5 marzo 2002
PICCO Giandomenico
PICCO Giandomenico. Nato a Udine nel 1948. Diplomatico. Per oltre due decenni alto funzionario e incaricato d’affari delle Nazioni Unite per il Medio Oriente e l’Asia Centrale, profondo conoscitore dell’Afghanistan dove ha condotto per l’Onu numerosi negoziati di pace e fra l’Iran e l’Iraq. «[...] Finì sulle prime pagine del ”New York Times” [...] quando, per conto dell’Onu, riuscì a riportare a casa sani e salvi gli ostaggi occidentali in mano agli sciiti del Libano. [...] Da capo-negoziatore delle Nazioni Unite, Picco passa a fare il ”ministro degli Esteri” della Ferruzzi. Apre una società di consulenze globali [...] Si occupa di petrolio [...] è richiamato in servizio per riaprire i canali diplomatici tra Stati Uniti e Iran [...] ”figaro” della diplomazia: lo cercano da Gerusalemme, lo cercano da Bagdad e da Teheran, lo consultano i più importanti esponenti del Dipartimento di Stato. Il suo ufficio nel cuore di Manhattan [...] si trasforma in un sancta sanctorum dei giochi occulti del Medio Oriente [...] papà farmacista [...] a Enemonzo, un piccolo paese della Carnia [...] ”[...] Fui assunto dall’Onu nel modo più banale, compilando la domanda e partendo dal gradino più basso della carriera amministrativa [...]” [...] Il giovane funzionario italiano che parlava tante lingue e che non amava fare il diplomatico a tavolino, ma piuttosto, come disse De Cuellar, ”il soldato”, piacque subito al nuovo segretario generale. Prima missione: Cipro. Doveva mettere d’accordo greci e turchi. Picco strinse un accordo segreto con il presidente della Turchia, ma lo fece sopra la testa dei ciprioti, che lo boicottarono. Un fallimento. Tornò a New York, imparò la lezione, ed ebbe un secondo incarico: l’Afghanistan dopo l’invasione russa del 1980. Otto anni di trattative, che questa volta si conclusero con un successo. [...] ”Il 1988 fu un anno incredibile. Per alcuni mesi feci una vita assurda. Dal lunedì al venerdì negoziavo a Ginevra con i sovietici e i pakistani. Nel week-end volavo a New York e dalle prime ore del sabato fino alla domenica pomeriggio lavoravo con Perez de Cuellar a comporre il conflitto tra Iran e Iraq. Mi ricordo che a fine luglio ricevetti un messaggio da Washington, dall’allora segretario di Stato George Shultz, che mi suggeriva di sabotare il negoziato perché l’America voleva che la guerra continuasse. Vissi ore di crisi profonda. [...] Perez mi lasciò libero di scegliere, io decisi di andare avanti [...]”. Promosso sul campo direttore della segreteria generale dell’Onu, Picco si tuffò in un’altra avventura: appunto la liberazione degli ostaggi in Libano. Quattro anni di tira e molla con i terroristi, con i servizi segreti di mezzo mondo, con i governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Germania, della Repubblica islamica, della Siria, d’Israele e dell’Iraq. Quattro anni di speranze e di angosce. ”La prima volta che arrivai a Beirut ebbi veramente paura. Mi incappucciarono, mi chiusero nel bagagliaio di una Mercedes e l’auto partì. Il problema non era dove stavamo andando, ma se chi mi aveva preso fosse la persona giusta” [...] un alieno per l’establishment della politica estera italiana, perché non ha padrini politici [...]» (Pino Buongiorno, ”Ventiquattro” gennaio 2001). «[...] Gli uomini non sono mai imparziali. E allora, perché dovrebbero esserlo i mediatori? L’importante non è che i diplomatici siano equidistanti, ma che abbiano credibilità e proposte concrete da offrire alle due parti in conflitto [...]» (Niccolò D’Aquino, ”Capital” giugno 1999).