Varie, 5 marzo 2002
PIETRANGELI
PIETRANGELI Nicola Tunisi (Tunisia) 11 settembre 1933. Ex tennista. Vincitore del Roland Garros nel 1959 e nel 1960 (sconfitto in finale da Manuel Santana nel 1961 e nel 1964). Capitano della squadra italiana che vinse la coppa Davis nel 1976. "Il nostro migliore tennista di sempre insieme ad Adriano Panatta. [...] Padre italiano e madre russa, Nick nel passato ha due vittorie al Roland Garros, nel ’59 e nel ’60, due agli Internazionali d’Italia, nel ’57 e nel ’61 - quest’ultima, a Torino, contro il grandissimo Rod Laver - e ben 164 match in Coppa Davis (l’insalatiera la conquistò però solo da capitano, nel 1976), un record praticamente imbattibile. [...] ”Mi parlano della famosa finale degli Internazionali d’Italia del ’61 contro Laver, ma io onestamente la ricordo poco. Ricordo invece che a Parigi, credo nel ’64, dopo aver battuto Emerson uscii dal campo ma fui costretto a tornare indietro perché la gente continuava ad applaudirmi: come a teatro. Il ricordo più amaro? La defenestrazione da capitano di Coppa Davis, dopo la vittoria del ’76. Ve lo immaginate Bearzot silurato dopo aver vinto i Mondiali perché magari non andava d’accordo con Tardelli? A me capitò una cosa del genere. E i giornalisti si comportarono male” [...] Nel ’60 rifiutò 5.000 dollari per passare fra i professionisti perchè commosso dalla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi a Roma. ”Stracciai l’assegno, non mi andava di non poter più giocare in Coppa Davis per l’Italia”. Oggi Pietrangeli che tennista sarebbe? ”Un tennista ricco, questo di sicuro [...] Ho il piacere di essere amico di Gianni Rivera, e quando lo incontro gli dico sempre: tu, Eusebio, Pelé siete stati fortunati che io non ho fatto il calciatore. In effetti, fino ai 20 anni ero più promettente con il pallone che con le palline. [...] Forse avrei potuto vincere di più. Ma so anche di essere un fortunato. Non ho avuto grossi guai fisici, e ho fatto una vita da miliardario, senza esserlo. Non è poco”" (Stefano Semeraro, ”La Stampa” 11/9/2003). "Avrebbe voluto fare il calciatore invece è diventato il più grande tennista che l’Italia abbia mai avuto, detentore del record di presenze in coppa Davis, 164 incontri con 120 vittorie, primato che difficilmente potrà più essere eguagliato. Ha giocato e vinto fino a 39 anni, conquistando per ben due volte consecutive il titolo del Roland Garros, sfidando i precetti elementari del tennis secondo cui soltanto chi si allena da morire può ambire a entrare nell’olimpo del Top. E’ nato a Tunisi da mamma Anna, russa, ha la residenza a Montecarlo, parla perfettamente francese, ma nessuno come lui rappresenta la romanità gaudente e salottiera. Nacque a Tunisi perché il nonno muratore aveva tentato la fortuna all’estero e, come racconta Nicola, ”casa dopo casa, palazzo dopo palazzo...”, aveva garantito al figlio Giulio una vita agiata, fra studio e sport, consentendogli di diventare il numero due del tennis tunisino. Nicola gli zampetta a fianco con la racchetta in mano, ma poi c’è la guerra, il padre rinchiuso in campo di concentramento e nel ’45 l’espulsione dalla Tunisia. Nicola ha 13 anni quando comincia a vivere a Roma, con una vecchia racchetta del padre e una palla nera di gomma senza feltro si diverte a giocare contro un muro. Il padre vuole che si impegni di più, lo affida a Giovannino Palmieri che lo fa subito competere con il figlio Alberto, già osservato dalla Federazione. Nicola non sfigura, ci prende gusto, ma quando nel ’48 il gruppetto si trasferisce al Parioli, che allora aveva la sede a viale Tiziano, la tentazione di saltare il muro e sconfinare sul campo della Rondinella, dove si allenano i pulcini della Lazio, è irrefrenabile. Papà lo vede uscire di casa vestito da tennista e tornare infangato come un perfetto centravanti. N icola incomincia a vincere su due fronti: da un lato gli allenamenti con il tecnico ”Picchio” che lo ha visionato per la Lazio, dall’altro le prime trasferte per la coppa Bossi con il Parioli. La scelta è emotiva: la Lazio lo propone in prestito ad una società della provincia, Nicola si offende e si dà definitivamente al tennis. Senza riuscire tuttavia a rinunciare alla sua grande passione per il pallone. La leggenda racconta di sconfitte clamorose per via di acciacchi accumulati il giorno prima in accanite partite di calcio, o la famosa fuga dal torneo di Nizza nel 1961 alla vigilia della finale per non mancare a una sfida calcistica con la maglia della Canottieri Roma. Spirito libero al punto da stracciare nel ’ 60 un contratto da professionista e un assegno da cinquemila dollari, in un epoca in cui gli sponsor non avevano ancora invaso il tennis: mai avrebbe tollerato di stare sotto padrone. Risale al ’52 il suo esordio agli Internazionali di tennis, con le vittorie di Roma ’ 57 e Torino ’ 61 è l’unico italiano ad averli vinti due volte, con la doppietta del ’ 59 e del ’ 60 sui campi parigini di terra rossa conquista il Roland Garros, così come è stato l’unico italiano a giungere in semifinale a Wimbledon perdendo in cinque set da Rod Laver, ed è l’unico ad aver accumulato 24 titoli nazionali di cui sedici in doppio grazie allo splendido affiatamento anche caratteriale con Orlando Sirola. Nessuno come lui è stato tanto longevo nel tennis, visto che a 33 anni ha giocato una finale al Foro Italico e a 39 anni ha ceduto soltanto al quinto set il titolo italiano a un giovanissimo Adriano Panatta [...] Una carriera unica nel suo prestigio, eppure condita sempre di aneddoti piccanti sulle frivolezze di Nicola il gaudente, sulle sue notti brave, sullo shopping nella boutique Dior prima della finale parigina, sul parterre di gente dello spettacolo che accorre a tifare per lui, sulle sue avventure amorose che lo portano a separarsi dalla moglie Susanna, mettendo fine a un unione dalle quale sono nati tre figli: Marco, Giorgio e Filippo. Sulle sue provocazioni, come i pantaloni lunghi old style indossati nel ’56 al torneo del Foro Italico, dove spesso sfidava anche l’incontentabile pubblico tirando in ballo sorelle, madri, corna e tradimenti. Invano ha giurato di non essere mai andato a dormire dopo la mezzanotte, troppo evidente era la sua pigrizia negli allenamenti. [...] Finita la carriera, non sono però terminati successi e leggende. Come capitano di Davis porta in trionfo gli azzurri nella più contrastata finale della storia della Coppa, quella del ’ 76 nel Cile di Pinochet. Il quartetto azzurro è ancora in finale nel ’77, ma nel ’78 un ammutinamento della squadra lo priva della fascia da capitano. Nicola accusa l’allora presidente della Federtennis, Paolo Galgani, di aver ordito la sommossa per invidia, un episodio che Pietrangeli non ha più dimenticato. Una vita vissuta a viso aperto, affrontando avversari e avversità senza mai tirarsi indietro. Ha fatto tenerezza la sua pena d’amore dichiarata ai quattro venti alla fine della lunga storia con Licia Colò, come la sua voglia di esorcizzare il tumore scoperto improvvisamente e sconfitto anche grazie all’affetto dell’ex moglie Susanna e dei tre figli. Pure con la Federtennis non ha mai avuto peli sulla lingua, confortato dagli insuccessi e dalla vana ricerca del grande talento. Verità che lo ha confinato al ruolo rappresentativo di ambasciatore del tennis italiano quando avrebbe voluto la presidenza. Delusione stemperata serenamente sui campi da golf o nei salotti di Palazzo Grimaldi a Montecarlo, tra feste, affari e mondanità" (’La Gazzetta dello Sport” 12/9/2003). "Sino a 19 anni giocavo meglio a calcio che a tennis. Ero nel settore giovanile della Lazio, facevo il centravanti e segnavo più di un gol a partita. Quando la società scelse di mandarmi in prestito in serie C, lasciai il calcio: da bambino sognavo di fare l’esploratore, pensai che col tennis avrei viaggiato di più. [...] Avevo un gran tocco e il mio colpo migliore era il rovescio, specie il passante. Negli anni 50 una classifica mi affiancò a Drobny come migliore specialista di smorzate. Ne fui orgoglioso [...] C’è molta leggenda intorno alle mie avventure. Sono stato sposato per quasi vent’anni e ho tradito mia moglie solo quando ero lontano da Roma. Sono stato 7 anni con Licia Colò e non le ho mai fatto le corna. Altro che donnaiolo" (Mario Gherarducci, ”Corriere della Sera” 11/9/2003).