Varie, 5 marzo 2002
PIANO
PIANO Renzo Genova 14 settembre 1937. Architetto. Famiglia di costruttori, si laureò in architettura al Politecnico di Milano, diventando allievo di Franco Albini e Marco Zanuso. Tra i suoi progetti: il Beaubourg di Parigi (con Richard Rogers), l’Auditorium del Lingotto di Torino, la Fondazione Beyeler di Basilea, la ricostruzione di Postdamer Platz a Berlino, il Museo della collezione De Menil ad Houston, il Centro culturale Tjibaou in Nuova Caledonia, la nuova sede del «New York Times» e l’ampliamento della Morgan Library a New York, la London Bridge Tower e il complesso residenziale di St.Giles di Londra, la nuova Opera di Atene • «Cosmopolita altrove, pegliese a Genova. La cafonata maggiore resta quella galoppata dalla periferia per prendersi palazzo Doria come primo studione col suo primo paccone di dollaroni. Gira come un doge, parla inglese, sempre di Pegli resterà. Nasce geometra della tensostruttura, fili di ferro con gli estrogeni che invece del bucato tengono su i tendoni, come i berberi mille anni prima di lui e per scopi più utili. Mai detto belìn una volta nella vita. Qualche parbleu a Parigi e, dicono i detrattori, scheise a Berlino, fack a New York. A Osaka, gheishe. Le mamme lo adorano. Nel monumento ideale al prestigio del made in Italy figura Piano che luma il rigoglìo della Loren dal sedile di una Ferrari con Pavarotti di fianco e un piccolo Ferré di carne sul radiatore. Resta il fatto che il laureato di Pegli ha deturpato il porto antico di Genova. Da qui il soprannome: ”Tre pali un bigo”. Ha fatto una piazza vuota, cento panchine vuote, una tensostruttura da ridere, un ascensore che sale e scende per il bigo senza nessuno sopra e ha chiamato il tutto ristrutturazione. Adesso è una discreta copia del porto di Barletta. Ma siccome l’ha chiamata ristrutturazione lui, l’han chiamata così anche gli altri. Uno dice sempre: ”Ooohhh, che bella ristrutturazione!”. Se sono in due quell’altro fa: ”Per forza, è di Renzo Piano”. All’estero è una bomba. Ma alla Potsdamer platz i tedeschi, si legge, stanno niente niente incazzandosi. Belìn, pardon, parbleu! » (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «[...] i suoi lavori, frutto di quella che lui definisce ”la maniacale e ostinata guerra alla gravità, la mia voglia di volare” [...] ”Accanto al senso di levità, di leggerezza, di instabilità”, dice l’architetto, che nel 1999 è stato insignito del premio Pritzker, considerato il Nobel per l’architettura, ”mi interessava rendere il senso di complessità del nostro lavoro [...] L’architetto è un mestiere complesso, nel quale convergono talmente tante competenze che uno deve essere generalista e al tempo stesso avere molte specializzazioni. Impari per quaranta, cinquant’anni. In questa prospettiva ai sessanta sei ancora un ragazzo, entri nella fase in cui cominci ad aver capito qualcosa. Bisognerebbe campare un secolo e mezzo, i primi cinquant’anni per imparare, i secondi per fare l’architetto e gli ultimi per cercare di trasmettere agli altri quello che hai messo insieme. Il percorso è lunghissimo”. Dal parigino Beauborg, l’opera che, trentenne, gli diede la celebrità, alle magiche pagode ovali di legno del centro Culturale J. M. Yjibaou di Nuomeà, in Nuova Zelanda; dalla [...] basilica di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo, all’incredibile aeroporto di Osaka, capace perfino di superare indenne un terremoto: il filo rosso che sembra legare l’opera di Piano è soprattutto quello della curiosità intellettuale, della sperimentazione, dell’apertura mentale priva di dogmi: ”L’importante è non mettersi in testa, a ogni occasione, di voler a ogni costo far prevalere la propria sigla, la cosiddetta griffe, per far vedere quanto sei bravo. In primo luogo perché tradisci la committenza. Ma anche per una ragione più generale. Un architetto che si chiude in questa trappola tradisce se stesso, si chiude in un meccanismo autoreferenziale [...] mi piace l’idea di non assomigliare a nessuno, nemmeno a me stesso. Questo perché ogni avventura è talmente diversa che non occorre preoccuparsi, tanto il trait-d’union viene fuori da solo, sia pure nella più totale varietà” [...] Piano non rinuncia all’architettura come utopia: ” questa la sua grande scommessa, la sua forza e la sua condanna: attraverso il lavoro che fai, cerchi di creare delle condizioni di vita” [...]» (Paolo Valentino, ”Sette” n. 23/2000). Coinvolto in numerose polemiche: «Leggende metropolitane, bufale. Non mi ero neppure preoccupato di intervenire fino a quando ho visto che perfino una persona seria come Leonardo Benevolo le credeva vere. Allora ho chiarito che il progetto Punta Perotti non è mio e che l’isola dell’aeroporto di Osaka semplicemente non sta affondando, né di undici né di un metro. stata l’invenzione di un’agenzia a corto di notizie vere. Del resto, se fosse vero, ne parlerebbe la stampa di tutto il mondo e io avrei smesso di lavorare» (’la Repubblica” 21/4/2001).