varie, 5 marzo 2002
PIERACCIONI
PIERACCIONI Leonardo Firenze 17 febbraio 1965. Regista. Attore. Fra i suoi film: Il ciclone (78 miliardi di incasso), Fuochi d’artificio (74 miliardi), Il pesce innamorato (28 miliardi) • «Mi sento un regista-attore che coltiva la passione, autentica, del protagonista del cabaret, il mio vero lavoro di cesello e creatività» (’Corriere della Sera” 6/5/2001). «Ho iniziato andando in giro con Ceccherini, Panariello e Conti, facevamo spettacoli di piazza che erano delle vere e proprie battaglie. A Figline Valdarno c’era un proprietario di discoteca che si divertiva a vedere quanto tempo riuscivamo a restare in scena. Il pubblico era tremendo, ricordo ancora la voce di uno spettatore che, appena iniziavo a dire qualcosa, mi gridava ”la tu’ sorella”. La cosa più terribile erano le ”convention” per le ditte. Ti mettono su un trespolo e devi far ridere. Una volta capitò che il pubblico restasse immobile. Mi spiegarono poi che erano tedeschi. Alla fine gli ho fatto le ombre cinesi, sennò non ci pagavano. [...] Schiaffoni non ne ho mai presi. Però avevo una paura tremenda di dirigere, la prima inquadratura della mia vita me la sono fatta dare da Giovanni Veronesi. Da allora ho capito quanto è vera quella cosa che una volta ha detto Truffaut: ”Il regista è uno che deve trovare le risposte anche quando non ne ha affatto’ [...] Penso di essere un ”clown bianco’, cioè un comico di reazione, uno che ha bisogno di avere accanto il ”clown rosso’ che mi fa cadere il cappello dalla testa e così parte la risata. Perchè? Beh, mi sono guardato allo specchio e ho visto che ero troppo bello per essere nell’altro ruolo. Benvenuti e De Bernardi mi hanno spiegato che esistono due categorie fondamentali di comici, ”trombanti’ e ”non trombanti’ e che io appartengo alla prima. [...] Nei miei film ho sempre avuto al fianco bellezze straordinarie perchè più straordinarie erano, e più era forte l’effetto comico dell’uomo di provincia, assolutamente normale, che si trova a dover conquistare montagne di bellezza totale. [...] La meraviglia è la sensazione più forte che accompagna l’arrivo nelle sale di ogni mio nuovo film. Non so perchè, ma è così. Quanto ai giudizi, spesso si sbaglia. Quando ho visto Il mio West ho detto a Giovanni Veronesi ”questo è il film più importante che abbiamo fatto’. E invece non è stato così. Non so, forse perchè, come diceva una mia zia, i film western fanno polvere, o forse perchè, siccome c’erano David Bowie e Alessia Marcuzzi, sembrava più il Festivalbar che un film. [...] Guardo sempre con ammirazione e goduria totale certi film del passato, come L’Armata Brancaleone che è semplicemente perfetto, dall’inizio alla fine. Loro hanno avuto il dopoguerra che li ha aiutati, noi invece raccontiamo i nostri anni che non sono difficili e disagiati come quelli» (Fulvia Caprara, ”La Stampa” 26/2/2004). «Il mio film migliore rimane forse quello che racconta la mia esperienza personale, non a caso Il ciclone ha avuto tanto successo. Io da ragazzino vivevo veramente in un casolare e salutavo mio nonno gridando per comunicare da un casale all´altro» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 17/12/2003). «Sono sempre stato un clown ”bianco’ che ha bisogno di avere accanto un altro talento» (Fulvia Caprara, ”La Stampa” 17/12/2003). «Continuo a sognare una donna che mi conquisti in pochi secondi e per sempre, ma intorno a me non la vedo. Tutti i miei amici sonno separati, divorziati, o appena lasciati, la percentuale è praticamente del 100 per cento. Un po’ di disillusione c’è» (’La Stampa”, 6/5/2001). Ai tempi del grande successo ha avuto una lunga relazione con la soubrette televisiva Samantha De Grenet, poi fidanzatasi con l’attaccante della Juventus Filippo Inzaghi ecc. «Ha vinto la più ricca lotteria italiana: quella della vita. Tra i milioni di adolescenti che vanno a scuola per non lavorare, raccontano barzellette scipite al bar, si masturbano davanti al poster di Naomi Campbell e sognano di essere Leo Di Caprio, lui è l’unico che ci è riuscito, ma siccome è di Bagno a Ripoli, è diventato Leo Pieraccioni. A vederlo non si direbbe, però è furbo: ha capito che a Veltronopoli i film di Nanni Moretti vanno a vederli solo quelli di ”Repubblica” e per giunta con i biglietti omaggio, e che le storie dei fratelli Vanzina fanno pensare troppo. Così, non sapendo far ridere come Verdone e non volendo a far piangere come Benigni, non potendo permettersi Rita Rusic che intanto è croata e non è spagnola e poi i soldi ce li ha già e il cervello pure, l’ha convinta a comprargli una sfornata di gnocche. E se ne I laureati almeno si sforzava di strappare un sorriso, con Il Ciclone e Fuochi d’artificio ha mirato direttamente al soldo, e ne ha fatti tanti che Benigni neppure vendendo Vincenzo Cerami riuscirebbe a vederli. Si è preso anche il sogno più grande di ogni ragazzo: fare il cowboy, con tanto di indiani veri» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «Non sono più il Di Caprio italiano, ma il John Malkovich di casa nostra. Continuo però a fare il cinema che mi piace e non sto a pensare quale sia la formula del successo. Fellini diceva che faceva le cose e poi gli altri gli spiegavano quello che aveva fatto. Figuriamoci io! Il successo del Ciclone è nato da una congiunzione astrale che capita una sola volta ogni dieci anni. stato come vincere una partita di calcio facendo 12 gol di testa. In quel periodo i Cecchi Gori vivevano lo pseudodramma che incassasse meno di I laureati. Insomma la vera regola del cinema è che non ci sono regole. Comunque è stato grazie a Rita Rusic che ho cominciato a fare cinema, ero ormai abituato alle porte sbattute in faccia dai produttori. Lei capì subito le potenzialità mie e del film. Poi nella vita si prendono altre strade. Ho un po´ perso anche Cecchi Gori. Era sempre a Porta a porta con Valeria Marini» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 6/7/2003).