rilevarono la Seat Pagine Gialle dalla Stet non ancora privatizzata, Pellicioli fu scelto per guidare la nuova fase di sviluppo. In pochi si sarebbero aspettati che una delle prime privatizzazioni del mercato italiano in soli quattro anni si trasformasse nel più profittevole leveraged buy out della storia recente. Complice la bolla finanziaria che gonfiò a dismisura le quotazioni di Borsa della Seat: nella famosa fusione con Tin.it, scorporata per l’occasione dalla Telecom gestione Roberto Colaninno, nel febbraio 2000 la società che edita le Pagine Gialle è stata valutata più di 20 miliardi di euro. E quando per la Seat si trattò di acquistare la maggioranza del portale Virgilio proprio dalla De Agostini, Pellicioli non esitò a valutare la società la stratosferica cifra di 2,6 miliardi di euro. Un record mai più toccato in seguito. Erano i tempi in cui la Seat in Borsa valeva più dell’Enel e Pellicioli guardava dall’alto in basso Franco Tatò, all’epoca amministratore delegato del gruppo elettrico. Alla fine del processo la vendita alla Telecom fruttò a Pellicioli un incasso complessivo pari a 170 miliardi di lire, che passò alla storia come la prima mega stock option degli anni Duemila. Poi la bolla comincia a sgonfiarsi e l’11 settembre 2001 Pellicioli esce di scena, a causa dell’ingresso della Pirelli nell´azionariato del gruppo Olivetti-Telecom che segna il passaggio di testimone dalla gestione Colaninno a quella di Marco Tronchetti Provera. Con Pellicioli tramonta anche il sogno del terzo polo televisivo, che si stava costruendo intorno a La7 e che lo aveva visto protagonista di accese polemiche oltre che di una dura contrapposizione con la Mediaset di Silvio Berlusconi. [...]» (Giovanni Pons, ”la Repubblica” 5/11/2005) • «Era uscito di scena, in punta di piedi, l’11 settembre del 2001, una data che non merita commenti. tornato in pista il 4 di novembre 2005, 87° anniversario della vittoria, quando uno stringato bollettino da Novara informava i mercati che Lorenzo Pellicioli da Alzano Lombardo, provincia di Bergamo, classe 1951, segno zodiacale Leone, aveva assunto l’incarico di amministratore delegato della De Agostini, una holding che controlla, tra l’altro, Toro e Lottomatica. Ma anche stavolta tutto è avvenuto sottovoce, come è giusto che sia per un manager che si rispetta. Uno che, recita il suo pensiero, ha il diritto di scegliersi l’azienda perché è quest’ultima che ha bisogno del manager. Ma che ha il dovere di non guardarsi alle spalle, a inseguire sogni o progetti del passato. Nessuno s’illuda (o speri) che Lorenzo il sorridente tiri fuori dal cassetto piani di conquista dell’etere o del Corsera. Anche perché il gruppo di Novara oggi non è solo editoria, compresa la tv: anzi, finanza, giochi e lotterie pesano più delle attività tradizionali e dell’etere. E poi, che volete che importi alla famiglia Pellicioli delle miserie di casa nostra? Lui, da mezzo torinese d’elezione qual è, ha scelto di metter casa su a Parigi e per la maison di campagna ha scelto la Provenza, mica il Chianti. I cinque figli suoi e della sua compagna di italiano hanno il passaporto o poco più: la primogenita lavora a Miami, la seconda a Barcellona. La terzogenita insegna inglese agli immigrati in un ghetto di Washington. E gli ultimi due vivono tra New York e Parigi. [...] prima di partire per la nuova avventura, Pellicioli si è ricordato di staccare dalla parete della sua casa parigina un quadro, quello che lo ha accompagnato in tutti gli uffici (non pochi) che ha frequentato nella sua carriera di dirigente di successo, prima di diventare un ricco felice, che può concedersi il lusso di smettere di lavorare a cinquant’anni. E di riprendere a cinquantacinque. Che raffigura il prezioso quadretto? un semplice ritaglio dell’Unità degli anni Settanta che riporta un corsivo di Fortebraccio dedicato a due giovani politici in erba che Valerio Zanone aveva mandato in Rai per dimostrare che i giovani liberali non erano un prodotto dell’immaginazione: ”L’altra sera – si legge – i liberali hanno mandato in video due bambini che per l’anagrafe si chiamano Lorenzo Pellicioli e Alberico Maiatico, ma in casa sono affettuosamente detti Mimmo e Mammolo…”. Articoli così fanno la differenza: o ti stroncano oppure, se hai spalle robuste, ti danno la carica giusta. E Pellicioli ha le spalle corazzate: l’ha dimostrato in Seat, ma non solo. Nella sua carriera ha schivato i siluri di Romiti, appreso l’arte del comunicatore da Luca di Montezemolo, tenuto testa all’armata Mediaset; subìto qualche coltellata, a tradimento, dagli amici (non parla volentieri della stagione dell’Espresso, o di Eugenio Scalfari); raccolto al volo la ciambella di salvataggio lanciatagli da Franco Tatò e salvato dal naufragio la flotta Costa. Ha lavorato, con grande soddisfazione, con Roberto Colaninno, dopo aver spremuto valore (prego, ”creato valore – obietterebbe subito – per tutti i soci, anche quelli di minoranza”) più di ogni altro dalla ”new economy”. Per poi levare il disturbo quando ha incrociato un altro ex giovane liberale (che non conosceva): Marco Tronchetti Provera. Di colpi di scena e di avventure, insomma, ne ha vissute a iosa. [...] Un contadino, che da sempre si alza alle 5-5.30 (magari per migliorare l’inglese, come ai tempi della trasferta americana per la Costa), che l’agricoltura la interpreta come un moderno Cavour, come un’officina a cielo aperto da migliorare con tenacia e capitali: una grande tenuta agricola a Saint-Remy de Provence, ai piedi delle ”Alpilles”, quelle aspre colline che Vincent van Gogh dipingeva con furia febbrile (più di 150 olii) dalla sua stanza dell’ospedale di Saint-Paul de Mausole, nei mesi che precedettero il suo suicidio. Qui [...] Pellicioli ha diretto le operazioni in grande stile che hanno trasformato cinque ettari di collina in un uliveto che si specchia nell’azzurro di Provenza. [...] Lorenzo, manager vincente, giornalista mancato, non ne ha sbagliata una. O quasi. Perché dietro quella faccia da eterno ottimista, c’è uno che nell’economia di mercato ci sguazza come un pesce nell’acqua o un vietcong nella giungla. Uno che si definisce ”un capitalista convinto”, che ha immaginato, ai tempi de La 7, una tv di sinistra perché, ai tempi di Berlusconi rampante, era il prodotto che mancava. E che avrebbe fatto, viceversa, una tv di destra se la realtà fosse stata l’opposto. Un liberale, insomma, che ritiene l’opposizione altrettanto importante della maggioranza. O, se preferite, un giornalista mancato che patisce quando tutto fila liscio e manca la notizia. Già, tutto comincia dalla vocazione di giornalista. O forse prima, addirittura nel 1966, quando il primogenito di Luigi e Maria Teresa, si iscrive alla gioventù liberale. Anni duri, quelli dell’istituto tecnico Paleocapa, in mezzo ai primi fuochi della contestazione. Ma un tirocinio prezioso che, indirettamente, apre a Pellicioli le porte del Giornale di Bergamo, per due terzi dell’Unione industriale, per un terzo dell’Ingegnere che, a quei tempi, per un bergamasco voleva dire Carlo Pesenti. Alla guida degli industriali c’era il dottor Cima, fedelissimo di Pesenti, ma anche convinto che il direttore, il missino Alessandro Minardi, avesse spostato la linea del giornale troppo a destra. Perciò, a 21 anni non ancora compiuti, Pellicioli viene mandato in prima linea, pardon in redazione, per occuparsi dei decreti delegati. Sono gli anni delle prime, timide riforme dc, quelli dei decreti Malfatti, contestati a sinistra ma giudicati una sorta di lasciapassare per i ”comunisti” dall’intransigente Minardi. A Pellicioli viene assegnata una stanza, lontano dal cuore della cronaca, per ricevere le delegazioni dei genitori. Ma nei giornali, si sa, l’occasione arriva, prima o poi. Per il giovane Pellicioli il maestro ha il nome di Francesco Barbieri, caporedattore in cronaca, l’uomo che ha in mano la macchina. con lui che Pellicioli si convince sempre di più che il suo futuro sarà tutto penna e taccuino, ospedali, commissariati e tribunali, da buon cronista di ”nera”, anche se, confesserà, ”facevo fatica a scrivere. Ogni pezzo mi costava ore di fatica”. E Minardi, al momento di assumerlo, frena: ”Prima fai il militare”. Al ritorno dalla naja, però, c’è una novità: il ”protettore”, Francesco Barbieri, è passato a Bergamo tv, emittente della Popolare di Bergamo, una delle tre potenze assolute della città, assieme all’Italcementi e all’onnipresente Curia. Pellicioli lo segue. il ”78, l’anno di Fortebraccio. Ma è anche l’anno in cui il giovane liberale scopre che il giornalismo non è tutto: a Bergamo tv presto si accorgono della sua abilità organizzativa. E, soprattutto, della sua capacità di venditore, appresa alla scuola del nonno, venditore di ceri e candele, che lui accompagna da ragazzino nel giro dei clienti: i parroci della bergamasca, gente da riverire e da coltivare con qualche astuzia se si vogliono fare buoni affari. All’inizio degli anni Ottanta Pellicioli, direttore dei programmi, è un trentenne in carriera, pronto ad aspettare l’occasione giusta per salire sul tram del successo. Questa arriva quando la Manzoni, allora nell’orbita di Flaminio Piccoli, acquista l’emittente bergamasca. La tv privata è ancora in fasce o poco più. Ma ha davanti a sé spazi infiniti, altro che la carta stampata. Pellicioli fa allora il primo, decisivo, degli incontri che contano. Quello con Luca di Montezemolo che lo porta alla Publikompass, ammiraglia della pubblicità Fiat, sezione tv. Sono gli anni della guerra per il controllo dell’etere. Pellicioli guida la squadra di Italia 1, allora di Rusconi. Sembra un grande affare, e per la Fiat lo è. Per Rusconi meno. Quando l’editore alza bandiera bianca, sembra fatta: le truppe dell’Avvocato sbarcheranno nelle tv private. L’affare lo conclude Luca di Montezemolo, Gianni e Umberto sono d’accordo, Luigi Gabetti pure. Ma Cesare Romiti dice no. E l’affare salta. Montezemolo emigra in Cinzano, lui, il fedele di Alzano Lombardo sta per seguirlo quando Romiti gli manda a dire che per lui ha altri programmi. E così Pellicioli finisce in Mkt, società al 51 per cento Fiat, il resto di Mondadori, che muove i primi passi nel campo delle sponsorizzazioni. Qui, ecco il secondo incontro fatale: Leonardo Mondadori. I due s’intendono di pelle, così Lorenzo l’irrequieto fa le valigie alla volta di Segrate. ”Mi bastarono 15 giorni – dirà in seguito – per capire che Retequattro stava per mandare a picco la casa editrice”. La morale? Pellicioli organizza una campagna degna di Rommel: finge una grande offensiva per risanare l’azienda. In realtà prepara il terreno alla grande ritirata sparando le ultime cartucce (sconti a raffica) che gonfiano il fatturato e complicano la vita ai concorrenti. Tempo quattro mesi e la tv di Segrate finisce nelle mani di Silvio Berlusconi, con la mediazione di Enrico Cuccia. Pellicioli non ha ancora 34 anni, ma è già un boss. All’apparenza è invincibile, in realtà, quando oserà toccare i fili della pubblicità unificando le varie concessionarie del polo Mondadori-L’Espresso, qualcosa si sblocca. Alla fine degli anni Ottanta, l’ex ragazzo d’oro della pubblicità si trova attaccato da tutte le parti: da Berlusconi, nuovo socio di Segrate; ma anche dagli ”amici” dell’Espresso. Ci vogliono spalle solide per superare un momento del genere: nel giro di pochi anni Pellicioli ha detto no a Romiti (uno che non dimentica certi affronti), patisce l’ostilità dichiarata di Berlusconi (che non digerisce i quattrini sprecati nella guerra del dumping tv) e non può contare sulla solidarietà del gruppo Cir. Non resta che far le valigie e cambiar vita: dalla pubblicità alle navi di Costa Crociere. Bella mossa, sia perché gli permette di varcar l’Oceano e di farsi dimenticare per un po’ (tecnica preziosa, da tenere a mente). Sia perché, cosa che non guasta, Pellicioli ha lo stipendio in dollari proprio mentre la lira va in mille pezzi. Tutto finito? No, il richiamo della foresta si fa sentire ancora. ”Già dal ”93 – ricorderà – quando mi capitava di discutere con il mio amico Phil Cuneo gli dicevo che in Italia c’era un solo gruppo di pubblicità per cui valeva la pena lavorare: la Seat. ”Si vede che non sai che stipendi hanno nell’area pubblica, mi rispondeva’”. Ma il pubblico, negli anni della grande rincorsa all’Europa, sta per passare di moda. Nel ”96 Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi decidono di mettere in cantiere la privatizzazione di Seat. Cuneo telefona a Pellicioli: ”Se ci stai a far l’amministratore delegato, mi metto a cercare i soldi”. La risposta è quasi immediata. Lorenzo il veloce si mette in contatto con i Costa: prepariamoci all’addio, me ne vado prima della cessione della vostra azienda agli americani. Nell’estate del ”97 la Seat passa alla Otto, la cordata d’oro allestita da Cuneo. Ne fanno parte: Bain Capital, Comit, De Agostini, la Investitori Associati, Bc Partners, Citicorp, Abn Amro e Sofipa. Lo Stato incassa dalla cessione del 61 per cento della società 853,7 milioni di euro; per Otto la spesa è minore perché Telecom rileva il 20 per cento della stessa Otto per 170 milioni. Sono cifre che impallidiscono di fronte al fiume di denaro che gira attorno alla società delle Pagine Gialle negli anni a venire. Nelle tasche degli azionisti della Huit e della Huit II, azionisti di controllo di Seat, finiranno tre anni dopo, la bellezza di 6,71 miliardi di euro. Al momento del massimo splendore, l’annuncio della fusione tra Seat e Tin.it , la società arriverà a capitalizzare la bellezza di 72 miliardi, 150 volte tanto quanto incassato da Prodi e Ciampi. ”Questo è il mercato”, si limita a ripetere Pellicioli. Lui si è limitato a fare il suo dovere di manager: in un anno e mezzo il margine operativo della Seat è aumentato di due volte. Merito del taglio dei costi imposto a un’azienda che da sempre foraggiava di quattrini i giornali degli amici e degli amici degli amici. Poi ci sono i nuovi prodotti, a partire dai servizi via telefono. Più, naturalmente, lo sbarco in Internet, l’acquisto di Virgilio, la campagna acquisti in Europa, carta contro carta. Più la tv in Italia, quella Tmc che fa gridare allo scandalo il Polo. Ma allora Pellicioli sarà già un manager di Telecom Italia, sotto Roberto Colaninno. Deve esserlo, perché così prevede il contratto che lo ha reso un uomo ricco. Scoprirà, con piacere, che con il numero uno di Telecom Italia può andare d’accordo. Anzi, meglio lui degli altri big con cui ha lavorato. Il resto è più cronaca che storia. L’11 settembre del 2001, verso le 10 ora italiana, Lorenzo Pellicioli si dimette dalla nuova Telecom Italia, quella che Marco Tronchetti Provera ha rilevato a caro prezzo da Colaninno e Gnutti. Un’ora dopo il consiglio di amministrazione della Seat approva un cambio delle strategie de La7: il terzo polo, quello che prevede alla guida dell’informazione Gad Lerner e annovera in squadra Fabio Fazio, finisce nel cassetto. Pellicioli è ancora negli uffici di Matrix, l’ultima contestata acquisizione della sua gestione, quando arriva la notizia dell’attentato alle Torri Gemelle: è davvero finita un’epoca [...]» (Ugo Bertone, ”Il Foglio” 19/11/2005).